Autismo, Reportage

L’autismo in Alessandria 
Oggi, di autismo si parla di più. Qualche articolo sui giornali, qualche servizio televisivo, qualche film sulle orme del famoso Rain man, che ebbe il grande merito di infrangere il silenzio con la forza della superba interpretazione di Dustin Hoffman (Oscar 1989). Ma, nonostante questi sforzi, troppe sfaccettature del problema sfuggono ancora al grosso pubblico. Soprattutto, sfugge la complessità, e sfuggono le condizioni reali,  proprio là dove si vive e si abita.
Questi sono i motivi che ci hanno indotto a iniziare un reportage, fatto di interviste ai protagonisti e ai responsabili di tali snodi. Andare a sentire, in diretta, come il problema è vissuto in Alessandria e riportarlo al meglio dei nostri mezzi. Abbiamo deciso, così, di scegliere due modalità di presentazione: rendere leggibili le interviste, mediante trascrizione, e renderle visibili mediante video. 
La prima intervista è stata effettuata a Renato Peola e Milena Brancaleon, del direttivo de “Il sole dentro”, un’associazione alessandrina senza scopo di lucro, che si occupa dei bambini autistici e delle loro famiglie.
Ancora una parola sulla scelta del primo incontro. Abbiamo pensato che non si potesse iniziare un percorso sull’autismo senza partire da chi lo vive in prima persona: le famiglie
Ma il percorso non si ferma qui. Se vi va, seguiteci anche nelle prossime puntate.
(Un grande, grandissimo ringraziamento, ad Alessandria News, Città Futura on line, CorriereAl, l’inchiostro fresco, Radio Gold, Alessandria Post http://,piercarlolava.blogspot.it/, Icittadiniprimaditutto http://icittadiniprimaditutto.blogspot.it/
e a quant’altri media si uniranno per sostenerci).
Giancarlo Patrucco e Pier Carlo Lava



Il mio piccolo fratellino
Corto animato: "Mon petit frère de la lune" (il mio fratellino Dalla luna) di Frédéric Philibert.
La Voce Fuori Campo di una bambina di descrive in modo chiaro, allegro e poetico i comportamenti del fratellino autistico. Sottotitoli e Traduzione: Giulia Miani ( aka Miana) e Pamela Caprioli





L’autismo in Alessandria 9. conclusioni
by Giancarlo Patrucco
Alessandria: Dunque, siamo arrivati alla fine di questo lungo reportage sull’autismo in Alessandria. Dopo aver toccato tutti i punti sensibili della situazione locale, e aver preso nota dei riflessi nazionali del problema, ora ci sembra arrivato il momento di mettere insieme le conclusioni di chiusura.
Cominceremo subito dagli omissis, che sono stati essenzialmente due:
1. le cause. E’ vero, abbiamo trascurato gli elementi – genetici e ambientali -   che sono all’origine dei disturbi dello spettro autistico, partendo subito dalla fase di accertamento e diagnosi. Quindi, dai 2-3 anni di età, quando ormai i sintomi sono presenti, evidenti e leggibili secondo le metodiche correnti più aggiornate.
Ma in questa scelta un motivo c’è: nonostante qualche progresso nella ricerca scientifica, le cause non sono ancora del tutto chiare. Sono stati individuati alcuni elementi distonici rispetto a un quadro di sviluppo “normale”, però sembra che gli elementi di “disturbo” a un corretto sviluppo evolutivo siano molteplici e di difficile definizione.
Invece, proliferano le attribuzioni di responsabilità a questo o quell’agente che viene individuato come causa unica o scatenante del disturbo. C’è chi lo ritiene il prodotto di un accumulo ambientale di sostanze chimiche nocive (mercurio, piombo) nella zona gastro-intestinale;  c’è chi punta il dito sulla carenza di vitamina D nella gravidanza; c’è chi  mette sotto accusa i vaccini – in particolare la vaccinazione trivalente. Qualcuno ha intentato causa e qualcuno l’ha pure vinta, ma la situazione è intricata e difficilmente decifrabile in modo corretto da semplici osservatori quali noi siamo.
2. le terapie. Le stesse considerazioni valgono per le terapie. Le Linee Guida emanate dal nostro Ministero della Sanità le passano in rassegna tutte, riportando le valutazioni tratte dalla letteratura scientifica mondiale.
Anche qui, però, quei risultati sono ampiamente e variamente discussi. Il che è facilmente comprensibile. Ogni famiglia, quando deve fare i conti con una diagnosi di autismo, è disponibile a  “provarle tutte”, come si dice. In questo modo, finisce per imbattersi in faccendieri e imbonitori che spacciano questo o quel rimedio come risolutivo. Chi ha le conoscenze scientifiche per distinguere fra l’uso di una camera iperbarica e quello del metodo ABA? Chi non rimane irretito dall’ultimo ritrovato della genetica moderna: le favolose staminali?

Ora, probabilmente, avrete capito perché ci siamo tenuti lontani da questi due controversi aspetti.  Per fare informazione in modo corretto occorre  riferirsi a personalità eminenti, che abbiano approfondito la materia e ne conoscano ogni risvolto. Da ascoltare dal vivo, in una conferenza o, meglio, in un convegno ad hoc.
A questo, stiamo lavorando.

Già accertare lo stato di gestione del problema autismo in Alessandria non ci è sembrato  facile. I numeri, ad esempio. Il dottor Cremonte, primario di neuropsichiatria infantile all’ospedale Cesare Arrigo, ci dice che a livello regionale la percentuale attuale di minori “è intorno al 4 su 1.000. Cioè, 1 bambino ogni 250 soffre di una sindrome dello spettro autistico.” E aggiunge: “Un bacino come quello alessandrino-astigiano conta circa 100.000 minori. Al 4 per 1.000, fate voi”.
Abbiamo fatto, dottore: sono 400 c.a. Non poca cosa, se si tiene presente che altre patologie di carattere neurologico, con numeri inferiori, sono comunque molto più conosciute e note.

Dalla dottoressa Cordella, direttrice della Struttura territoriale di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Sanitaria Alessandrina, apprendiamo poi che il nostro territorio si attesta al 5 per 1.000. Quindi, a un livello superiore a quello della media regionale: “su una popolazione 0/18  di 65284 soggetti abbiamo  oltre 300 diagnosi  di disturbo dello  spettro autistico su pazienti in età evolutiva, effettuate  dalla Neuropsichiatria infantile nell’ultimo decennio. Oltre  1/3  sono  minori di anni 8.” Il che sembra voler dire, tra l’altro, che i nuovi casi accertati sono in ulteriore aumento. Un disturbo in crescita, dunque, come d’altronde apprendiamo da stime condotte in molti altri Paesi, anche se alcuni sostengono che sono le nuove metodiche diagnostiche a permettere di individuarne di più.

Comunque sia, la fascia che presenta potenzialità maggiori di miglioramento è quella che va dai 3 anni (e qui si comprende bene quanto sia importante una diagnosi sempre più precoce) ai 10-11 anni d’età. Non è un caso, dunque, che su questa fascia si concentrino gli sforzi prevalenti delle organizzazioni e degli operatori. Dopo, l’impegno scema, fino a sfociare nel socio-assistenziale quando il soggetto ha raggiunto la maggiore età. Però, ricorda l’assessore regionale alla sanità Cavallera: “I disturbi dello spettro autistico insorgono in età evolutiva, ma hanno nella quasi totalità dei casi un andamento che prosegue in età adulta. Finora i percorsi di cura regionali specifici si sono limitati alla sola età evolutiva.” E, in precedenza: “la scelta di interventi dettati non dalla situazione concreta, ma dalle risorse che si hanno a disposizione, la mancanza, quindi, di un percorso di vita che si articoli in tappe interconnesse ed evolutive, sono elementi che rischiano di inficiare una prospettiva di autonomia che, non solo renderà inutile ogni precedente intervento, ma comporterà nell’età adulta una dipendenza completa e pesante da forme assistenziali che a quel punto nulla avranno di inclusivo”.

Già, le risorse. Il nostro viaggio nell’autismo alessandrino ci ha permesso di conoscere risorse umane di grande valore, dietro le quali si muovono e interagiscono decine e decine di operatori qualificati, capaci di grande abnegazione e di grande sacrificio. Abbiamo visto, a Le Mete, che in questo settore non esiste concorrenzialità fra pubblico e privato, così come non prevale la ricerca del business. L’autismo è un disturbo complesso e l’interazione fra coloro che agiscono sul soggetto  è sentita come impegno cogente per aumentare le possibilità di conseguire progressi nelle cure. 

Caso mai, ci è sembrato di intravedere qualche impaccio burocratico-istituzionale, qualche ritardo di funzionalità nell’organizzazione di una macchina così delicata e complessa. Prima di tutto, c’è bisogno di più informazione e di più formazione. A tutti i livelli. Poi, ci pare della massima importanza che i punti di contatto fra aventi causa: famiglia, strutture sanitarie, servizi socio-assistenziali, scuola, non siano segnati da paletti di confine, bensì da aperture e fecondi scambi. Il Nucleo dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS), previsto dall’accordo Stato-Regioni dell’anno scorso, potrebbe essere l’ingranaggio su cui far leva per spazzar via incrostazioni e ritardi. Noi ci permettiamo di suggerire che ogni nucleo appresti un tavolo, aperto anche agli altri soggetti-attori, dove sia più facile individuare i problemi e cercare le soluzioni più efficaci.

Ma saremmo degli illusi se non prestassimo attenzione a una richiesta che ci arriva da ogni parte. Per sviluppare un programma consono all’entità del problema in campo, servono (anche) soldi. Sempre l’assessore Cavallera ci ricorda che “possiamo stimare in Regione Piemonte oltre 12.000 soggetti di tutte le età con queste patologie. Quelli di età 0-18 seguiti dai servizi nel 2012 sono stati circa 1700.” E gli altri? Quelli non seguiti in età 0-18? Quelli a cui il passaggio alla maggiore età lascia aperta soltanto la porta dei centri diurni? Quelli provenienti da famiglie che non hanno la possibilità materiale di far fronte alle costose, sistematiche, lunghe terapie che l’autismo comporta?

Così, chiudiamo con una riflessione che sa di accorato appello. L’autismo è un disturbo invasivo che colpisce migliaia di nostri concittadini. Se non contrastato adeguatamente, provoca gravi danni, fino ad arrivare all’incapacità di assolvere alle più basilari attività della vita: lavarsi, vestirsi, alimentarsi, comunicare, stare con e in mezzo agli altri. Riconoscere se stessi, persino, e chi ti sta intorno.
Ci pensi la Regione Piemonte, quando fa il piano di ripartizione delle risorse da assegnare ai singoli comparti. Ma pensiamoci anche noi, individualmente o in virtù della nostra appartenenza ad associazioni, comitati, gruppi, fondazioni no profit. Difficilmente gli autistici vi diranno mai grazie. Lo facciamo noi per loro.

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Chi vorrà seguirci ancora in questo reportage, la prossima settimana troverà un’appendice fatta di due contributi – un testo e un video d’animazione - sempre connessi al tema, ma giocati in chiave poetico-letteraria.
E’ la settimana di Natale. Auguri.





Nuove speranze: "Con un farmaco l’autismo si potrà battere"

Nuove speranze da una ricerca pubblicata su Nature Genetics. Utilizzato un inibitore di un enzima studiato per i tumori.
di GIUSEPPE TESTA*
IL NOSTRO studio pubblicato ieri su Nature Genetics fa avanzare una metodologia d'avanguardia per la ricerca: il "disease modeling", ovvero la creazione di avatar cellulari per lo studio dell'autismo e delle malattie mentali. Una delle frontiere più emozionanti ed ambiziose della ricerca biomedica scaturisce dalla capacità di riprogrammare le nostre cellule, facendo leva su pochi geni chiave. A partire dal 2006, con il lavoro del premio Nobel giapponese Yamanaka, questa capacità è cresciuta esponenzialmente, spalancando le porte a un intero campo di studi: il "disease modeling", la creazione di modelli in vitro di malattie umane. 
Tutto parte dalla possibilità di riprogrammare cellule della pelle in cellule staminali pluripotenti, cioè riportate ad uno stadio analogo a quello delle staminali embrionali da cui hanno origine tutti i nostri organi. Queste staminali riprogrammate possono essere quindi reindirizzate a dare origine, sempre in vitro, a tutti i tipi di cellule del nostro corpo. Ed è qui che si apre la nuova frontiera per lo studio delle malattie genetiche, in primis quelle causate dal difetto di un singolo gene, ma anche quelle causate dall'intreccio di fattori genetici e ambientali, dalle malattie neuropsichiatriche ai tumori. Se infatti le cellule di partenza recano in sé una o più anomalie genetiche, queste le ritroveremo naturalmente anche nelle cellule staminali in cui riusciamo a riprogrammarle, e quindi anche in tutti i loro derivati (ad esempio neuroni, cellule del fegato etc.). Riusciamo a riprodurre, all'esterno del paziente, vari tipi di "sue" cellule (scegliendo quelle più importanti per la specifica malattia), incluse quelle che per ovvi motivi erano rimaste finora praticamente inaccessibili alla ricerca, come appunto i neuroni. 
Un processo di esternalizzazione cui non a caso nel mio laboratorio ci riferiamo come "avatars", una sorta di avamposti cellulari del corpo che mirano a rappresentarne i tratti salienti di salute e malattia, e su cui poter non solo studiare i meccanismi della patologia, ma anche testare nuovi farmaci. Qui, dove anche l'Europa è all'avanguardia, studiamo in laboratorio specifiche malattie dello sviluppo cerebrale (come l'autismo e la disabilità mentale) e alcuni tipi di tumori, concentrandoci su vari fattori epigenetici, vale a dire quelle proteine che agiscono sul DNA, o sull'impalcatura attorno a cui è avvolto, accendendo o spegnendo a cascata le migliaia di geni che regolano la funzione delle nostre cellule. Una delle novità più interessanti emerse negli ultimi anni è infatti che difetti in questi fattori sono alla base sia di molti tumori che di molte malattie neuropsichiatriche, ponendoci la grande sfida, ma anche l'opportunità, di capire come gli stessi geni possano causare malattie diverse a seconda della fase dello sviluppo in cui vengono colpiti. Nel nostro lavoro più recente abbiamo applicato la riprogrammazione cellulare a due malattie speculari causate da alterazioni nella dose di 26 geni, un numero piccolo rispetto al totale di circa 30.000 ma in grado di influenzare aspetti fondativi della condizione umana quali il linguaggio e la socialità. Nella sindrome di Williams infatti, di questi geni ne manca una copia, e questo causa una particolare forma di disabilità intellettiva che risparmia in buona parte il linguaggio e dà luogo a una forma di ipersocialità. Quando di questi geni ce n'è invece una copia in più si ha una sindrome per molti versi speculare, e cioè grave compromissione del linguaggio e della socialità fino all'autismo conclamato. Sorprendentemente, abbiamo scoperto che queste alterazioni non solo modificano i circuiti molecolari dei principali organi colpiti dalle due malattie, ma che lo fanno fin dai primissimi stadi dello sviluppo.
  • Dipartimento Scienze Salute, università di Milano; Dir. Lab. Epigenetica Ieo





L’autismo in Alessandria: 8. intervista all’Asl Al

by Giancarlo Patrucco

Stavolta ci tocca andare in trasferta. La dott.ssa Emanuela Cordella, direttrice della Struttura territoriale di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Sanitaria Alessandrina, sta di base a Novi Ligure e lì arriviamo in un giorno in cui era prevista neve ed invece c’è un sole splendente.
Purtroppo, per la neuropsichiatria infantile il tempo non è sereno come sembra fuori. Dentro, è piombato il fulmine del nuovo piano ospedaliero emanato dall’Ass.to alla Sanità della Regione Piemonte. I media ne parlano poco, ma i tagli, o “riassetti”, come li volete chiamare, ci sono e in NPI si sentono. La neuropsichiatria infantile è una struttura complessa, che svolge attività ospedaliera e sul territorio. Ora, il nuovo piano include nella rete ospedaliera soltanto tre NPI, tra cui quella dell’Ospedale Infantile di Alessandria, ma lascia fuori sedi come Novi, Tortona e Casale Monferrato, per parlare soltanto del nostro territorio.
La paura è sempre la stessa: meno personale, meno risorse, meno vicinanza ai pazienti e alle loro famiglie.
Ma la dott.ssa Cordella non vuole approfittare della nostra presenza. Siamo qui per un’intervista? Allora facciamola. Eccoci, anche se sono presente solo io. Pier Carlo Lava è stato messo fuori gioco dall’influenza, quindi niente videoregistrazione questa volta.
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Dott.ssa Cordella, il 3 marzo di quest’anno, la Giunta Regionale del Piemonte ha recepito l’accordo Stato-Regioni del 22 novembre 2013, in tema di “Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, con particolare riferimento ai disturbi dello spettro autistico”. L’Assessore alla Sanità introduce la delibera con una relazione che fa il punto sullo stato delle cose nella nostra regione.
Ecco, le nostre domande sono tutte tratte di peso da quella relazione lì.
In Piemonte, i soggetti con disturbi dello spettro autistico sono stimati al 31.12.2012 al 3.3 su 1000. Per la fascia d’età 7-11 anni, la stima sale al 4.8 su 1000. Ma i minori seguiti dai Servizi Asl nel 2012 sono stati solo il 2.4 su 1000. 
Che fine hanno fatto gli altri?
I dati sono  desunti dal  nostro sistema informatizzato NPI.net. Proprio attraverso i dati NPI.net è emersa  una discreta  variabilità tra i diversi territori regionali. Noi nell' Aslal ci attestiamo  intorno al 5  quindi a livelli superiori, secondo i dati regionali. Nella nostra  ASL  su una popolazione 0/18  di 65284 abbiamo  oltre 300 diagnosi  di disturbo dello  spettro autistico su pazienti in età evolutiva, effettuate  dalla NPI nell’ultimo decennio. Oltre  1/3  sono  minori di anni 8. 
Cerchiamo di prendere in carico  la gran parte dei pazienti. Una piccola parte di loro  accede ai centri privati  e/o convenzionati   (es ANFFAS e  Centro Paolo VI ). Con questi centri  collaboriamo e programmiamo  insieme a loro  il progetto di trattamento. 
Passiamo al trattamento. Nella relazione si afferma che la rete dei servizi è solo parzialmente in grado di garantirlo, che il tempo degli operatori formati è molto variabile da un territorio all’altro e che sono quasi assenti gli educatori, figure centrali del trattamento.
Ad Alessandria come va: bene o dobbiamo migliorare?
Senz’altro dobbiamo migliorare, ma riusciamo ad offrire una discreta risposta.
Sono seguiti con riabilitazione  settimanale individuale  91 pazienti  di cui  il 95% minore di 7 anni. La   scelta  di  privilegiare i piccoli  è correlata alle evidenze scientifiche  dell’intervento precoce e continuativo come  fattore prognostico favorevole .
Una parte  (19) è  seguita con  monitoraggio  e supervisione  quindicinale o mensile.
Per la totalità  dei pazienti in età scolare sono in atto interventi multidisciplinari  di rete in cui si valorizzano le risorse scolastiche, socio-assistenziali e familiari. La NPI monitorizza il progetto offrendo consulenza agli insegnanti.
Il progetto riabilitativo è sempre multidisciplinare e coinvolge i Servizi di Psicologia, di Riabilitazione Funzionale  (fisioterapisti e logopediste)  il Servizio Sociale, la scuola, oltre, naturalmente, alla famiglia. La figura dell’educatore, assente nell’organico della NPI, è presente,  messa in campo dai Servizi  Sociali. Purtroppo abbiamo  difficoltà a reperire  educatori formati specificamente sulle problematiche dello spettro autistico. Con la  nostra  Direzione  ASL stiamo  progettando di distaccare presso la NPI  un educatore  dedicato,  cui proporremo una formazione specifica.  
Facciamo i conti con le risorse limitate e con la sanità in sofferenza.
L’accordo Stato-Regioni indica specificamente la creazione di una rete coordinata di intervento, che coinvolga i servizi sanitari, sociali ed educativo-formativi, la famiglia e le associazioni presenti sul territorio.
La nostra rete prevede tutto questo?
La rete è attiva e operante, costituita dall’ASL, da Servizi Sociali, Scuola  e Famiglia. In genere il progetto riabilitativo  è condiviso e coinvolge attivamente  tutti gli attori. Oltre ad incontri informali, sono definiti momenti istituzionali di confronto interdisciplinare  tra enti e famiglia.
Anche con le associazioni abbiamo avviato  un dialogo. Sono una importantissima risorsa per le famiglie. Purtroppo, date le risorse  organiche, non riusciamo ad offrire  un intervento di  parent training programmato e puntuale, ci limitiamo a sporadici colloqui per  counseling, o a far partecipare il genitore al trattamento. 
L’accordo ritiene opportuno individuare in ogni Azienda Sanitaria Regionale uno o più nuclei DPS (Disturbi pervasivi dello Sviluppo). Ogni Nucleo individua al suo interno un operatore per ogni paziente con funzioni di case manager.
Abbiamo già il nucleo e abbiamo già i case manager? 
Sì. La regione dava l'opportunità di costituire uno o più nuclei, noi abbiamo scelto di  crearne uno unico, sovradistrettuale, proprio perché possa divenire una sorta di osservatorio  e attraverso i propri componenti offrire indicazioni  di percorso specifiche, uniche e attive su tutto il territorio  e per  tutti gli operatori coinvolti.
Come primo atto, il nucleo ha proceduto a verificare, in ogni distretto ASL,  i percorsi  diagnostico–terapeutici  seguiti, gli strumenti diagnostico-operativi presenti in ciascun distretto e la formazione specifica  dei professionisti. Tale indagine mira all’armonizzazione  dei  percorsi e delle competenze professionali e a garantire l’equità di accesso e di trattamento delle persone che necessitano di prestazioni diagnostiche, riabilitative  e assistenziali.  
Il nucleo individua per ogni paziente il case manager che garantisce il monitoraggio del percorso. 
Il Nucleo DPS, in collaborazione con i genitori, definisce un’ipotesi di progetto personalizzato di trattamento con l’indicazione dei luoghi in cui lo stesso può essere effettuato. Il progetto deve essere condiviso e controfirmato dai genitori e deve riportare durata del ciclo, modalità di trattamento e metodiche applicate.
A che punto siamo? 
Attualmente, il progetto personalizzato viene condiviso con la famiglia. Con la costituzione del nucleo tutto diviene  più chiaro e definito. Nel concreto, per ogni paziente  dovranno   essere compilate due schede: una diagnostica, che riporta  il percorso  diagnostico e la valutazione funzionale,  e una  che definisce il programma di percorso/presa in carico globale: i luoghi, la tipologia dell'intervento,  la metodologia utilizzata, la durata  e la relativa verifica,  firmata  oltre che dal case manager  che la predispone, anche dalla famiglia.
I disturbi dello spettro autistico insorgono in età evolutiva, ma hanno nella quasi totalità dei casi un andamento che prosegue in età adulta. Finora i percorsi di cura regionali specifici si sono limitati alla sola età evolutiva.
Già. E adesso?
Quello che abbiamo descritto è in atto, purtroppo, solo per l'età evolutiva. Per l'adulto non ci sono ancora percorsi definiti  e specifici. Il problema è molto sentito, tanto che  un tavolo regionale composto da operatori dell'età evolutiva e dell'età adulta sta affrontando queste criticità.
Viene meno, con la maggiore età, anche la possibilità ( già prima limitata ) di accedere al servizio di educativa territoriale  (Servizi Sociali) e con il termine della frequenza scolastica viene a mancare quell'importantissimo intervento educativo e di sostegno offerto dalla scuola. 
Quando il paziente diventa maggiorenne viene “trasferito“ al Servizio di Salute Mentale. Abbiamo, negli anni passati, elaborato  con il SSM un protocollo condiviso per il passaggio dei  pazienti maggiorenni. Ove possibile il passaggio avviene gradualmente e la NPI di riferimento provvede a  presentare  al paziente e alla famiglia il nuovo referente medico del Servizio adulti.
Purtroppo, sul territorio c'è carenza di  strutture socio-educative  specifiche per la patologia. Fortunatamente, i  Centri Diurni socio-riabilitativi (presenti in ogni distretto ASL) offrono buone opportunità di interventi educativo-formativi, nell’ambito di progetti   personalizzati e aderenti alle esigenze individuali.
La famiglia, quando il figlio diventa maggiorenne, spesso  sperimenta angoscianti  sensazioni di abbandono  e di solitudine poiché, nonostante siano mantenute   alcune prestazioni di base, viene a mancare la presa in carico globale e la rete di  sostegno a tutto il nucleo. 




Il nostro lavoro finisce quando un bambino diventa un bambino.

Alessandria, autismo, intervista a Maria Grazia Guercio, psichiatra e psicoterapeuta, e a Maria Cavallini, terapista della motricità dell’età evolutiva, presso il Centro Le Mete (Studi multidisciplinari in ambito medico, psicologico, ri-abilitativo). Le domande:

Cominciamo col conoscere meglio Le Mete: cos’è questo centro, come si configura, cosa ci si fa dentro?

Ma privato del tutto, oppure intrattenete rapporti di convenzione con le strutture sanitarie e socio-assistenziali pubbliche?
In questa tappa del nostro reportage sull’autismo in Alessandria, abbiamo la fortuna di avere davanti a noi l’icona del trattamento psicomotorio relativo all’autismo, in età evolutiva. Quanti ne ha visti, Maria Cavallini, di casi d’ogni genere?
E quanti ce l’hanno fatta?  Scusi se usiamo questa locuzione impropria, ma lei saprà certamente tradurcela in modo più pertinente.
Voi sapete certamente che le terapie, per dare esiti, devono essere tempestive, costanti, personalizzate. Ciò comporta costi elevati, ma non vi sembra che Alessandria potrebbe fare di più?
Cosa ci vorrebbe per farci fare un salto di qualità?
E, per finire, cosa direste alle famiglie con figli autistici? Cosa raccomandereste loro?
Alessandria, Le Mete, piazza D’Annunzio, 1



L’autismo in Alessandria: 7. intervista a Le Mete

Giancarlo Patrucco

Ai piedi del cavalcavia che porta al quartiere Cristo, dalla parte opposta al distributore di benzina, c’è la piccola piazza d’Annunzio. Uno scorcio cittadino, dominato da due maestosi alberi le cui chiome ricadono fin quasi a sfiorare il terreno. Lì, ti puoi riparare dal sole estivo e dalle pioggerelle autunnali, ti puoi fermare su una panchina o addossarti alle piante, e ti senti protetto come Linus sotto la sua copertina. Anche quando varchi la soglia dello studio privato “Le Mete”, in quella piazza al n 1, ti senti rassicurato da quella sfilza di tabelle appese al vetro dell’ingresso, che portano i nomi e le qualifiche degli specialisti che ci lavorano: psichiatri, psicologi, terapisti, educatori, riabilitatori e terapisti olistici.

Ma le anime dello studio sono essenzialmente due, che hanno contribuito in maniera fondamentale alla sua creazione: Maria Grazia Guercio, psichiatra e psicoterapeuta; Maria Cavallini, terapista della psicomotricità dell’età evolutiva. Con loro abbiamo parlato, una sera tardi, perché nello studio si lavora tutto il giorno.
Questa è la sintetica trascrizione di quanto ci siamo detti. Se non vi soddisfa,  potete vedere il video dell’intervista, realizzato come sempre da Pier Carlo Lava e rintracciabile al link: 

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Cominciamo col conoscere meglio “Le Mete”: cos’ è questo centro, come si configura, cosa ci si fa dentro? 
“Le Mete” è una realtà nata 8 anni fa da un ideale. Abbiamo deciso di aprire questo centro per  contribuire al raggiungimento del benessere dell’individuo in un’ottica non settoriale. Si lavora in modo interattivo con tante figure diverse. L’obiettivo è la persona. Partiamo da quando il bambino arriva al mondo a quando l’individuo raggiunge  la sua tarda età. Si rivolgono a noi persone con ogni tipo di difficoltà ma proprio grazie alla presenza, all’interno del nostro studio, di diverse figure professionali , abbiamo la possibilità di proporre a ciascuno l’intervento più idoneo . 
Le Mete è uno studio privato o intrattiene rapporti di convenzione con le strutture sanitarie e socio–assistenziali pubbliche? 
E’ un centro del tutto privato, ma esiste una continua  collaborazione con le strutture pubbliche  quali la Neuropsichiatria Infantile (ASO), il Cissaca, l' ASL, la scuola.
Questa modalità operativa è d’obbligo operando sulla globalità degli interventi e sulla presa in carico del paziente. Occorre valutare le terapie da mettere in atto, considerandole nell’interezza degli approcci che ogni individuo ha con le strutture, pubbliche o private che siano. La sinergia funziona e noi ne siamo soddisfatte. 
In questa tappa del nostro reportage sull’autismo in Alessandria, abbiamo la fortuna di avere davanti a noi l’icona del trattamento psicomotorio relativo all’autismo, in età evolutiva. Quanti ne ha visti, Maria Cavallini, di casi di questo genere? 
In ventotto anni di esperienza ho avuto in terapia centinaia di bambini con disturbi dello spettro autistico. Alcuni dei miei pazienti si sono diplomati, hanno trovato un lavoro, ma per loro sono rimasta “Etta” così come mi hanno sempre chiamata durante il periodo di terapia. 
Quanti ce l’hanno fatta? Scusi se usiamo questa locuzione impropria, ma lei saprà certamente tradurla in modo pertinente 
Rispondere a questa domanda non è semplice perché ogni bambino ha la sua unicità e gli obiettivi che ci prefiggiamo di raggiungere variano a seconda del soggetto. Ma posso dire che:
“il mio lavoro finisce quando  un bambino diventa “un bambino”.
Posso però aggiungere che negli ultimi due anni l’ASL, a 4 dei miei bambini ha tolto la 104  e quindi il riconoscimento dello status di handicap grave. 
La 104? 
La Legge 104/1992è il riferimento legislativo “per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate". Chi volesse avere informazioni più dettagliate può consultare il sito www.lemete.it sezione ‘Area ri-abilitativa’. 
Voi sapete certamente che nei casi di autismo le terapie, per dare esiti, devono essere tempestive, costanti, personalizzate. Ciò comporta costi elevati, ma non vi sembra che Alessandria   potrebbe fare di più? 
Credo che Alessandria faccia tutto quello che può, tenuto anche  conto della mancanza di  risorse economiche. La nostra città offre anche di più rispetto ad altre realtà,  ha un servizio di neuropsichiatria che funziona, il Cissaca,  che fa un’educativa con rapporto 1 a 1, e una scuola che si pone il problema dell’inserimento. 
Però potremmo fare  un salto di qualità rispetto ad altre realtà all’avanguardia? La nuova direttiva regionale sull’autismo ci dice che non tutti i casi vengono presi in carico, che le terapie devono essere meglio organizzate, che nel passaggio dall’età evolutiva a quella adulta si fa soltanto assistenza o poco più… 
Sì, può anche essere vero perché si può sempre fare di più, ma non dimentichiamo quello Alessandria ci dà.
Nel nostro centro vorremmo dare ai nostri “nanetti”  una serie di possibilità di intervento che il genitore ha diritto di scegliere. Il genitore deve essere a conoscenza delle alternative di intervento e deve avere la possibilità di scegliere quelle che ritiene  più consone al  suo bambino. Il nostro studio propone interventi di psicomotricità ad indirizzo relazionale, ABA,  terapia psicomotoria di  gruppo, psicoterapia a indirizzo adleriano o cognitivo-comportamentale, metodo Feuerstein, psicoterapia familiare. 
Per finire, cosa direste alle famiglie con figli autistici? Cosa raccomandereste loro? 
Suggeriamo alle famiglie di non mollare mai. Purtroppo, i genitori hanno la propensione a pensare che un figlio sia una gratificazione che però viene meno al presentarsi del  problema; ma la gratificazione può tornare in tutti i piccoli successi quotidiani .
Questo, ricordando che il bambino ha bisogno di relazionarsi con le figure parentali al di là di tutti gli interventi terapeutici e specialistici. Il bambino è un individuo e tale deve sentirsi nei suoi rapporti di quotidianità.



L’autismo in Alessandria 6. La deliberazione regionale 3/3/14

by Giancarlo Patrucco

Nella nostra ultima intervista il Presidente del Cissaca, Mauro Buzzi, ha accennato ad una recente direttiva regionale sull’autismo. In effetti, si tratta della DGR (Deliberazione della Giunta Regionale) del 3 marzo 2014, che recepisce l’accordo Stato-Regioni del 22 novembre 2013 relativo a:

"Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel settore dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, con particolare riferimento ai disturbi dello spettro autistico"

In questo contesto, assume rilevanza la relazione con cui l’assessore Cavallera introduce la deliberazione attuativa. Abbiamo cercato qui di renderne gli elementi più importanti, sintetizzandoli in brevi capitoletti per semplificarne la lettura.

Stime relative ai soggetti con disturbi dello spettro autistico
La letteratura internazionale indica una stima mediana pari a 6.2 su 1000. In Piemonte, considerando i minori conosciuti dai servizi, il dato aggiornato al 31-12-2012 è di 3.3 su 1000, e, per la fascia di età in cui il dato è più completo (7-11 anni) sale a 4.8 su 1000. I minori seguiti dai Servizi delle ASL nel corso del 2012 sono stati 2.4 su 1000, dato che indica come una parte dei minori con queste diagnosi, presenti nel sistema informativo regionale, non sono stati seguiti da alcun servizio tra quelli che registrano le proprie prestazioni nel sistema regionale NPI.net.
In base al dato dei soggetti diagnosticati in età evolutiva (3.3 su 1000), possiamo stimare in Regione Piemonte oltre 12.000 soggetti di tutte le età con queste patologie. Quelli di età 0-18 seguiti dai servizi nel 2012 sono stati circa 1700.
Diagnosi e terapie
Con la Raccomandazione regionale del 2009 si è avviato un processo utile a dare massima priorità alla diagnosi precoce e agli interventi abilitativi tempestivi, intensivi e strutturati con la collaborazione di scuola e famiglia. Resta tuttavia ancora critica la disomogeneità nei trattamenti proposti dai servizi sanitari e socio-sanitari con il conseguente disorientamento delle famiglie.
Il recente monitoraggio sull’applicazione della Raccomandazione nei servizi sanitari della Regione ha evidenziato una maggiore attenzione al tema dell’autismo, ma ha confermato che la rete dei servizi è solo parzialmente in grado di garantire il trattamento. Emerge, infatti, che la Raccomandazione ha avuto come conseguenza l’individuazione in tutte le ASL di operatori che si occupano in modo più specifico di autismo e che hanno seguito i corsi regionali sull’argomento. Il numero e le ore dedicate da questi operatori, però, sono ancora molto variabili da un territorio all’altro e sono quasi assenti le figure centrali del trattamento: gli educatori.
Rete coordinata di intervento
L’Accordo Stato-Regioni del 22/11/2012 indica specificamente la creazione di una rete coordinata di intervento, che si snodi lungo il percorso esistenziale della persona con autismo e che garantisca un approccio multi professionale, interdisciplinare ed età specifico. La rete coinvolge i servizi sanitari, sociali ed educativo-formativi, la famiglia e le associazioni presenti sul territorio.
Obiettivi della Rete:
- il sostegno della famiglia, che si configura come una risorsa indispensabile ed unica. L’alleanza terapeutica con la famiglia, la definizione congiunta di un percorso di vita, l’attenzione al contesto sono elementi imprescindibili nella definizione di ogni intervento. Solo in tal senso è possibile parlare di intervento personalizzato, continuativo ed evolutivo;
- l’inclusione scolastica e sociale per il raggiungimento della maggiore e migliore autonomia possibile. La carenza di comunicazione con la famiglia e tra gli operatori coinvolti, la non adesione ad un progetto comune, la scelta di interventi dettati non dalla situazione concreta, ma dalle risorse che si hanno a disposizione, la mancanza, quindi, di un percorso di vita che si articoli in tappe interconnesse ed evolutive, sono elementi che rischiano di inficiare una prospettiva di autonomia che, non solo renderà inutile ogni precedente intervento, ma comporterà nell’età adulta una dipendenza completa e pesante da forme assistenziali che a quel punto nulla avranno di inclusivo. Si ritiene quindi essenziale favorire il miglioramento dei processi comunicativi tra famiglia, scuola e servizi del territorio. La scuola ed in particolare il lavoro svolto dagli insegnanti si configura quale intervento educativo/formativo inserito a tutti gli effetti nel progetto terapeutico e psico-educativo;
- la diagnosi precoce e la costruzione del progetto terapeutico e psico-educativo. Vi sono patologie, quali l’autismo, che richiedono processi diagnostici precoci in quanto l’evoluzione della patologia medesima dipende dal tipo di interventi abilitativi attivati già nella primissima infanzia;
- la valutazione bio-psico-sociale secondo la classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF);
- l’impiego di metodi e strumenti basati sulle Linee Guida nazionali ed internazionali;
- la definizione dei percorsi diagnostici e terapeutici in un’ottica di appropriatezza, garantendo l’equità di accesso e di trattamento a chi necessita di prestazioni di cura e di assistenza;
- la definizione di un protocollo diagnostico omogeneo a livello regionale, aggiornando le raccomandazioni del 2009.
Nucleo DPS (Disturbi Pervasivi dello Sviluppo)
Al fine di raggiungere tali obiettivi, si ritiene opportuno individuare in ogni Azienda Sanitaria Regionale uno o più nuclei DPS. Ogni nucleo deve essere composto da tutti gli operatori di riferimento per la presa in carico di minori con autismo (neuropsichiatra infantile, psicologo, logopedista, terapista neuropsicomotricità, educatore).
Al fine dell’integrazione scolastica, il Nucleo DPS si integra con il GDM (Gruppo Disabilità Minori) cui compete l’avvio e la presa in carico clinica ed istituzionale degli alunni con disabilità.  
Il coordinamento del Nucleo è affidato al Neuropsichiatra Infantile e/o allo psicologo con competenza specifica nell’autismo, del servizio sanitario territoriale di riferimento del minore. Agli incontri del Nucleo potranno partecipare anche eventuali operatori del privato accreditato. Ogni Nucleo individua al suo interno un operatore per ogni paziente con funzioni di case manager che deve coordinare il percorso attivato in accordo con i familiari e garantire un intervento di rete monitorato e verificato nel tempo, anche dopo l’età scolare.
Diagnosi
Per ciascun minore vengono innanzitutto certificate la diagnosi clinica e la diagnosi funzionale. Al termine della valutazione funzionale il Nucleo DPS, in collaborazione con i genitori, definisce un’ipotesi di progetto personalizzato di trattamento con l’indicazione dei luoghi in cui lo stesso può essere effettuato. Il progetto deve essere condiviso e controfirmato dai genitori e deve riportare durata del ciclo, modalità di trattamento e metodiche applicate.
Continuità del percorso nel tempo
I disturbi dello spettro autistico insorgono in età evolutiva, ma hanno nella quasi totalità dei casi un andamento che prosegue in età adulta. Finora i percorsi di cura regionali specifici si sono limitati alla sola età evolutiva. Si ritiene pertanto fondamentale definire con il presente provvedimento anche il percorso di cura in età adulta.
Il progetto di transizione del paziente con disturbi dello spettro autistico dall'età evolutiva a quella adulta e la continuità assistenziale vengono garantite dalla collaborazione tra Servizi di NPI, Salute Mentale ed Enti Gestori Socio Assistenziali.
Presso il Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL TO2 è attivo dal 2009 un Ambulatorio per i Disturbi dello Spettro Autistico in età adulta. Si ritiene utile poter estenderne l’attività consulenziale a tutta la Regione, identificando tale ambulatorio come Centro Pilota regionale per i disturbi dello spettro autistico in età adulta.
Coordinamento regionale
Alla luce delle recenti normative nazionali e regionali sui programmi per l’Autismo, è inoltre necessario costituire un Coordinamento regionale integrato per l’Autismo e i DPS che comprenderà:
- il Coordinamento regionale per l’Autismo in età evolutiva istituito con D.D. n. 205 del 4.05.2009.
- il Coordinamento regionale per l’Autismo in età adulta, che sarà nominato con successivo atto dirigenziale.




Autismo: Intervista a Mauro Buzzi Presidente del Cissaca 

Alessandria: CISSACA Consorzio Intercomunale dei Servizi Socio Assistenziali dei Comuni dell’Alessandrino.

Parliamo con la massima carica del Cissaca, il Presidente Mauro Buzzi.

Prima di tutto, un ringraziamento doveroso per l’interesse dimostrato verso il nostro lavoro.

Cissaca è l’acronimo di un nome lunghissimo. Per farla breve, diciamo che alcuni Comuni hanno costituito un Consorzio perché si occupi dei servizi socio-assistenziali sul loro territorio: il Cissaca appunto E’ esatto, dott.ssa? 

Avete rapporti solo con i Comuni o anche con l’Asl? E i soldi da dove arrivano?

Con quei soldi, cosa fa il Cissaca, come opera?
Lei si occupa dell’area handicap, ma a noi interessa in particolare la sindrome autistica. Come intervenite in questo settore?
Contrastare l’autismo necessita di diagnosi precoci, seguite da terapie lunghe, qualificate, troppo costose per molte famiglie. Solo così, però, efficaci. E’ d’accordo?
I dati che abbiamo raccolto fin qui ci mostrano invece un quadro frammentato e discontinuo. Non sarebbe più utile costituire un centro che si dedichi esclusivamente a questo? Se non bastano le risorse, non si potrebbero concentrare meglio? 



L’autismo in Alessandria 5. Il Cissaca

by Giancarlo Patrucco

Troviamo Mauro Buzzi impegnato quale Presidente del Cissaca in un incontro nella sala Giunta del Palazzo Comunale. Qui avviene anche la nostra intervista, in una saletta appartata.

Durerà mezz’ora, abbiamo detto noi per rassicurarlo sui tempi. Invece, domande e risposte, dubbi e proponimenti, ipotesi e soluzioni andranno avanti a lungo, tracimando dalla saletta ai corridoi, fino all’atrio antistante la sala consiliare. Mauro – mi permetto di chiamarlo per nome, vista la lunga amicizia – non è tipo da lasciare in sospeso niente. Chiede, si informa, commenta, si scalda anche, perché il tema è di quelli pesanti: l’autismo. E l’intervista, dalla domanda su quel che può fare il Cissaca in merito, cambia rapidamente in quel che possono fare tutti, società e istituzioni.

Eccovene una trascrizione riassuntiva che spero conservi la positiva tensione di quelle quasi due ore passate insieme. Se non ci sono riuscito, cercate il video di Pier Carlo Lava. Lì troverete tutto quel che si è detto, parola per parola.

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Cissaca è l’acronimo di un nome lunghissimo. Per farla breve, diciamo che alcuni Comuni hanno costituito un Consorzio perché si occupi dei servizi socio-assistenziali sul loro territorio: il Cissaca appunto E’ esatto, Presidente?
Sì. Cissaca sta per “Consorzio Intercomunale dei Servizi Socio Assistenziali dei Comuni dell’Alessandrino”. 24 Comuni, attualmente.
Avete rapporti solo con i Comuni o anche con l’Asl? E i soldi da dove arrivano?
Il Cissaca ha un bilancio che è poco al di sotto dei 12 milioni di euro annui. Le risorse economiche arrivano da varie parti: dai Comuni in percentuale di abitanti; dalla Regione; da progetti finalizzati; da servizi in conto Asl.
Con quei soldi, cosa fa il Cissaca, come opera?
Il Cissaca eroga servizi legati alla legge sull’assistenza, la 328. La sua competenza, quindi, è l’area socio-assistenziale. Per adempierla si avvale di una cinquantina di dipendenti, dei quali una decina di amministrativi e gli altri incardinati in più figure professionali tipiche del sociale: OSS, assistenti sociali ...
A noi interessa in particolare la sindrome autistica. Come intervenite in questo settore?
Non c’è un settore specifico. L’autismo è causa di disabilità, quindi di handicap. Noi partecipiamo, con la competenza socio-assistenziale che ci compete, all’unità di valutazione multidisciplinare istituita dall’Asl, che si occupa della progettazione degli interventi sull’handicap.
Rispetto ai soggetti affetti dalla sindrome autistica, su indicazione della Neuropsichiatria Infantile dell’ASL, è possibile attivare progetti di sostegno al nucleo familiare e specifici al soggetto per mantenere e/o potenziare le abilità e le capacità della persona.
Contrastare l’autismo necessita di diagnosi precoci, seguite da terapie lunghe, qualificate, troppo costose per molte famiglie. Solo così, però, efficaci. E’ d’accordo?
Io so che l’autismo è un disturbo complesso, che ha molte sfaccettature e si presenta in forme diverse, con un’evoluzione che non è sempre prevedibile, da soggetto a soggetto. Intervenire non è facile e, nelle forme più pesanti, quasi impossibile.
So anche che altre patologie che hanno un’incidenza pari se non minore a quella dell’autismo, come la sindrome di down, ad esempio, o la Sla, sono ben più note e conosciute. L’autismo è una patologia grave, di cui si comincia solo adesso a parlare. 
Dunque, abbiamo bisogno di maggiore informazione, a tutti i livelli.  E abbiamo anche bisogno di maggiore formazione per tutti coloro che, nei vari contesti, lavorano sui bambini. Dalla prima infanzia, perché la diagnosi sia sempre più precoce. Nel periodo successivo, perché l’intervento sia sempre più efficace. Mirato. Sto parlando di famiglie, baby sitter, educatrici e assistenti ai nidi, insegnanti comuni e di sostegno nelle scuole materne, elementari, medie.
Sto parlando anche di certezze nei punti di riferimento. So che la Regione Marche, ad esempio, ha recentemente approvato - prima fra tutte - una legge specifica sull'argomento. Anche la Regione Piemonte ha emanato una sua direttiva nel marzo di quest'anno e attivato un tavolo di lavoro regionale. Ma si sa come vanno queste cose: ci vuole tempo ad avviare un macchina complessa.
Questa risposta, Presidente, mi obbliga a cambiare la domanda che avevamo preparato. Ci sono punti di riferimento pure in Piemonte. Il Centro di Mondovì ad esempio, che svolge test di valutazione funzionale anche per molti soggetti residenti al di fuori del suo territorio di riferimento. Oppure il caso di Novara, dove un’attivissima associazione di famiglie porta avanti il metodo ABA, con il supporto di quel Comune. Noi, in Alessandria, se vogliamo fare l’ABA dobbiamo andare a imparare fuori. 
Conosco la situazione di Novara. Lì, però, è il Comune a gestire direttamente il servizio socio-assistenziale. Quindi, dispone di risorse proprie…
Ma noi non ci aspettiamo più risorse. Sappiamo come siamo messi in Italia. Però, se non bastano le risorse, non si potrebbero concentrare meglio? I dati che abbiamo raccolto fin qui ci mostrano  un quadro frammentato e discontinuo. Non sarebbe più utile costituire un centro che si dedichi esclusivamente a questo?
Credo proprio di sì. Un tavolo di riferimento su cui far convergere chi si occupa di servizio sanitario, di servizio socio-assistenziale, di scuola, di riabilitazione, di terapie occupazionali. Potrebbe fare molto per informare, formare, indicare terapie, attivare una banca dati che raccolga tutte le informazioni relative ad ogni soggetto…
Però, il soggetto centrale, il motore non può che essere l'Asl.
E proprio lì andremo. Grazie, Presidente.





L’autismo in Alessandria 

4. l’amministratore di sostegno

by Giancarlo Patrucco

Abbiamo concluso l’intervista precedente, alla responsabile de Il Girasole, ponendo la seguente domanda: - cosa accade quando un disabile rimane senza famiglia? Senza alcuno che possa (accetti di) prendersi cura  di lui?

Risposta: - Dispone il tribunale. E’ il tribunale che valuta caso per caso e può nominare un amministratore di sostegno. Uno che affianchi il disabile nelle decisioni da prendere e sia abilitato a prenderle al suo posto quando lui non ne è in grado. 

Già, ma come viene individuato questo amministratore di sostegno, come vengono definite le sue competenze? Insomma, qual è il quadro normativo? Lo abbiamo chiesto a Emilio Giribaldi, magistrato per una vita e ora prezioso collega di penna sul medesimo giornale. Ecco cosa ci ha risposto in merito.

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Per la tutela, intesa in senso generale, delle persone affette da inabilità di varia natura, e per quanto concerne specificamente il loro patrimonio (ma anche l’assistenza in genere), se si esclude il ricovero o l’ospitalità permanente o temporanea in strutture specializzate, allo stato attuale della legislazione si deve ricorrere all’amministrazione di sostegno, istituto introdotto nel codice civile nel 2004 e che, a quanto risulta dalle informazioni assunte, sta dando buoni effetti.

La legge stabilisce che la persona che, per effetto di infermità ovvero di menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno nominato dal giudice tutelare (tribunale) del luogo in cui questa ha la residenza (dimora abituale) o il domicilio (luogo in cui è stabilita la sede degli affari e degli interessi): le due sedi possono non coincidere, come è noto; ad es., residenza ad Alessandria e azienda commerciale a Torino; in tal caso si può scegliere tra le due competenze territoriali per proporre la domanda.

A differenza di quanto è stabilito per l’interdizione e l’inabilitazione, che intervengono nei casi di infermità abituale di mente che determini incapacità totale o parziale di provvedere ai propri interessi (l’inabilitazione è prevista anche per coloro che, per prodigalità o per abuso di alcoolici o di sostanze stupefacenti, espongono sé o la famiglia a gravi pregiudizi economici e per i sordomuti e i ciechi di nascita o di prima infanzia privi di sufficiente educazione-istruzione), l’amministrazione di sostegno si può adottare anche per coloro che, pur essendo perfettamente sani di mente, sono portatori di una infermità fisica (immobilità, cecità totale, impossibilità di uso delle mani e simili) causante l’incapacità suddetta. Si è colmata così una lacuna del sistema civilistico-assistenziale denunciata da tempo da molti operatori.
Il ricorso diretto all’amministrazione di sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto da tutelare, anche se interdetto o inabilitato, o anche se minorenne nell’ultimo anno di minorità (è da ritenere che il minore e l’interdetto in tali casi debbano essere almeno assistiti da un genitore o dal tutore; la questione, peraltro marginale, è dubbia), ovvero dai soggetti indicati nell’articolo 417 del codice richiamato dall’articolo 406, e cioè dal coniuge, dalla persona convivente stabilmente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini (suoceri, generi, cognati), dal tutore e dal curatore quando già sia in atto interdizione o inabilitazione (nel qual caso di queste procedure si deve chiedere contestualmente la revoca), e anche dal pubblico ministero. I responsabili dei servizi sanitari e sociali impegnati nella cura e nell’assistenza della persona, se vengono in qualsiasi modo a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento, sono tenuti a proporre direttamente il ricorso o a dare notizia al pubblico ministero.
L’articolo 407 del codice civile prevede il contenuto del ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno (generalità del beneficiario, dimora o residenza o domicilio, elenco dei congiunti e cioè coniuge, ascendenti, discendenti, fratelli, e conviventi, ragioni per cui si chiede il provvedimento). Anche se non è detto espressamente, il ricorrente, come si deduce dal successivo articolo 408, può designare l’amministratore di cui chiede la nomina.
Il giudice tutelare deve sentire personalmente il beneficiario e tener conto degli interessi, dei bisogni, delle richieste dello stesso e delle esigenze di protezione della persona; deve inoltre assumere informazioni sia con l’audizione dei soggetti indicati nel ricorso sia con richieste specifiche alla Pubblica Amministrazione in genere, Polizia Urbana e di Stato, Enti di assistenza, e può disporre accertamenti medici ed altre indagini, anche d’ufficio. 
Il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, per la cui emissione interviene il visto del pubblico ministero, se riguarda un minore può essere emesso solo nell’ultimo anno della minore età e diviene esecutivo al compimento dei 18 anni: ciò perché il minore è soggetto alla potestà genitoriale o a tutela se orfano.
Il decreto contiene, oltre naturalmente le generalità complete del beneficiario, l’indicazione: della durata dell’incarico, che può essere a tempo determinato oppure indeterminato, a seconda delle necessità, salva sempre la revoca in caso di mutamento della situazione; dell’oggetto dell’incarico e specificamente degli atti che l’amministratore ha potere di compiere in nome e per conto del beneficiario e di quelli che quest’ultimo può invece compiere personalmente ma con l’assistenza dell’amministratore (la scelta dipende ovviamente dai singoli casi concreti, con particolare riferimento alle condizioni psichiche e psicologiche del soggetto, all’ambiente sociale e familiare, alle condizioni economiche e ad altri fattori da valutare; il giudice tutelare comunque può, d’ufficio o su segnalazione dell’amministratore o di altri, modificare le condizioni); dei limiti, anche periodici, delle spese che l’amministratore può fare utilizzando le somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità (ratei di pensione, cedole, crediti etc.); delle date periodiche in cui l’amministratore deve riferire sull’attività da lui svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario. La durata dell’amministrazione, se è a tempo determinato, può essere prorogata dal giudice tutelare anche d’ufficio, con decreto motivato.
I decreti di apertura e di chiusura dell’amministrazione sono annotati nei registri di cancelleria e allo stato civile.
Molto importante è ovviamente la questione della scelta dell’amministratore di sostegno (articolo 408 del codice civile), scelta che, come dice la legge, deve avvenire con riguardo esclusivo alla cura e agli interessi della persona del beneficiario. Sul punto è da tener presente la disposizione secondo cui l’amministratore può essere designato (con piena facoltà di revoca) dallo stesso interessato non soltanto nel ricorso con cui si chiede l’apertura dell’amministrazione ma anche in precedenza, in previsione della propria eventuale futura infermità o menomazione fisica o psichica (e, sottinteso, della possibile assenza in quel momento futuro di persone godenti la fiducia del beneficiario) mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata; si richiama a tale proposito quanto osservato in precedenza per il minore e l’interdetto. L’articolo prosegue stabilendo che, in mancanza di detta designazione da parte dell’interessato ovvero in presenza di gravi motivi (che possono riguardare tanto la persona del designato quanto qualunque altra circostanza suscettibile di influenzare negativamente l’amministrazione) il giudice provvede autonomamente a nominare la persona che ritiene più adatta, preferendo, se possibile, e nell’ordine, il coniuge non separato, la persona stabilmente convivente, uno dei genitori, uno dei figli, un fratello, un parente entro il quarto grado, ovvero (sembra che la congiunzione significhi preferenza sulle altre persone appena indicate) il soggetto designato dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata. Quando ne ravvisa l’opportunità (ad esempio in caso di mancanza o rifiuto del designato o delle altre persone sopra elencate), o per motivi gravi, il giudice può chiamare all’incarico di amministratore di sostegno altra persona idonea (per esempio un avvocato o un notaio, o anche un altro soggetto di provata fiducia, come in effetti avviene nella pratica) e persino una persona giuridica o un’associazione che agiscono a mezzo di legale rappresentante con tutti i doveri e le facoltà del caso.
Non possono ricoprire le funzioni di amministratore di sostegno gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario.
Il beneficiario dell’amministrazione conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono, secondo quanto dispone il decreto, la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno e può in ogni caso “compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”; se ne deduce da un lato che l’amministratore non può opporsi alle attività culturali, sportive, ricreative etc. del suo assistito (salvo ovviamente riferire al giudice fatti e circostanze che egli ritenga pregiudizievoli), e dall’altro che il beneficiario deve disporre liberamente di fondi, se ci sono, proporzionati alle sue presumibili esigenze, anche se sotto discreto controllo. Risulta qui evidente la delicatezza dei compiti dell’amministratore il quale, sempre come dice la legge, “deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”, deve informarlo costantemente circa gli atti rilevanti da compiere e riferire al giudice tutelare per gli opportuni provvedimenti in caso di dissenso con l’amministrato, ed è soggetto anche a sorveglianza, per così dire, di tutte le persone abilitate a chiedere l’amministrazione e del  pubblico ministero, le quali possono ricorrere al giudice tutelare per l’adozione dei provvedimenti opportuni.
Il giudice tutelare può sempre disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze previsti per l’interdetto o l’inabilitato si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno; ciò in relazione alle condizioni fisiopsichiche dello stesso beneficiario, che possono variare da una situazione di quasi normalità ad una di necessità di controlli sistematici, nonché per effetto di altre evenienze.
L’articolo 411 prevede l’applicabilità all’amministrazione di sostegno di alcune norme in materia di interdizione e le cause di limitazione della capacità dell’amministratore, che non sia coniuge, convivente stabile o parente entro il quarto grado, di ricevere per testamento o per donazione dell’amministrato.
I successivi articoli 412 e 413 prevedono l’annullabilità degli atti compiuti dall’amministratore o dall’amministrato in violazione delle norme di legge o del decreto del giudice tutelare e i casi di revoca dell’amministrazione, i quali possono anche sfociare nell’interdizione o nell’inabilitazione del beneficiato.





L’autismo in Alessandria

3. il centro diurno per disabili “Il girasole”

by Giancarlo Patrucco

Nella prima intervista avevamo lasciato i responsabili dell’associazione “Il sole dentro” con un’ultima, scottante domanda: “: quando noi non ci saremo più, che sarà dei nostri figli?”. Ciò non riguarda soltanto i genitori dei ragazzi autistici, ma coinvolge tutto il vasto mare della disabilità. Già: quando diventano adulti, e i genitori si fanno più anziani; quando non c’è più una famiglia di riferimento, che accade dei soggetti disabili che non sono in grado di gestire la propria vita con sufficiente autonomia? Chi pensa a loro? Chi li segue? Dove vanno?

Abbiamo cercato una prima risposta a Litta Parodi, frazione di Alessandria, dove la Cooperativa sociale Orizzonti 3000 gestisce un centro diurno per disabili che si chiama “Il girasole”. Lì, in una palazzina linda e pinta, tra immagini di attività svolte e progetti di attività da svolgere, abbiamo avuto un lungo colloquio con la dott.ssa Alessia Mantovani, che di quel centro è responsabile.

Senza la videoregistrazione questa volta. Ci è sembrato che il posto e la delicatezza del contesto imponessero anche a noi un riserbo che non fosse di maniera, ma di sensibile partecipazione. Pier Carlo Lava tornerà quindi con i suoi video, alla prossima puntata.

* * * * * * * * *

Dott.ssa Mantovani, cominciamo a inquadrare questo centro: posti, frequentanti, orari, personale.

Il centro diurno è accessibile alle persone disabili di età compresa tra i 18 e i 65 anni. Dispone di 20 posti, dei quali al momento 16 occupati. Ma la cooperativa Orizzonti3000 gestisce anche la casa di riposo di Spinetta Marengo,  dove ci sono  altri 20 posti per persone disabili.

L’equipe del centro  è formata da: educatore, OSS, infermiere, fisioterapista, terapista occupazionale, musico terapeuta, psicologa.

L’orario del centro va dalle 9.00 alle 17.00, dal lunedì al venerdì compresi.
Le attività del centro sono: terapia occupazionale, musicoterapia, laboratorio di teatro,  di taglio e cucito, giardinaggio ed orticoltura, fisioterapia e ginnastica di gruppo, supporto psicologico, accompagnamenti alle visite mediche, uscite e gite.
Perché dai 18 ai 65 anni? Chi ha stabilito questi limiti?
Una direttiva regionale che si uniforma alla normativa nazionale, e che differenzia a seconda della fascia d’età i bisogni assistenziali. Al di sotto dei 18 anni si tratta di minori e un centro non può ospitare contemporaneamente adulti e minori. Oltre i 65 anni si rientra tra i soggetti anziani, che vengono accolti nelle case di riposo.
Cioè, a 65 anni di qui se ne devono andare…
Non necessariamente. Il centro è convenzionato con l’ASL ma possono avere accesso anche ospiti privati. Nel caso di soggetti in convenzione, la Commissione preposta dell’ASL,sulla base di apposita valutazione, individua la collocazione più idonea. Nel caso di ospiti privati è l’equipe del centro che  valuta l’opportuno proseguimento del progetto.
E perché dalle 9.00 alle 17.00, dal lunedì al venerdì? A casa è dura, dottoressa. Molto dura. La notte può non passare mai e nemmeno il fine settimana o le cosiddette vacanze. Vacanze per tutti, ma non per quelle famiglie.
Sì, lo so. Me ne rendo perfettamente conto attraverso il contatto quotidiano con i famigliari. Anzi, una richiesta aggiuntiva che fanno è quella di essere supportati anche loro. Ma le risorse, sempre meno, impongono confini non sempre in linea con i reali bisogni. Pensi, ad esempio, che a Valenza da giugno, il servizio di salute mentale è aperto un giorno la settimana ed esclusivamente per la distribuzione e somministrazione dei farmaci. Da quel momento, se qualcuno ha bisogno di un intervento, di una visita, deve rivolgersi al servizio di Alessandria oppure ad un professionista a pagamento. E potrei citare altri casi. La cooperativa, relativamente alle situazioni più complesse a cui lei faceva riferimento, risponde attraverso il servizio di residenzialità presso la casa di riposo di Spinetta con il nucleo per persone disabili, dando la possibilità di soggiorno.
Abbiamo capito, grazie. Ma parlando di soldi, quanto costa un giorno di permanenza in questo posto?
Il costo varia in base al livello assistenziale erogato, ed è stabilito dalla Regione Piemonte. Per un progetto a media intensità assistenziale,un giorno di permanenza nel centro diurno costa 82 euro. Questo è il costo, comprensivo di vitto, trasporto e di tutte le attività terapeutiche e socio riabilitative che si svolgono quotidianamente, in regime di convenzione con l’Asl. A seconda del livello assistenziale, varia la compartecipazione alla spesa da parte dell’ASL. Nel caso di ospiti privati, il costo della prestazione viene individuato in base al progetto individualizzato..
Avete molti casi in regime di rapporto privato?
Pochi. La maggior parte degli ospiti sono in convenzione e alcuni frequentano soltanto qualche giorno la settimana.
Perché le famiglie ritengono oneroso anche il regime di convenzione?
Sì. Credo proprio di sì. Comunque, per addivenire alla convenzione occorre superare una lista d’attesa.
Invece, se uno accedesse privatamente, il posto c’è, vero?
Sì, in questo momento è ancora possibile fare degli inserimenti. 
Un’ultima domanda, dott.ssa Mantovani: cosa accade quando un disabile rimane senza famiglia? Senza alcuno che possa (accetti di) prendersi cura  di lui?
Dispone il tribunale. E’ il tribunale che valuta caso per caso e può nominare un amministratore di sostegno. Uno che affianchi il disabile nelle decisioni da prendere e sia abilitato a prenderle al suo posto quando lui non ne è in grado. 
Molto spesso, per ovvi motivi, la figura coincide con quella del dirigente del centro in cui il disabile è ospitato.





Dott. Cremonte: Sindrome dello spettro autistico, uno su quattro ne esce

Alessandria, intervista di Pier Carlo Lava e Giancarlo Patrrucco, al dott: Maurizio Cremonte, responsabile dell’unità di neuropsichiatria all’ospedale infantile “Cesare Arrigo”, dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria. Secondo il Dott. Cremonte, con una diagnosi precoce e terapie adeguate, dalla sindrome delle spettro autistico, nel 25% dei casi si può anche uscire. Le domande:

Lei è la persona più adatta a spiegarci questa complicata definizione di “sindrome dello spettro autistico”. Può definircela in maniera semplice, nei suoi aspetti generali, paradigmatici?

I numeri la danno in aumento, come va in Alessandria?

Dicevamo, una definizione complicata, ma anche le cause sembrano complicate, cosa ci può dire in merito?

E i rimedi? Ogni tanto esce la notizia di qualche cura “miracolosa” e le famiglie partono per i viaggi della speranza, lei cosa ne pensa? 

Abbiamo parlato di cause e di rimedi, magari fasulli. Ora ci vuole riassumere le fasi del lavoro che svolgete qui, da quando arriva una segnalazione di sospetto autismo?




L’autismo in Alessandria

2. Il servizio di neuropsichiatria infantile

Giancarlo Patrucco

Dopo aver sentito le famiglie, il nostro percorso incrocia il servizio di neuropsichiatria infantile presso l’ospedale “Cesare Arrigo” di Alessandria. Prima di proseguire, infatti, ci è sembrato opportuno capire e far capire in maniera più circostanziata che cos’è l’autismo. E chi poteva spiegarcelo meglio del dottor Maurizio Cremonte, che del servizio di neuropsichiatria infantile è primario, motore, anima e storia?

Quello dell’altro giorno, venerdì 7 novembre, è stato un incontro intenso, che doveva durare 30-40 minuti ed invece si è prolungato per quasi due ore. Due ore passate a tu per tu con un uomo che convive con l’autismo, ne conosce tutte le manifestazioni, tutti i risvolti, tutte le conseguenze. Spero di essere riuscito a rendere nella trascrizione che segue anche soltanto un briciolo di quanto il dottor Cremonte ci ha detto e, soprattutto, dell’intensità partecipativa che ci ha messo. Se, poi, vorrete ascoltarlo direttamente, c’è sempre il video dell’intervista, curato da Pier Carlo Lava, mio compagno d’avventura come la volta precedente: http://youtu.be/79Jdy2hvzfw  

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Dottor Cremonte, Lei è la persona più adatta a spiegarci questa complicata definizione di “sindrome dello spettro autistico”. Può definircela in maniera semplice, nei suoi aspetti generali, paradigmatici?

In effetti, la variabilità del disturbo dello spettro autistico è molto ampia. Varia l’intensità, tra soggetti colpiti più lievemente e soggetti colpiti in maniera più grave. Varia la tipologia dei disturbi che questi soggetti manifestano e la maniera in  cui si combinano tra loro. Possiamo dire, comunque, che gli elementi caratteristici del disturbo sono essenzialmente tre: una difficoltà nell’interazione sociale reciproca, cioè nella relazione con gli altri; una difficoltà di comunicazione verbale e non verbale; la presenza di comportamenti, interessi ed attività ristretti, ripetitivi e stereotipati.

Insomma, il soggetto autistico vive una condizione di disturbo, più o meno grave, nella relazione, nella comunicazione e nel suo rapporto con la realtà che lo circonda.

I numeri la danno in aumento. Ha dei numeri anche lei? Come va in Alessandria?

Sì, abbiamo dei numeri. La Regione Piemonte e la Regione Emilia Romagna sono tra le poche in Italia a poter fornire dati e statistiche al riguardo. Ciò si deve, almeno in Piemonte, alla presenza di una rete informativa regionale (npi.net) e alla grande opera di sensibilizzazione condotta presso i presidi sanitari, i pediatri, le scuole, le famiglie, nonché ad un affinamento delle tecniche diagnostiche. Oggi siamo in grado di diagnosticare un disturbo dello spettro autistico molto precocemente, entro i due anni di età. E voi sapete senz’altro quanto conti una diagnosi precoce in questo campo.

Ma, per restare ai numeri, a livello regionale questi ci dicono che la percentuale attuale è intorno al 4 su 1.000. Cioè, 1 bambino ogni 250 soffre di una sindrome dello spettro autistico.

Una percentuale elevata, dottore…

Senza dubbio. Un bacino come quello alessandrino-astigiano conta circa 100.000 minori. Al 4 per 1.000, fate voi.

Dicevamo, una definizione complicata. Ma anche le cause sembrano complicate. Ci può dire qualcosa in proposito?
Potrei risalire nel tempo, quando si dava la colpa dell’autismo alla famiglia. Alla madre in particolare, colpevole di inaffettività. Ma la verità, quella scientifica, dice che l’autismo è un disturbo neurobiologico che coinvolge lo sviluppo del cervello e della mente e a cui concorrono sia fattori genetici che ambientali.
Non a caso si dice che l’autismo è una sindrome complessa. Perché complesse sono le cause e complessi i loro effetti.
E i rimedi? Ogni tanto esce qualche cura “miracolosa” e le famiglie partono per i viaggi della speranza. Cosa ne pensa Lei?
Nel 2011, l’Istituto Superiore di Sanità ha redatto e pubblicato le Linee Guida sul trattamento dei disturbi dello spettro autistico. In quel lavoro, molto minuzioso e molto attento, sono stati presi in esame tutti i trattamenti praticati e, per ogni trattamento, si è proceduto a una validazione dei risultati sulla base dell’evidenza scientifica. Lì, si fa giustizia delle molte promesse che non si realizzano mai e dei molti rimedi spacciati per miracolosi. Lì, si attestano anche i rimedi che, a breve o a medio termine, hanno dato risultati. Ma, come in tutti gli ambiti della medicina, anche in questo campo l’evoluzione seppur lenta è continua, anche se una condizione resta prioritaria: che la diagnosi sia precoce. Prima dei 2 anni, se possibile, e, comunque, da noi la media si aggira al di sotto dei 3 anni d’età.
Abbiamo parlato di cause e di rimedi, magari fasulli. Ora ci vuole riassumere le fasi del lavoro che svolgete qui, da quando arriva una segnalazione di sospetto autismo?
Ve lo dico subito. Noi prendiamo in carico i soggetti al momento della segnalazione, procediamo agli accertamenti necessari, arriviamo alla diagnosi e affidiamo a nostra volta i casi ai presidi sul territorio per l’opportuno trattamento terapeutico, salvo poi eventualmente rivederli a scadenze periodiche per una rivalutazione del quadro e dei risultati raggiunti.
Ma le terapie…
Lo so. Questo è un aspetto dolente della questione. Un trattamento terapeutico in caso di autismo è lungo, può durare anni e anni. Dev’essere costante, intensivo e deve coinvolgere la famiglia e tutti gli attori che lavorano a vario titolo con il soggetto. Dev’essere personalizzato, proprio perché, come dicevamo prima, ogni bambino è un caso a sé, con le sue singolarità, le sue peculiarità e le specifiche evoluzioni.
Va da sé che è anche costoso. Molto costoso. E i soldi a sufficienza non ci sono. Non li ha lo Stato, non li ha il Servizio sanitario nazionale, e quindi le Asl e gli Enti Locali. 
Qualcosa si può fare. La certificazione di invalidità vale un sussidio e altri sgravi fiscali. La sinergia pubblico-privato permette di abbassare i costi, anche in maniera sensibile, specie per i meno abbienti. 
E’ un settore comunque da rivedere e da potenziare, e in Regione a questo si lavora, con il concorso di tutti i presidi periferici.
Proviamo a concludere con una parola di speranza, dottore. Pare che l’autismo non si sconfigga mai totalmente. Ma ci sono possibilità di arrivare a una vita migliore? Qualcuno ce la fa?
Sì, qualcuno ce la fa. Tenete conto di quanto dicevamo prima: lo spettro del disturbo è molto ampio. Ora, all’interno di quello spettro esiste la possibilità di “uscirne” per il 20-25% dei casi. Ciò non significa guarigione. Possono persistere difficoltà, rimanere problemi, manifestarsi disturbi, ma nel complesso questi soggetti possono anche godere di una vita autonoma e soddisfacente.
Ripeto: a patto che la diagnosi sia il più precoce possibile e che il trattamento sia idoneo. Insisto, perché la speranza di un recupero soddisfacente spesso sta tutta qua.





“Il Sole dentro”, Autismo: Diagnosi precoce e competenza    possono fare la differenza
Alessandria: Abbiamo incontrato per un intervista Renato    Peola, vicepresidente, e Milena Brancaleon, componente del  direttivo de “Il sole dentro”, un’associazione alessandrina  senza scopo di lucro, che si occupa dei bambini autistici e delle loro famiglie.
Le domande:
Signor Peola, come certamente saprà, l’autismo è stato per lungo tempo un problema trascurato. Soltanto negli ultimi anni c’è stato un risveglio di interesse, forse perché i casi sono in continuo aumento. Ci può riassumere in breve la situazione alessandrina? In aumento anche noi?
Di qui, immaginiamo, nasce l’esigenza di creare “Il sole dentro”. Potete farci la “fotografia” della vostra associazione: chi, come, quando, quanti?
Fra chi ci segue, ci saranno senz’altro genitori con gli stessi problemi vostri. Potete raccontare loro quali sono gli scopi dell’associazione e i progetti a cui state lavorando?
E’ indubbio che, per fare queste cose e altre ancora, servono soldi. Servono finanziamenti pubblici e privati, nonché l’intervento delle istituzioni preposte. Ci potete dire come va in questo campo?
Signora Brancaleon, è certo ormai che tanto più precocemente l’autismo viene diagnosticato e trattato, tanto più è possibile registrare miglioramenti nei soggetti colpiti. Ci può descrivere come ha vissuto lei, da mamma, queste fasi? 
Un’ultima domanda, la più dura. Sappiamo che, oltre all’ansia che accompagna la vita quotidiana dei genitori, c’è anche un tarlo che rode: quando noi non ci saremo più, che sarà dei nostri figli? Le istituzioni hanno una risposta? E voi?
Pier Carlo Lava



L’autismo in Alessandria 1. L’associazione “Il sole dentro”
Associazione “Il sole dentro”, l’intervista:
Signor Peola, come certamente saprà, l’autismo è stato per lungo tempo un problema trascurato. Soltanto negli ultimi anni c’è stato un risveglio di interesse, forse perché i casi sono in continuo aumento. Ci può riassumere in breve la situazione alessandrina? In aumento anche noi?
I dati accertati a livello nazionale parlano ormai di 1 bimbo autistico ogni circa 100 nati. Non siamo in possesso di statistiche a livello locale, ma tutto fa pensare purtroppo che anche nel nostro territorio la frequenza non si discosti più di tanto da quella delle altre località italiane.
Negli ultimi decenni i casi sono aumentati in maniera esponenziale. Probabilmente perché le diagnosi vengono eseguite più frequentemente e con modalità più appropriate, ma anche per fattori ambientali.
Di qui, immaginiamo, nasce l’esigenza di creare “Il sole dentro”. Potete farci la “fotografia” della vostra associazione: chi, come, quando, quanti?
La nostra Associazione è nata nel Marzo del corrente anno, per volontà di un gruppo di genitori ed amici che, avendo riscontrato notevoli carenze  nel servizio pubblico in merito all’assistenza riservata ai soggetti autistici, ha pensato di organizzarsi per sopperire, almeno in parte ad esse, cercando così di fornire il dovuto appoggio anche sotto il profilo economico, garantendo servizi a costi accessibili a tutte le famiglie. 
Il Sole Dentro a tutt’oggi vanta circa 30 soci ordinari ai quali vanno aggiunti numerosi amici che hanno aderito all’iniziativa fornendo la loro disponibilità operativa ed economica.
Fra chi ci segue, ci saranno senz’altro genitori con gli stessi problemi vostri. Potete raccontare loro quali sono gli scopi dell’associazione e i progetti a cui state lavorando?
Dello scopo prioritario si è già detto. L’Associazione, pur non disponendo ancora di una sede operativa, si è già mossa organizzando attività collettive ludiche e ricreative nonché corsi estivi ed invernali di TMA ( Terapia Multisistemica in Acqua) e valutazioni logopediche.
Presto, con l’apertura della nuova sede operativa, saranno praticate altre tipologie di attività che verranno finanziate almeno in parte, mediante la raccolta fondi attraverso la presentazione di progetti ad enti e fondazioni.
E’ indubbio che, per fare queste cose e altre ancora, servono soldi. Servono finanziamenti pubblici e privati, nonché l’intervento delle istituzioni preposte. Ci potete dire come va in questo campo?
Pur consapevoli della situazione economica particolarmente critica, non dobbiamo demordere perché , anche tra mille difficoltà è possibile trovare chi è disposto ad aiutare le associazioni di volontariato volte al sostegno dei più sfortunati.
Gli enti pubblici spesso non riescono neppure a mantenere gli impegni a cui sono preposti, per cui fondi da destinare ad iniziative come la nostra non ne posseggono. Esistono tuttavia fondazioni, club ed altri sodalizi che si sono posti come obiettivo l’aiuto alle associazioni di volontariato.
È’ a loro che ci si deve rivolgere per l’ottenimento dei fondi necessari per le nostre attività.
Signora Brancaleon, è certo ormai che tanto più precocemente l’autismo viene diagnosticato e trattato, tanto più è possibile registrare miglioramenti nei soggetti colpiti. Ci può descrivere come ha vissuto lei, da mamma, queste fasi?
Purtroppo la diagnosi a mio figlio è stata fatta quando il bimbo aveva già 4 anni. Posso però affermare che nei 4 anni trascorsi da allora, Emanuele, grazie alle terapie sostenute per lo più privatamente, ha evidenziato un netto miglioramento sia  sotto il profilo cognitivo che comportamentale.
Tengo a sottolineare che se la diagnosi fosse stata eseguita più precocemente, il mio bimbo probabilmente avrebbe ottenuto risultati ancora migliori. C’è però da lamentare che le cure hanno richiesto esborsi notevoli, con conseguenti sacrifici economici spesso al limite delle possibilità.
Un’ultima domanda, la più dura. Sappiamo che, oltre all’ansia che accompagna la vita quotidiana dei genitori, c’è anche un tarlo che rode: quando noi non ci saremo più, che sarà dei nostri figli? Le istituzioni hanno una risposta? E voi?
Le istituzioni spesso stentano a dare risposte in merito al presente. Figuriamoci sul futuro!
Il problema circa l’avvenire dei nostri figli è ciò che più assilla il pensiero di tutti i genitori fin dal giorno in cui si è ricevuta la diagnosi, ma è anche la spinta che ci viene fornita per far sì che, seguiti adeguatamente, i nostri ragazzi possano ottenere quelle autonomie che consentiranno loro di condurre un’ esistenza più serena e meno problematica.
La nostra Associazione, tra gli altri, si pone l’obiettivo di divenire per loro una seconda casa in grado di fornire tutti i sostegni di cui necessitano, creando spazi, legami, condizioni ambientali, che possano garantire loro un futuro comunitario e solidale.
Giancarlo Patrucco






Il neuropsichiatra Giovanni Valeri: «L’ importanza della diagnosi precoce»

L’intervista di Giovanni Valeri

«L’autismo, o meglio, il disturbo dello spettro autistico è un’atipica organizzazione di certe aree cerebrali. Sgombrare il campo da leggende è fondamentale per dare il giusto orientamento alla ricerca e alle terapie». Un’intervista a Giovanni Valeri, neuropsichiatra dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, alla rivista Left n. 24. […]


da Left n. 24

Dottor Valeri quanto e come è diffuso?

L’incidenza, non solo in Europa, è dell’1%. Ogni 100 gravidanze nasce un bambino con autismo. Solo per fare un paragone statistico, la sindrome di Down riguarda circa un bambino su 700. In un bambino ha un esordio precoce, fra i 14 e i 28 mesi, ma poi ci sono adulti autistici, anziani autistici.

Come si riconosce l’autismo?

I bambini autistici presentano una particolare attenzione per alcuni stimoli sensoriali, per le luci, per alcuni oggetti che ruotano, oppure hanno una ipersensibilità ai suoni, ma hanno scarsa attenzione alla socialità. Va capito il loro funzionamento mentale per poi aiutarli a muoversi in questo mondo che hanno difficoltà a decifrare nei suoi aspetti socio-comunicativi. Per poterli aiutare dobbiamo anche sapere che circa il 50% ha un ritardo cognitivo. Non solo non sono geniali, ma anzi in un caso su due si confrontano con un doppio problema: un ritardo cognitivo e l’autismo.
Quanto e come è diffuso nel mondo?
L’incidenza, non solo in Europa, è dell’1%. Ogni 100 gravidanze nasce un bambino con autismo. Solo per fare un paragone statistico, la sindrome di Down riguarda circa un bambino su 700. Parlando di autismo in genere pensiamo a un bambino autistico ed è vero che ha un esordio precoce, fra i 14 e i 28 mesi, ma poi ci sono adulti autistici, anziani autistici e le politiche sanitarie non sono sufficienti.
Come si riconosce l’autismo?
I bambini autistici presentano una particolare attenzione per alcuni stimoli sensoriali, per le luci, per alcuni oggetti che ruotano, oppure hanno una ipersensibilità ai suoni. Rivolgono il loro interesse verso gli oggetti, ma hanno scarsa attenzione alla socialità. Va capito il loro funzionamento mentale per poi aiutarli a muoversi in questo mondo che loro hanno difficoltà a decifrare nei suoi aspetti socio- comunicativi. Per poter aiutare queste persone dobbiamo anche sapere che circa il 50% ha un ritardo cognitivo. Non solo non sono geniali, ma anzi in un caso su due si confrontano con un doppio problema: un ritardo cognitivo e l’autismo.
Quando si può fare una diagnosi certa?
Equipe specializzate oggi sono in grado di fare diagnosi già a 2 o 3 anni. A 4, solo nei casi più complessi. La diagnosi precoce è fondamentale. Ma ancora oggi l’età media è tra i 4 e i 5 anni, così perdiamo anni preziosi, quelli in cui il cervello è più plastico. E’ davvero un crimine.
Quando si possono riconoscere i primi segni?
In modo attendibile dai primi 14/18 mesi. E dai 24 mesi si possono fare diagnosi. Stiamo studiando anche i fratellini dei bimbi affetti da autismo. Perché in una famiglia che ha già un figlio autistico la percentuale di probabilità non è più l’1 ma sale al 18 %. Per i fratellini proponiamo un monitoraggio dalla nascita fino ai 3 anni. Cerchiamo di capire se prima dei 14 mesi ci sono segnali di allarme. Osserviamo se il bambino già a 8- 9 mesi comincia a presentare scarsa risposta al nome ( un bimbo di un anno se viene chiamato per nome da un genitore in genere si volta), se non compare il gesto indicativo, se usa giocattoli in modo ripetitivo ecc. Prima si riconosce, prima si ha la possibilità di intervenire in questa anomala organizzazione del sistema nervoso centrale.
Esiste il gene dell’autismo?
Non esiste il gene dell’autismo. In medicina esistono disturbi acuti che sono multifattoriali, con una componente genetica. Sono coinvolti vari geni. E conta molto la loro interazione. Dagli anni ‘70 si studia il peso della genetica in vari ambiti. Per esempio sappiamo che l’altezza è determinata in larga parte dalla genetica, ma non esiste il gene dell’altezza. Riguardo all’autismo si è visto, per esempio, che un gemello omozigote di un autistico ha l’80 % di probabilità di esserlo. Abbiamo robusti dati di genetica comportamentale, di studi cioè non sul Dna, ma su gemelli e su adottati che ci permettono di dire che l’autismo al 60 % della sua eziologia è legato a fattori genetici. La genetica molecolare ha individuato una gamma di geni coinvolti: sono geni che hanno a che fare con operazioni di organizzazione cerebrale con la migrazione neuronale, con la sinaptogenesi, con il pruning neuronale ecc. Quei processi di organizzazione cerebrale ci permettono di dire che l’autismo è un disturbo del neurosviluppo.
E il 40 % che non è spiegato da fattori genetici?
Sono stati individuati alcuni fattori ambientali, ma ognuno di essi ha un piccolo effetto, non inciderebbe se non associato ad altri. Il primo fattore è l’età paterna al momento del concepimento. Possono contare anche alcune infezioni virali nei premi mesi di gravidanza. E ancora l’assunzione di alcuni di farmaci, specie nei primi mesi di gravidanza. Come la talidomide.
E’ ancora usato nonostante sia stato individuato come causa di gravi malformazioni al feto?
Anche io sono rimasto stupito del fatto che sia ancora in uso. Il talidomide, preso negli ultimi mesi di gravidanza, dà la sindrome focomelica. Se assunto nei primi tre mesi aumenta il rischio di autismo, perché in quella fase non sono gli arti a svilupparsi ma il cervello. Ma fra le cause dello spettro autistico ci possono anche essere problemi durante il parto, ovvero situazioni di sofferenza perinatale. Un elemento che si sta prendendo in considerazione negli Usa, poi, è l’uso di certi pesticidi. Durante la gravidanza aumentano anche se di poco il rischio dell’autismo. Ci sono studi che riguardano la California dove i pesticidi sono sparsi con l’aereo.
Il Dsm V nello spettro autistico include una serie di patologie molto diverse fra loro, in cui rientrano anche malattie psichiatriche in senso stretto. Che ne pensa?
Nella nosografia psichiatrica c’è stata una cesura nel 1980 con il Dsm III: l’autismo non è stato più considerato come una psicosi, una schizofrenia, ma come un disturbo dello sviluppo. Il Dsm V, dopo 11 anni, ha cercato di sintetizzare gli studi di quest’ultimo decennio. Nella più ampia categoria dei disturbi dello sviluppo, che comprendeva il classico autismo, ma anche l’Asperger e un disturbo generalizzato dello sviluppo non specificato, ha individuato non più differenze qualitative, categoriali, ma differenze dimensionali. Sono tutti casi caratterizzati da grandi compromissioni dalla comunicazione sociale e si dispongono lungo uno spettro che va specificato di volta in volta. Per fare un esempio una buona diagnosi sarà di questo tipo: questa persona presenta un disturbo dello spettro autistico con gravità socio comunicativa media, con gravità nell’area dei comportamenti gravi, non ha ritardo cognitivo, il suo linguaggio verbale è costituito da parole singole, ha condizioni mediche associate come l’epilessia, oppure una particolare iperattività. Ci saranno, dunque, delle specificazioni dello spettro autistico.
L’autismo non si manifesta alla nascita. Il bambino nasce sano e poi si ammala?
Ecco il punto che disorienta i genitori. Il bambino nasce sano, a tre mesi ci sorride poi le prime lallazioni….Poi avviene la catastrofe: questi bambini cominciano a non rispondere più, si perdono le parole che avevano acquisito. E’ anche comprensibile che i genitori cerchino un colpevole, talora erroneamente lo individuano proprio nel vaccino che si fa a quell’età. A 18 mesi l’organizzazione cerebrale fa un salto e permette l’emergenza di nuove funzioni, proprio quelle compromesse nell’autismo. In quella fase avviene l’esplosione del linguaggio il bimbo impara spontaneamente 5 parole al giorno, tutti i giorni. C’è un cambiamento a livello delle connessioni neuronali. Le persone sono portate a pensare che la malattie siano eventi improvvisi o condizioni stabili, nasco cieco, per esempio. Qui è una cosa diversa. Più simile a ciò che succede con la dislessia. Nasciamo dislessici ma il problema si manifesta quando dovrebbero emergere alcune funzioni adeguate. E può accadere che non emergano o che emergano in modo atipico. Ed è proprio in quei primi momenti che noi medici possiamo intervenire in modo più efficace.
Esistono valide terapie?
In Italia abbiamo norme interessanti ma poco applicate. Nel 2011 l’Istituto superiore di Sanità ha pubblicato le linee guida del trattamento dei bambini e adolescenti autistici. Rispettano i protocolli internazionali, sono stilate in base alle conoscenze scientifiche che fin qui possediamo. Vi sono indicati vari tipi di intervento. Alcuni sono mediati dai genitori, per stimolare il bambino alla socialità. Altri sono attuati con strumenti di comunicazione aumentativa (se il bambino ha difficoltà gli diamo dei supporti, delle immagini, dei tablet). Cosa ben diversa dalla comunicazione facilitata, che è inefficace. Poi si sono gli interventi psicologici intensivi in base a un modello cognitivo comportamentale. Infine gli interventi psico educativi strutturati. Se non c’è un ritardo mentale si fanno anche interventi di psicoterapia cognitiva, specie per alcuni disturbi associati all’autismo. Insomma gli interventi vanno selezionati e cuciti su misura, in relazione alla fase di sviluppo del bimbo.
Cosa si può ottenere con questi trattamenti?
Sicuramente dei miglioramenti, ne ho la prova in 30 anni di lavoro. Talvolta i risultati sono talmente buoni che il bambino esce dallo spettro autistico. Sono casi ancora rari, ma esistono. Alcuni studi , inoltre, dimostrano che intervenendo precocemente, quando c’è ancora una grossa plasticità cerebrale, possiamo non solo migliorare il comportamento di questi piccoli ma addirittura permettere che l’organizzazione delle connessioni cerebrali possa riorganizzarsi in modo il più possibile vicino allo sviluppo normale. Un passo avanti notevole, se pensiamo chefino a 20/30 anni il destino delle persone autistiche era finire in manicomio o in istituti per ritardati mentali.
Oggi cosa offre il sistema sanitario nazionale?
Le Asl propongono degli interventi, ma spesso non sufficienti. Interventi psicomotori o logopedia non fanno male ma di per sé non bastano. E’ come se uno avesse la polmonite e gli offrissimo un’aranciata. Così i genitori spesso si devono rivolgere al privato con costi altissimi.
E c’è chi si approfitta della disperazione dei genitori…
Ci sono gli stregoni che, per esempio, fanno fare analisi per individuare intossicazioni. Indicano ai genitori laboratori all’estero – come se in Italia non fossimo in grado di individuare una intossicazione da mercurio- e le analisi, guarda caso, danno sempre risultati positivi. Alle famiglie vengono proposte anche pratiche pericolose come la chelazione contro l’intossicazione da metalli pesanti. Negli Usa per questa via alcuni bambini sono morti per ipocalcemia.
E le“terapie” più naif con delfini e lemuri?
Di certo non curano. Purtroppo anche alcune istituzioni pubbliche sono coinvolte. La Regione Lazio, per esempio, rimborsava dei programmi terapeutici in cui veniva proposto il massaggio per bambini autistici o il massaggio cranio sacrale. A fronte di un dramma che in Italia coinvolge 600mila famiglie vengono erogati dalle regioni interventi che sono insufficienti o del tutto inutili come, appunto, il massaggio o i lemuri. Tantissimi soldi buttati, mentre i fondi per la ricerca sono pochissimi. 





L’autismo non è causato da una mancanza di ossitocina


I ricercatori hanno eliminato una delle spiegazioni più diffuse per l’autismo. L’idea era che i livelli di ossitocina nei bambini autistici potesse essere inferiore rispetto a quelli di altri individui. L’ossitocina è un ormone prodotto dall’ipotalamo e secreto dalla neuroipofisi, una struttura anatomica della grandezza di un fagiolo, posta alla base dell’encefalo. Racchiusa e protetta da una nicchia ossea, l’ipofisi è costituita da due ghiandole contigue che danno origine ad una porzione anteriore e ad una porzione posteriore (neuroipofisi). Oltre alle classiche funzioni ormonali sopradescritte, l’ossitocina possiede anche la capacità di regolare i comportamenti sociali, sessuali e materni. L’ossitocina influisce quindi nelle emozioni e nelle relazioni sociali e di fiducia rispetto agli altri. Lo studio è stato pubblicato negli Atti della National Academy of Sciences, e ha evidenziato come i bambini autistici non avevano livelli più bassi di ossitocina nel sangue rispetto ai bambini con sviluppo tipico.

La teoria del deficit di ossitocina è stata considerata molto interessante poiché le funzioni di questo ormone coincidono con tante difficoltà sociali e di relazione caratteristiche del disturbo dello spettro autistico. Inoltre c’è stata qualche evidenza di come le persone con autismo potevano ottenere un miglioramento con un incremento di di ossitocina. I ricercatori della Mt. Sinai School of Medicine ritengono che l’ossitocina possa essere una terapia utile per l’autismo perché le funzioni fisiologiche dell’ossitocina combaciano combaciano con le caratteristiche comunemente riscontrate in persone con ASD, “studi su animali hanno mostrato che l’ossitocina è coinvolta in una varietà di comportamenti, incluse le relazioni adulto-adulto e adulto-bambino”, la memoria solciale e la cognizione, la riduzione di ansietà e dei comportamenti ripetitivi”, come dichiara la ricercatrice Jennifer Barz.

La ricerca del team del Mt.Sinai ha effettuato uno studio di infusione con un gruppo di adulti autistici ed Asperger. Ciò che hanno riscontrato è stata una “riduzione del comportamenti ripetitivi. Nessuna riduzione è avvenuta nel gruppo placebo”, ha riportato Eric Hollander.Gli esperimenti negli ultimi anni hanno dimostrato come l’ossitocina viene rilasciata in una stretta relazione con sentimenti di di fiducia e di empatia, è stata cosi soprannominata “l’ormone dell’amore”, nel dettaglio i suoi effetti sarebbero quelli di ridurre la pressione del sangue e regola livelli di cortisone anormali, riduce l’ansietà, l’ansietà sociale e la paura, aumentare i legami ed le sensazioni d’amore, migliorare le interazioni sociali e le sensazioni di fiducia, migliorare la soglia del dolore, così come promuovere la crescita e la guarigione ed infine contribuire alla produzione del latte e la allunga durante l’allattamento, e gioca un ruolo importante nella madre per le relazioni col bambino.
Questo ormone risultava cosi molto interessante ed come un potenziale trattamento biomedico per l’autismo vi era inoltre un’altra capacità dell’ossitocina che era quella di migliorare la ricognizione facciale che si rileva essere importante per una più normale interazione sociale e per lo sviluppo delle relazioni.



Parker e il suo team hanno studiato i livelli di ossitocina in circa 200 bambini, compresi i bambini autistici (ASD), i loro fratelli, e bambini con sviluppo tipico. “La nostra ipotesi andava nella direzione comune che i bambini con autismo dovevano risultare con livelli di ossitocina bassi, i fratelli con livelli intermedi ed i controlli neurotipici con livelli massimi. ”
Ma, in realtà lo studio era inerente ai livelli di ossitocina d come interessano il funzionamento sociale sia nei bambini con autismo e quelli senza. Parker ha osservato come i livelli di ossitocina più alti, il funzionamento sociale era più avanzato.”

L’ influenza genetica sui livelli di ossitocina del bambino era molto forte, la probabilità che un bambino risultasse avere livelli di ormone alti o bassi dipendeva dal fatto che i loro genitori avevano livelli di ormone alti o bassi.
Altri risultati potrebbero spiegare perché alcuni bambini autistici hanno risposto ai trattamenti con ossitocina e gli altri no. Secondo un ricercatore della Duke University, Simon Gregory, con, “Potrebbe essere dovuto al fatto che se un ragazzo ha livelli bassi di ossitocina allora può beneficiarne.” Questo ricercatore non è stato coinvolto direttamente in questo ma sta svolgendo altre ricerche con un gruppo di persone con disturbo dello spettro autistico sugli effetti del trattamento con ossitocina.
Gregory risulta sorpreso dai risultati dello studio, tuttavia è evidente di come l’autismo sia uno spettro e non un singolo disturbo, non sarà quindi collegabile ad una sola causa. Ma ha aggiunto che si tratta di uno studio importante poichè più rigoroso e più grande delle precedenti ricerche sul tema, che hanno mostrato risultati contrastanti.
Questo studio non mette la parola fine sulla storia tra l’ ossitocina e il suo coinvolgimento nell’ autismo. I livelli che si trovano nel sangue, potrebbero essere molto diversi da quelli che si trovano nel liquido cerebrospinale che circonda il cervello.









L’autismo è una malattia multi-sistemica con anomalie dello sviluppo, della comunicazione, neurologiche, gastrointestinali, endocrine, immunitarie che viene riconosiuta in un’età mediamente compresa tra i 15 ed i 20 mesi. In passato si riteneva che i bambini nascessero con questo disordine già acquisito. Oggi, nella maggior parte dei casi, il bambino progredisce normalmente e comincia poi a regredire durante la crescita, perdendo progressivamente (o non riuscendo a sviluppare) linguaggio, capacità di socializzazione e abilità fisiche. Ci sono diversi gradi di gravità, ma la maggior parte dei bambini si ritira completamente in un mondo tutto suo .

I bambini autistici generalmente presentano una serie di problemi biomedici e neurologici: molti soffrono di diarrea cronica, a causa di danni intestinali che non consentono loro di assorbire i nutrienti vitali, i minerali e le vitamine essenziali per il funzionamento ottimale del cervello; il funzionamento di fegato e reni è danneggiato, cosa che causa il depositarsi nel loro corpo di alti livelli di sostanze tossiche provenienti dall’ambiente, come piombo, mercurio, alluminio, arsenico e altri metalli pesanti; il sistema immunitario è compromesso al punto che non riescono a combattere anche la più semplice infezione fungale, parassitaria e batterica.

Sebbene oggi si continui a ritenere che i bambini non possano superare l’autismo, che non ci sia una cura adeguata e che quindi, si tratti di una disabilità permanente per tutta la vita, molti bambini migliorano con l’aiuto di interventi medici, volti al ripristino di capacità biologiche quali la digestione corretta dei cibi e l’espulsione delle tossine accumulate. Le terapie possono aiutarli a sviluppare nuovi percorsi cerebrali per acquisire varie abilità. Ci sono casi di bambini guariti, ma a questo punto ancora rari. I casi di guarigione sono in genere ottenuti con un programma intensivo di terapie comportamentali 1 a 1 con un minimo di 40 ore a settimana, accoppiate ad un intervento medico e nutrizionale personalizzato. E’ necessaria maggiore ricerca e comunicazione con i professionisti che si occupano di autismo, per aiutare questi stupendi bambini a guarire e per offrire loro un adeguato sostegno medico e terapeutico.

La nostra speranza, in questa giornata mondiale per l’autismo, è che la scienza possa intensificare il suo impegno per soddisfare le necessità di questi bambini.











Disturbi Pervasivi dello Sviluppo

Disturbo Autistico 

I soggetti che presentano un Disturbo Autistico sono caratterizzati dalla presenza contemporanea di quello che viene definita come la triade del comportamento autistico; uno sviluppo notevolmente anomalo o deficitario dell’interazione sociale e della comunicazione e una marcata ristrettezza del repertorio di attività e di interessi. Le manifestazioni del disturbo variano ampiamente a seconda del livello di sviluppo e dell’età cronologica del soggetto. 

Compromissione qualitativa dello sviluppo delle interazioni sociali

Le persone con autismo presentano una mancanza o difficoltà marcate nella ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone. Inoltre vi è un’incapacità o grave difficoltà a sviluppare relazioni con gli altri e di interpretarne i gesti, l’espressione mimica, le posture e le norme (esplicite o implicite) che regolano le interazioni sociali.
Ad esempio può esservi compromissione nell’uso di diversi comportamenti non verbali come lo sguardo diretto, le espressioni del viso, le posture corporee, o le gestualità che regolano l’interazione sociale e la comunicazione. Soprattutto nei soggetti più piccoli si denota uno scarso, e  talvolta nullo, interesse nel fare amicizia e/o giocare con altri bambini. I soggetti più grandi possono essere interessati all’amicizia ma presentano difficoltà nella comprensione delle convenzioni sociali che normalmente regolano i rapporti tra le persone. 
In generale, nelle persone con autismo può essere presente una mancanza di reciprocità sociale o emotiva (per esempio non partecipare attivamente a semplici giochi sociali, preferire attività solitarie o coinvolgere altri in attività solo come strumenti o aiutanti “meccanici”). I soggetti con questo disturbo appaiono spesso come “incuranti” delle altre persone poiché presentano difficoltà marcate nel cogliere i bisogni degli altri (ad esempio  capire gli stati d’animo di un’altra persona e regolare il proprio comportamento in funzione di esso, ecc…). 
Compromissione qualitativa dello sviluppo delle modalità di comunicazione
Anche la compromissione della comunicazione è marcata e perdurante e riduce le capacità verbali e non verbali. Ad esempio può esservi ritardo, o totale mancanza, dello sviluppo del linguaggio parlato. Anche per quelle persone che accedono alla parola risulta una marcata compromissione delle capacità ad iniziare o sostenere una conversazione con altri. L’uso del linguaggio si presenta in modo ripetitivo e stereotipato e, spesso, è basato sull’ecolalia immediata e/o ritardata. Questo aspetto può indurre a sovrastimare, in quelle persone che riescono a parlare, le loro reali capacità di comprensione del linguaggio. La persona con autismo mostra molte difficoltà nel comprendere il linguaggio “simbolico” e spesso ha problemi nel cogliere metafore, modi di dire, ecc… La persona con Autismo ha una modalità di comprensione ”letterale” delle parole, che spesso le crea difficoltà a comprendere ciò che viene realmente espresso da un discorso, o ad attribuire alla medesima parola dei significati differenti a seconda del contesto. In generale vi è un’alterazione dell’uso pragmatico del linguaggio, evidenziata dall’incapacità di integrare le parole con la gestualità o di capire l’umorismo o gli aspetti non letterali del discorso come l’ironia o i significati impliciti. Il gioco di immaginazione è spesso assente o notevolmente compromesso. 
Nei soggetti che parlano, può esservi anche un uso stereotipato o ripetitivo del linguaggio e uso di linguaggio eccentrico. Può esservi anche una mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo. Nei soggetti che sviluppano il linguaggio, lo stesso può presentare anomalie nell’intonazione, nella velocità, nel ritmo, o nella sottolineatura dei vari messaggi espressi (per es., il tono di voce può essere monotono o inappropriato per il contesto oppure contenere accentuazioni di tipo interrogativo in frasi affermative). In generale le strutture grammaticali sono spesso immature e includono un uso del linguaggio stereotipato e ripetitivo (per es. ripetizione di parole o frasi indipendentemente dal significato; ripetizione di ritornelli o spot pubblicitari). Anche la comprensione del linguaggio è spesso ritardata, e l’individuo può essere in difficoltà nel capire semplici domande o indicazioni. 
Modalità di comportamento, interessi e attività limitati, ripetitivi e stereotipati.
La persona con autismo presenta modalità di comportamento, interessi, e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati. Ad esempio può essere dedita  a uno o più tipi di interesse anomali per intensità o per focalizzazione. Inoltre può presentare abitudini o rituali specifici, manierismi motori stereotipati e ripetitivi, tali da condizionare il normale svolgimento di altre attività più funzionali. In alcuni soggetti può inoltre esservi un persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti. 
I soggetti con autismo mostrano dunque una gamma di interessi notevolmente ristretta, e sono spesso eccessivamente assorbiti da un singolo e ristretto interesse (per es. date di nascita, numeri di telefono, orari dei treni, mettere in fila giocattoli sempre nello stesso modo per più e più volte, o mimare ripetitivamente i gesti di un attore della televisione ecc…).
Inoltre i soggetti con autismo possono mostrare resistenza o malessere per cambiamenti banali (per es. avere una reazione spropositata per  “semplici” cambiamenti nell’ambiente come lo spostamento dei mobili o l’uso di un nuovo set di posate). Vi è spesso un asservimento a rituali apparentemente “inutili”, oppure un’insistenza irragionevole nel seguire certe routines (per es. prendere ogni giorno esattamente la stessa strada per recarsi a scuola o al lavoro). 
I movimenti corporei stereotipati riguardano le mani (battere le mani, schioccare le dita), o l’intero corpo (dondolarsi, buttarsi a terra, oscillare). Possono essere presenti anomalie della postura (per es., camminare in punta di piedi, movimenti delle mani o atteggiamenti del corpo bizzarri). Questi soggetti mostrano un persistente, eccessivo interesse per parti di oggetti (bottoni, parti del corpo). Possono essere anche affascinati dai movimenti (per es. ruote dei giocattoli che girano, aprire e chiudere la porta, un ventilatore elettrico, o altri oggetti che ruotano rapidamente). Vi può essere intenso attaccamento ad alcuni oggetti inanimati (per es., un pezzo di spago oppure un elastico).
L’anomalia deve manifestarsi con ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree prima dei 3 anni di età: interazione sociale, linguaggio usato per l’interazione sociale o gioco simbolico o di immaginazione. Nella maggior parte dei casi, non vi sono periodi di sviluppo chiaramente normali, sebbene in circa il 20% dei casi i genitori riferiscono uno sviluppo relativamente normale per 1 o 2 anni. In questi casi i genitori possono riferire che il bambino aveva acquisito alcune parole per poi averle perse, o che sembrava essersi fermato dal punto di vista dello sviluppo.
Per definizione, se vi è un periodo di sviluppo normale, questo non si può estendere oltre i 3 anni di età. L’anomalia non deve essere meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia.


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