Contraddizioni “quirinarie” by Giancarlo Patrucco
Giorgio Napolitano aveva appena annunciato che si sarebbe
ritirato in un futuro molto prossimo e già la politica entrava in
fibrillazione. Non c’è niente da fare. Tu mantieni in piedi i “baracconi” dei
politici perché si occupino degli affari tuoi e loro, appena possono, si
buttano a pesce sui giochini che li riguardano. Hai un bel dire, far notare,
osservare che, al presente e purtroppo in futuro, le questioni che assillano la
gente comune sono quelle economiche. Un giorno sì e quello dopo pure, esce una
statistica che ci dice quanto siamo
mal piazzati: la disoccupazione aumenta, il
divario nord sud è diventato voragine, i giovani vanno a cercar fortuna
all’estero, i commercianti stanno a mo’ di sentinelle in negozi
desolatamente vuoti, gli artigiani tirano giù le serrande, i poveri crescono in
maniera impressionante, ma politici e spesso anche media sono persi dietro il
giochino del momento, le quirinarie. Ovverossia, tessere alleanze, cercare di
riannodare antichi fili, parlarsi all’orecchio, correre da uno all’altro e,
soprattutto, descrivere identikit sulla base dei quali buttar là nomi. A volte
a caso, a volte per tastare le risposte, a volte per bruciare gli altri in
questa corsa forsennata.
Di qui, nascono alcune, palesi contraddizioni e hanno
origine molte assurdità che esprimono lo stato dell’arte della politica
nostrana. I suoi limiti, il modo di intenderla e di praticarla, le furberie e
le meschinerie che l’attraversano da sinistra a destra. Senza distinzioni.
Cominciamo dall’elemento fondante. Come dev’essere il nuovo
Presidente della Repubblica? Uno che interviene, che rimbrotta, che sprona,
oppure un arbitro che cerca di regolare il gioco, o ancora, un semplice garante
della Costituzione? Vai a capirlo.
Ogni tanto, però, qualcuno esprime un rammarico: sarebbe
meglio che fosse scelto dai cittadini e non soltanto da poco più di mille
“grandi elettori”. Il Fatto Quotidiano ci ha provato e ha lanciato le
“quirinarie” tra i suoi lettori, ottenendo un risultato a dir poco sorprendente:
la vittoria, per distacco, di Gianfranco Magalli, notissimo e navigatissimo
presentatore di talk show televisivi sulle reti Rai.
Lo sconcerto è stato tale che persino Magalli è intervenuto,
con arguzia, a smussare la questione. Chi ha risposto “Magalli” lo ha fatto a
ragion veduta, oppure perché voleva metterla in ripicca? Voi non ci fate votare
se non per finta, e noi per finta facciamo.
Mi limito a far notare che ci sentiamo dire spesso come la
politica ormai vada avanti a nomi. Se uno riesce a bucare lo schermo e ad
attrarre le folle, tira su la bandiera – spesso col suo nome sopra – la
sventola e mostra la via. Quasi sempre funziona, come dimostrano i risultati di
Berlusconi, di Grillo, di Renzi e ora di Salvini. Ma quanto dura? E,
soprattutto, cosa c’è dietro? L’Italia repubblicana è nata come democrazia di
tipo rappresentativo, basata sull’adesione agli ideali e ai programmi dei
partiti, che portavano milioni di persone non tanto a fare il tifo ma a fare
politica, a praticarla, a spendersi e a sacrificarsi per le idee espresse dal
partito cui aderivano. Saltate le organizzazioni di partito, saltate le
mediazioni che al loro interno si praticavano, ormai tutto è diventato un
gigantesco talk show. Quindi, perché non Magalli for president? O Mara
Venier, visto che al Quirinale una donna non c’è ancora stata?
Allora, coraggio. Lasciate scegliere a noi. Non importa che
il presidente sia un interventista, o un arbitro o un garante. Importa che
piaccia. Poi, sarà lui a dare la linea. Anche qui. Anche al Quirinale.
D’altronde, persino i talk show oggi mostrano la corda. Ora va di moda il
talent, dove uno, uno solo vince, fino al prossimo vincitore, la prossima
stagione. Solo che, nel nostro caso, bisogna aspettare sette anni e non si può
nemmeno cambiar canale.
La seconda contraddizione discende direttamente dalla prima.
A parte Magalli, messo inopinatamente in mezzo, sono molti quelli che dicono no
a un politico, specialmente se è di lungo corso. Troppo frusti, troppo
addentro, troppo compromessi. Il potere logora e loro ne hanno disposto a piene
mani.
Ma non si è sempre detto che il ruolo del Presidente è
delicato, quindi va affidato a mani esperte, che conoscano le tecnicalità ma
siano anche addentro alle segrete cose? Chi, meglio di un politico, può rivestire
quei panni con la competenza e l’equilibrio che il ruolo richiede?
Anche in questo caso, le risposte che trapelano non fanno
che aumentare la confusione. Qui, dentro a ogni partito di contraddizioni ne
trovate almeno due: una annunciata alla luce del sole e una che si intravede in
sottofondo. Prendete a caso. Alfano ha sempre protestato di fronte alle
decisioni in materia costituzionale ed elettorale, prese da Renzi e da
Berlusconi. Non si fa così. Va bene consultare le opposizioni, ma soltanto dopo
l’espressione di un’opinione di maggioranza. E in quella maggioranza c’è anche
l’NCD, quindi vogliamo essere sentiti prima. Poi, il giorno dopo, vede
Berlusconi per “trovare un’intesa su un nome a cui possa affidarsi tutta la
parte moderata”. Il nome in questione è quello di Martino, ma già si sa che
servirà a testare le prime tre votazioni. Poi si vedrà come proseguire
perché intanto Berlusconi ha bisogno di tenersi aggrappato a Renzi. Non può
lasciarselo scappar via.
Prendete Grillo. In queste ore ha annunciato un cambio di
tattica: prima, voleva che Renzi facesse i nomi, per verificarli tramite la
solita operazione referendaria fra gli iscritti ai 5 Stelle. Ora dice che non
parteciperà alla consultazione annunciata da Renzi per domani, quella in cui il
partito di maggioranza farà, appunto, i nomi. Tanto è tutta una montatura, urla
Grillo. Già si sono messi d’accordo e già sanno come va a finire, tra Renzi e
Berlusconi. Ho capito, ma i 5 Stelle chi vorrebbero? Li faccia Grillo, i suoi
nomi.
La questione si aggroviglia intorno alla proposta di SEL e
della minoranza PD. Qui non si capisce nemmeno se è tutta la minoranza PD o
solo quella che fa riferimento a Civati. Si capisce comunque l’obiettivo:
impedire la chiusura della trappola del Nazareno, il patto scellerato fra Renzi
e Berlusconi, che vorrebbe portare al Colle uno che non disturbi i manovratori,
scelto fra Amato, Mattarella e Castagnetti. Grillo ne è certo, tanto da
sfilarsi dalla compagnia degli oppositori per fare opposizione a modo suo.
E Renzi? Per ora tace, attende lunedì. Tanto che aspetta, mi
permetterei di dargli un consiglio: non torni indietro. La gente si aspetta un
talent con nuovi competitori e non una riedizione del secolo scorso.
D’altronde, la sua parola d’ordine fin da quando è apparso sulla scena
nazionale è stata “rinnovamento”. Smentirsi alle presidenziali suonerebbe
come una smentita all’intera sua gestione. So bene che non può neanche buttarsi
sul nuovo a tutti i costi. Rischierebbe di trovarsi al Quirinale una personalità
di grande livello e di grande risonanza, ma priva di ogni sia pur minima
esperienza di gestione dello Stato. Al limite, uno che potrebbe rivelarsi
d’impaccio, più che d’aiuto.
I nomi che deve fare stanno dentro la quadratura di questo
cerchio. Guardi, guardi bene. Vedrà che ci sono. Chi? Ah, no! Il giochino
continua. Aspettate almeno domani.
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