La parola, il riso e il comico Alessandrinismo di Pee Gee Daniel
video: http://youtu.be/KsA_4spLe84
Sono
nato a Torino, dove ho vissuto, lavorato e studiato a lungo, come ho vissuto in
tante altre città, ma, alla fine della fiera, sono sin nel profondo della città
dei miei padri, in cui sono tornato a risiedere stabilmente da almeno una
decina d'anni. Io non mi sento alessandrino, ma per fortuna o purtroppo lo
sono, potrei affermare parafrasando Gaber.
Ma mi ci sento pure: dopo un lungo
tergiversato rapporto con la mia odiosamata città, ormai – sarà l'incalzante
maturità – ci sono venuto a patti, definitivamente. E del resto una delle prime
caratteristiche del tipico alessandrino è che è lui il primo e più agguerrito
detrattore della propria città.
Tanto per fare un breve esempio, ecco come
parlo di essa in un passaggio tratto dal mio ultimo romanzo, in fase di stampa
per la Twins Edizioni, dal titolo Sulle tracce della Ci**gna Voltaica:
"Insiste proprio nel mezzo di quello che alle scuole primarie si insegnava
essere il Grande Triangolo Industriale, i cui vertici ci spiegavano
identificarsi con i tre capoluoghi di regione più popolosi e fitti di attività
economico-finanziarie di tutto il Nord-Ovest, nonché traino emerito - almeno
allora - dell'intero assetto venale della Penisola. Ebbene, codesto benedetto
capoluogo di provincia di cui trattiamo ci sta proprio nel bugno, al suddetto
Triangolone, sta a dire: nel suo preciso centro geometrico. Senza per questo
godere delle novità e delle voghe che alimentano una metropoli, ma tutt'al più
parassitandone, di quando in quando, gli umori più rancidi: se ne sta cioè
nelle esatte condizioni di una piattola appiccicata sopra un peloso delta di
Venere"(1).
Ma
perché e percome ride un alessandrino? (anche se meglio sarebbe dire:
ridacchia) Se uso il presente spazio per una disamina tanto (apparentemente)
localistica è solo poiché l'umorismo di questa cittadina piemontese dà l'idea
di avere una sua esemplare peculiarità. Vi è chi, troppo precipitosamente, tra
i foresti scambia lo spirito alessandrino per sarcasmo, che, com'è noto, deriva
dal greco antico sarkàzein, che a sua volta trova il suo etimo in sàrx
(=carne). Il sarcastico, dunque, è colui che fa a brani, addenta e lacera,
dilania, divelle e strappa via i brendoli di chi ha scelto propria vittima, più
o meno metaforicamente. È un operazione univoca, come si potrà intuire: c'è chi
irride, anche con una certa crudeltà, e chi viene irriso. Che poi quest'ultimo
stia al gioco o meno è una sua libera scelta. Ciò non toglie che i ruoli non
possano essere confusi e invertiti.
Il
sarcasmo si trova ovunque, non ha luoghi geografici prediletti, né tantomeno
classi sociali o milieu particolari ove agire. La sua scena è il mondo, a pari
condizioni con altri tipi di spasso, anche molto differenti da esso.
L'umorismo
alessandrino invece, bene o male, è altra cosa. Anch'esso può sembrare, a tutta
prima, più caustico della soda, ma con questa importante differenza: ha un
corso biettivo; a doppio senso, per dir così. Gli alessandrini si sbeffeggiano
(o si perculano potremmo anche dire, ricorrendo a un recente neologismo) l'un
con l'altro, in tenzoni tra parigrado che possono perdurare per intere serate,
o pomeriggi spesi al bancone in un dolce far niente primaverile. E chi non sappia
contrastare i colpi dardeggiategli dall'avversa fazione semplicemente viene
lasciato perdere, senza ulteriori accanimenti, ma semmai con una di quelle
compassioni che si manifestano verso gli animi nati deficitari di un aspetto
pressoché indispensabile per sapersene stare a questo mondo coi giusti mezzi...
Un
rilievo ancor maggiore viene però da dare a una seconda componente
dell'alessandrinità, che sembra capace di renderla ben più nobile ai nostri
occhi, a dispetto delle parvenze: il bersaglio privilegiato dei buontemponi
locali è il vanaglorioso, quello tutto fumo e niente (o pochissimo) arrosto;
chi, insomma, si presenta convinto e ama sballarle grosse sul proprio conto
nella speranza di farsi credere ciò che non è. Ecco, questo, in special modo, dà
gusto all'alessandrino: ridimensionare il gadano, magari a favore di chi più
meriti, senza però sapersi vendere con eguale prosopopea.
Molto
indicativo, a tal proposito, il motto che campeggia sul gonfalone municipale:
Deprimit elatos, levat Alexandria stratos (trad.: Alessandria umilia i superbi
ed esalta gli umili). Una livella morale che, seppur composta di risatacce e
sfottò, ci appare tutt'altro che disprezzabile.
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