Alessandria: Senza il manifatturiero non si supera la crisi

Renzo PENNA*
Attraverso la presentazione di una Interpellanza in Consiglio Comunale ho cercato di evidenziare i problemi presenti nella Zona Industriale D4 Scalo, non solo per chiedere all’Amministrazione di farsene carico, ma per riportare, nel dibattito generale della città, sulle ragioni del declino e del suo carente sviluppo, una maggiore attenzione allo stato e alle prospettive del comparto manifatturiero.
Sono infatti convinto che la crisi di Alessandria e del suo territorio non si risolve se non si realizzano le condizioni per re insediare - dopo la profonda deindustrializzazione che ha segnato, in particolare, gli ultimi due decenni del secolo scorso - una significativa presenza di realtà industriali in settori caratterizzati da innovazione di processo e di prodotto. A questo proposito, anche se le difficoltà e il sostanziale esaurimento - come soggetto autonomo - della principale Banca del territorio - la CRA - possono essere collegate alle
complesse e convulse vicende che hanno caratterizzato il settore del credito e, soprattutto, quello della finanza, non pare azzardato individuare anche nell’avvenuto azzeramento di interi comparti produttivi, con la chiusura di decine di aziende, una delle ragioni della sua crisi.  
Non ritengo, insomma, che le maggiori responsabilità dell’attuale situazione siano fatte risalire e dovute al dissesto del Comune e alla critica situazione nella quale versa il commercio tradizionale. Non che la prima sia stata ininfluente e non abbia creato serie difficoltà e disagio nelle attività che operano con la pubblica amministrazione e, soprattutto, con le importanti Società partecipare. In più aggravate dal contemporaneo e infelice ridimensionamento dell’Ente Provincia. O che la seconda non influisca anche nell’immaginario collettivo di una città nella quale il settore, specie nel centro storico, ha goduto per anni di una tradizione positiva e di una presenza basata sulla qualità e il buon gusto. Se però si rimane a questo - come mi sembra di rilevare da ciò che in questa città si dice o si commenta - si rischia di discutere più degli effetti di una condizione che indagare le cause strutturali e di fondo che hanno determinato e continuano ad implementare la crisi. In questo modo, oltretutto, non facendo nulla di costruttivo per la sua soluzione.      

La Zona presa a riferimento dall’interpellanza, la D4 Scalo, poi, per la sua collocazione, per le prospettive di più adeguati e meno impattanti collegamenti viari - con la tangenziale - che non si sono realizzati, per la presenza nelle vicinanze di un’altra e più recente zona a destinazione artigianale e commerciale che ha prodotto manufatti in parte incompiuti e in parte non utilizzati, pone, di per sé, la necessità di essere ripensata. Richiamando l’attenzione non della sola Amministrazione comunale, ma dei soggetti che, alcuni decenni fa, hanno avuto la responsabilità del suo avvio: in primo luogo la Camera di Commercio e le Associazioni imprenditoriali.
Nonostante la limitazione  dei collegamenti viari e un certo degrado manutentivo che riguarda la principale via della Zona - via Einaudi - dove si sono anche verificate le maggiori dismissioni e chiusure di attività, nella D4 si sono comunque insediate, negli ultimi anni, una serie di attività in settori nuovi e innovativi. Realtà che stanno anche riqualificando l’area e la cui presenza dovrebbe essere valorizzata e utilizzata come riferimento per il rilancio della Zona. Sono società come la ‘Telerobot’, la ‘Necchi Blu System’ e la ‘Bonino’ che operano in settori dove l’innovazione, la ricerca e la qualificazione del personale ne rappresentano le principali caratteristiche.

Una ricognizione sullo stato delle altre zone industriali ed artigianali della città, sui loro problemi e le loro potenzialità, dovrebbe essere la base sulla quale chiamare la classe dirigente della città a progettare e programmare la ripresa di un nuovo comparto produttivo e industriale incentrato sull’innovazione e la sostenibilità ambientale. 
Sapendo che si parte da un contesto di crisi che perdura. La Camera di Commercio di Alessandria nel 2013, ad esempio, rese noti i risultati dell’indagine sull’industria manifatturiera dell’anno precedente condotta da Unioncamere Piemonte. I risultati della ricerca evidenziarono una situazione di crisi specie per i bassi investimenti (quasi il 62% delle industrie alessandrine non aveva effettuato alcun investimento). L’allora presidente commentò con preoccupazione quei dati denunciando la mancanza di una politica industriale del governo: “senza programmazione e investimenti per il futuro non si fa industria… e questa situazione causerà tempi più lunghi di ripresa anche quando questa comincerà a manifestarsi”. 

Una ricognizione aggiornata che non può che iniziare dal nostro territorio, per iniziativa della politica, degli enti e delle associazioni del settore, chiamando a concorrere le facoltà dell’Università del Piemonte Orientale, per poi richiedere l’attivo ruolo, il protagonismo e il sostegno della Regione. Avendo presente che nuove attività manifatturiere di qualità, risultano fondamentali per la creazione di posti di lavoro e, attraverso la nuova occupazione, possono consentire il graduale superamento di un lungo periodo di declino, di incerto futuro per Alessandria e favorire la ripresa del suo sviluppo. 
*Presidente Gruppo Consigliare di SEL







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