La parola, il riso e il comico Alessandrinismo di Pee Gee Daniel


Sono nato a Torino, dove ho vissuto, lavorato e studiato a lungo, come ho vissuto in tante altre città, ma, alla fine della fiera, sono sin nel profondo della città dei miei padri, in cui sono tornato a risiedere stabilmente da almeno una decina d'anni. Io non mi sento alessandrino, ma per fortuna o purtroppo lo sono, potrei affermare parafrasando Gaber. 
Ma mi ci sento pure: dopo un lungo tergiversato rapporto con la mia odiosamata città, ormai – sarà l'incalzante maturità – ci sono venuto a patti, definitivamente. E del resto una delle prime caratteristiche del tipico alessandrino è che è lui il primo e più agguerrito detrattore della propria città.

Tanto per fare un breve esempio, ecco come parlo di essa in un passaggio tratto dal mio ultimo romanzo, in fase di stampa per la Twins Edizioni, dal titolo Sulle tracce della Ci**gna Voltaica: "Insiste proprio nel mezzo di quello che alle scuole primarie si insegnava essere il Grande Triangolo Industriale, i cui vertici ci spiegavano identificarsi con i tre capoluoghi di regione più popolosi e fitti di attività economico-finanziarie di tutto il Nord-Ovest, nonché traino emerito - almeno allora - dell'intero assetto venale della Penisola. Ebbene, codesto benedetto capoluogo di provincia di cui trattiamo ci sta proprio nel bugno, al suddetto Triangolone, sta a dire: nel suo preciso centro geometrico. Senza per questo godere delle novità e delle voghe che alimentano una metropoli, ma tutt'al più
parassitandone, di quando in quando, gli umori più rancidi: se ne sta cioè nelle esatte condizioni di una piattola appiccicata sopra un peloso delta di Venere"(1).
Ma perché e percome ride un alessandrino? (anche se meglio sarebbe dire: ridacchia) Se uso il presente spazio per una disamina tanto (apparentemente) localistica è solo poiché l'umorismo di questa cittadina piemontese dà l'idea di avere una sua esemplare peculiarità. Vi è chi, troppo precipitosamente, tra i foresti scambia lo spirito alessandrino per sarcasmo, che, com'è noto, deriva dal greco antico sarkàzein, che a sua volta trova il suo etimo in sàrx (=carne). Il sarcastico, dunque, è colui che fa a brani, addenta e lacera, dilania, divelle e strappa via i brendoli di chi ha scelto propria vittima, più o meno metaforicamente. È un operazione univoca, come si potrà intuire: c'è chi irride, anche con una certa crudeltà, e chi viene irriso. Che poi quest'ultimo stia al gioco o meno è una sua libera scelta. Ciò non toglie che i ruoli non possano essere confusi e invertiti.
Il sarcasmo si trova ovunque, non ha luoghi geografici prediletti, né tantomeno classi sociali o milieu particolari ove agire. La sua scena è il mondo, a pari condizioni con altri tipi di spasso, anche molto differenti da esso.
L'umorismo alessandrino invece, bene o male, è altra cosa. Anch'esso può sembrare, a tutta prima, più caustico della soda, ma con questa importante differenza: ha un corso biettivo; a doppio senso, per dir così. Gli alessandrini si sbeffeggiano (o si perculano potremmo anche dire, ricorrendo a un recente neologismo) l'un con l'altro, in tenzoni tra parigrado che possono perdurare per intere serate, o pomeriggi spesi al bancone in un dolce far niente primaverile. E chi non sappia contrastare i colpi dardeggiategli dall'avversa fazione semplicemente viene lasciato perdere, senza ulteriori accanimenti, ma semmai con una di quelle compassioni che si manifestano verso gli animi nati deficitari di un aspetto pressoché indispensabile per sapersene stare a questo mondo coi giusti mezzi...
Un rilievo ancor maggiore viene però da dare a una seconda componente dell'alessandrinità, che sembra capace di renderla ben più nobile ai nostri occhi, a dispetto delle parvenze: il bersaglio privilegiato dei buontemponi locali è il vanaglorioso, quello tutto fumo e niente (o pochissimo) arrosto; chi, insomma, si presenta convinto e ama sballarle grosse sul proprio conto nella speranza di farsi credere ciò che non è. Ecco, questo, in special modo, dà gusto all'alessandrino: ridimensionare il gadano, magari a favore di chi più meriti, senza però sapersi vendere con eguale prosopopea.
Molto indicativo, a tal proposito, il motto che campeggia sul gonfalone municipale: Deprimit elatos, levat Alexandria stratos (trad.: Alessandria umilia i superbi ed esalta gli umili). Una livella morale che, seppur composta di risatacce e sfottò, ci appare tutt'altro che disprezzabile.

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