Il grande bluff, by Marco Ciani
by Marco Ciani
Tanto e tale è stato l’entusiasmo, pressoché generalizzato,
al realizzarsi della vittoria di Syriza e del suo giovane leader, l’ingegnere
civile Alexis Tsipras, da far impallidire qualunque paragone precedente. In
Italia, in particolare, da Renzi alla minoranza PD (per il resto divisi quasi
su tutto), a SEL, fino alla Lega Nord, FI, Fratelli d’Italia, passando
ovviamente per il Movimento 5 Stelle, è stato un tripudio di lodi indirizzate
al nuovo corso ellenico. Un vero
e proprio assalto al carro del vincitore,
quale non si registrava da tempo.
Ma così anche in Europa, dalla sinistra/sinistra spagnola di
Podemos all’estrema destra francese di Marine Le Pen, fino al britannico UKIP
di Nigel Farage, l’alleato europeo di Grillo. Un po’ meno entusiasti si sono
mostrati i partiti della tradizione socialista democratica europea.
Cosa naturale visto il calo di consensi che stanno registrando un po’ in
tutto il continente. Neanche a Berlino ridono, preoccupati dagli effetti che
il nuovo corso potrebbe generare.
Personalmente mi colloco tra coloro che, in infima
minoranza, guardano con scetticismo misto ad una discreta dose di inquietudine
ciò che il libero popolo greco, in libere elezioni, ha appena determinato.
Proverò a spiegarne il motivo.
Partirei da un assunto. La disastrosa situazione della
Grecia non è frutto di un complotto dei poteri forti, che si chiamino Troika
(Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale),
Germania, speculazione internazionale, neo/liberismo o qualsiasi altra entità,
fisica o metafisica, sovra/ordinata.
La principale responsabilità di quanto succede oggi nella
penisola ellenica sta nel fatto che negli ultimi 30 anni la sua classe politica
(in particolare i due partiti maggiori, Nea Dimokratia, ovvero la destra
moderata, ed il socialdemocratico Pasok) ha potuto prosperare su una gigantesca
operazione clientelare e truffaldina.
Prima dell’arrivo dello tsunami finanziario, il 19 ottobre
2010 quando il Governo Papandreu annunciò che i conti dello stato erano assai
peggiori di quanto risultava ufficialmente fino a quel momento, in Grecia si
erano prodotte nel tempo una serie di misure ad elevato impatto economico che
hanno finito per scassare in modo dirompente i conti dello stato.
Corruzione endemica, evasione diffusa nel settore privato,
assunzioni clientelari nel pubblico, pensioni anticipate (con 600 categorie
ritenute usuranti, tra cui parrucchieri, musicisti e presentatori televisivi),
indennità per chi arrivava in orario al lavoro o, nel caso dei forestali, per
incoraggiarli a lavorare fuori ufficio, ed una lunga lista di altre prebende
simili. La lista delle follie sarebbe lunga, ma è già sufficiente così.
Infine, la ciliegina sulla torta dell’imbroglio sui propri
bilanci: la Grecia ha truccato più volte i suoi resoconti contabili, nel corso
degli ultimi anni, anche se nel farlo è stata aiutata da importanti banche
americane, come Goldman Sachs. Questo fatto chiama certamente in causa altri
protagonisti, ma non diminuisce di un grammo la responsabilità dei politici
greci.
Di fronte a questi fatti, con i propri titoli di stato
ridotti a spazzatura, gli ellenici hanno dovuto ricorrere ripetutamente ai
presti del FMI e dei paesi dell’Eurozona i quali, come avrebbe fatto chiunque,
li hanno condizionati ad un programma di rigore, certamente durissimo, ma
necessario per consentire un risanamento del paese, propedeutico al suo
rilancio economico.
Come era prevedibile i sacrifici imposti hanno generato
anche delle pesanti ricadute sociali. Ma queste sarebbero state ancor più gravi
se i greci fossero stati lasciati al loro destino. E’ anche da dirsi che
l’aiuto esterno non era affatto disinteressato in quanto, come spesso
ricordato, le banche tedesche e francesi risultano tra i maggiori acquirenti
del debito pubblico ellenico (molto, molto meno quelle italiane).
Ora, per venire ai giorni nostri, bello fresco si presenta
sulla scena un signore, Alexis Tsipras, che, all’insegna dello slogan «La
Troika è finita», un modo per dire stop all’austerità, si ripromette di mettere
in discussione il debito pubblico del suo paese. Questo sarebbe il
problema minore. Affrontabile entro certi limiti. Ad esempio rinegoziando le
scadenze o i tassi di interesse sul debito stesso. Perfino le banche normali
sono spesso disposte a trattare su questi aspetti se si rendono conto che il
cliente, diversamente, non potrà onorare i debiti. Almeno non fino in fondo.
La cosa più eclatante, almeno a mio modo di vedere, è però
che Tsipras si è presentato agli elettori che domenica scorsa lo hanno portato
in trionfo, con un programma che prevede la cancellazione di buona parte del
debito (circa 330 miliardi), la distribuzione di energia elettrica gratuita a
300 mila famiglie, buoni pasto gratuiti e sconti per gli acquisti di medicine.
A oltre un milione di pensionati vorrebbe ripristinare la 13esima, rimborsare
68 miliardi di arretrato del governo con le imprese, abolire la tassa sulla
casa, sostituita da una imposta sui soli immobili di lusso, aumentare la fascia
esentasse di reddito da 5 a 12 mila euro di reddito. Gran finale: stipendio
minimo portato per legge da 586 a 751 euro al mese.
Piccolo problema: chi paga?
Poiché immaginare che l’Europa, i suoi stati e le
istituzioni finanziarie che hanno prestato i soldi al governo greco accettino
di veder andare in fumo i propri crediti o parte di essi ed assistano
impassibili alle velleità di Tsipras è pura follia, personalmente credo che le
cose si metteranno male. Per ora i mercati si mostrano stranamente silenti, ma
mi aspetto che tra poco assisteremo a qualche spettacolo pirotecnico.
O Tsipras e il suo governo, una stravagante alleanza tra la
sinistra radicale di Syriza e la destra di Anel che nulla hanno in comune
tranne l’anti/austerità, si rimangeranno la quasi totalità delle promesse fatte
in campagna elettorale, e allora il giovane e rampante primo ministro subirà un
effetto boomerang durissimo.
Oppure tenterà di dar corso al suo progetto, ma in questo
caso, è molto probabile che l’Europa reagirà tagliando i viveri. E sarà un
disastro ancora peggiore. Non solo per i greci che potrebbero essere costretti
ad uscire dall’Euro, a costi esorbitanti, ma anche per i paesi del continente,
che dovrebbero accollarsi buona parte dei debiti non pagati (l’Italia è esposta
per 40 miliardi). Si romperebbe anche il tabù dell’impossibilità dell’uscita
dalla moneta unica, e il nostro paese si troverebbe esposto a forti pressioni
speculative, essendo oggi il secondo anello più debole della catena.
Ma forse l’ipotesi che alla fine prevarrà, costatata
l’impossibilità di mantenere le promesse, sarà quella delle sue dimissioni.
Magari gridando al complotto, come fanno i politici consumati in queste
occasioni (vedi alla voce Berlusconi Silvio). In tal caso bisognerà incrociare
le dita e sperare che a vincere in caso di elezioni, in un paese
esasperato, siano i partiti filo europei e non i neonazisti di Alba Dorata
(terzo partito domenica), il cui leader, dal carcere, non a caso si è
rallegrato per la vittoria di Tsipras del quale preconizza il rapido
fallimento. E al quale, ovviamente, spera di subentrare.
Io spero fortemente di sbagliarmi, ma non vedo molte altre
soluzioni. Ed è per questo che, in tutta onestà, non capisco cosa ci sia da
festeggiare nelle vittoria di Syriza. In particolare non capisco cosa abbiano a
festeggiare i rappresentanti del PD, i quali dovrebbero invece preoccuparsi del
pessimo risultato dei propri affini del PASOK, i socialisti crollati al 4,68%.
Non capiscono i nostri democratici che la campana suona anche per loro?
Festeggiamo forse perché pensiamo di fare un dispetto alla
cancelliera Merkel? O al ministro delle Finanze Schäuble? O alla Bundesbank
del loquace governatore Weidmann, che si è lanciato in giudizi politici
non di sua competenza (la Grecia non rende conto in nessun caso alla BuBa)
creando ogni volta reazioni empatiche pro Tsipras? Crediamo davvero che le
elezioni greche risolvano il problema dei debiti pubblici e della necessità di
aggiustare i conti?
Si può discutere (e su Ap molto lo si è fatto) sulla
necessità che l’Europa si riunisca anche politicamente. Sarebbe anzi
indispensabile che si procedesse a tappe prefissate. Diversamente l’Euro e la
stessa Unione, cosi come sono stati concepiti, non potranno reggere. Ma questo
aspetto non può risolvere un problema: i paesi dell’Europa Mediterranea hanno
fatto le cicale per anni. Nello stesso periodo i nordici si mettevano in ordine
(alias, facevano le riforme necessarie). Ecco perché non vogliono pagarlo loro
il conto.
In conclusione: non possiamo pensare di risolvere i problemi
con qualche trucco o contestando il sistema di istituzioni europee o mondiali
(come l’FMI) e le relative regole. Istituzioni e regole che anche noi,
spontaneamente e liberamente, abbiamo contribuito a costruire. Nel farlo sapevamo
che, in bene e in male, ne avremmo accettato le ripercussioni. Ecco
perché, anche se siamo paesi con una posizione economica e politica molto
diversa dentro l’Europa, dovremmo capire, noi come i greci, che il tempo
delle furbizie e delle scorciatoie è scaduto. Ed agire di conseguenza.
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