Per la scuola non basta una resa dei conti, Agostino Pietrasanta
Per la scuola non basta una resa dei conti, Agostino Pietrasanta
Domenicale ● Agostino Pietrasanta
Mi pare siano in parecchi a credere che nella vicenda delle dimissioni di Fioravanti la scuola e l’annesso destino non abbiano se non un ruolo strumentale. Con la più olimpica delle tranquillità dirò che le predette dimissioni non potrebbero importarmi di meno, la sospetta resa dei conti all’interno del movimento pentastellato mi potrebbe (condizionale!) riguardare solo per la stabilità del sempre traballante esecutivo, del dissidio tra grillini perché Fioravanti non sembrerebbe disposto a versare i 70.000 euro dovuti per le promesse di correttezza politica della fazione di appartenenza riguarda un’ipotesi cui avevo creduto poco; inoltre sulla questione di un possibile parto di nuova formazione politica non mi farei né problema, né stupore, dal momento che nel merito gli Italiani hanno riserve di creatività infinite: potremmo anche fondare un personale partito per ogni elettore. Come vedete né stupore, né preoccupazione, né interesse specifico. Almeno per quanto attiene le questioni che ho elencato come esempio che potrebbe allungarsi in una infinita filastrocca.
Mi interessa e mi preoccupa invece ciò che viene giustamente considerato, almeno nel complesso della vicenda, del tutto strumentale e cioè l’irrilevanza della scuola nelle scelte della politica di bilancio. Questione seria, ma seria da sempre, anche quando a gestire la cosa pubblica era un ceto dirigente almeno dignitoso.
Ora il problema di fondo sta nel ruolo che la scuola dovrebbe avere secondo la lettera e lo spirito della più bella e più disattesa Costituzione del mondo e tale ruolo apparirebbe (condizionale!!) di sostanza per il nostro sistema democratico. In soldoni se si vuole fondare una democrazia che oltre alle regole della dialettica e del consenso vuole assicurare le capacità dei protagonisti (sarebbe più appropriato dire, tutti i cittadini) non si vede altro percorso che la loro formazione e dello strumento “ sistema scolastico”. Ora tale strumento è sempre (sempre!) stato, per dirla alla Pirandello, stonato. Lasciamo stare la fondazione su cui tante volte abbiamo detto e cioè la formazione e il reclutamento dei docenti; lasciamo stare le responsabilità nel merito dei vari governi e dei diversi sindacati confederali e autonomi che hanno contribuito alla “umiliazione” e al degrado della funzione. Lasciamo stare e veniamo ad un solo (uno!) ma fondamentale capitolo della riforma, in un contesto in cui la formazione iniziale del cittadino esigeva adeguato prolungamento dell’obbligo: dopo l’istituzione della media unica con legge del 1962 non si è fatto più nulla; anzi si sono fatti dei pasticci. Motivo? A mio modesto avviso molto semplice: la più cervellotica cristallizzazione ideologica fra le fazioni cattoliche e laiche in campo. C’era chi voleva un biennio, successivo alla media, comune e chi lo voleva già per divisioni dei percorsi e delle discipline; ora, se le fazioni potevano discutere, l’esecutivo doveva decidere, ma poiché le predette correnti ideologiche erano fonte di consenso e di sostegno elettorale, per non scontentare nessuno non si decise nulla: anzi si decise che ciascuno poteva scegliersi il percorso che trovava, non esclusa la formazione professionale, con quale promozione del merito di chi era privo di mezzi (la Costituzione!), ditelo voi. In seguito le cose proseguirono coi pannicelli dei vari ministri e dei diversi esecutivi, mentre solo i Collegi dei Docenti, con le risorse della “sperimentazione” riuscivano a introdurre qualche significativa novità (lingue straniere, informatica…)
Qui poi, sempre Costituzione alla mano, verrebbe fuori la questione del merito; tuttavia ne abbiamo parlato tante altre volte che non voglio ripetermi: annoierei i lettori (pochi) che mi hanno letto, approvato e criticato e, per un’ovvia valutazione delle mie modeste capacità comunicative non riuscirei certo a convincere coloro (molti) che non mi hanno mai degnato di attenzione.
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