Pd, la Ditta va alla guerra (anche sul referendum) (Luca De Carolis)

Gotor e Fornaro lasciano la Vigilanza in polemica con Renzi. Fronda di 10 per il No.
Basta con i segnali, i distinguo, i sopraccigli alzati. Da ere di parole e mal di pancia repressi ai fatti concreti, ecco un pezzo di minoranza del Pd che va alla guerra. Nero su bianco. Con i bersaniani Federico Fornaro e Miguel Gotor che mollano la Vigilanza Rai, “perché il Pd non può essere il partito della normalizzazione”. E Pier Luigi Bersani che benedice: “Gesto forte e coerente, una politica che pensasse di garantirsi lo storytelling per via di informazione sarebbe patetica”. Poi ci sono dieci parlamentari dem che annunciano il loro No nel referendum costituzionale, con un documento che mette in fila i nodi della riforma renzianissima.Un testo che da qui a settembre potrebbe raccogliere altre firme. “Non è un atto contro il governo” assicurano. Però hanno alzato l’asticella. Con un obiettivo a breve termine, spuntare segnali concreti su correzioni all’Italicum.
E in generale la voglia di influenzare finalmente la rotta, nel Pd dove Matteo Renzi non può più raccontarsi come infallibile, dopo il tonfo nelle Comunali.Ora in vista c’è il referendum costituzionale: lo snodo, l’ossessione che tiene assieme tutto. Anche gli atti di (piccola) insurrezione. “Se Renzi ha spinto su queste nomine è proprio in vista del referendum, ma è un segnale di debolezza, un boomerang che gli si ritorcerà contro” profetizza Gotor. Nega strategie o mosse coordinate con i dieci del documento (“Sono amici, ma è veramente una coincidenza”). Però c’è quel filo rosso a unirli: “La mancanza di risposte sulle modifiche all’Italicum non sta aiutando, il combinato disposto con la riforma non funziona. Serve un’iniziativa del Pd prima del voto, è la condizione per il sostegno: altrimenti sarà un salto nel vuoto…”. Ed è l’ormai fisso pro-memoria: il Sì della minoranza esige contropartita. Certo, poi c’è la Rai. Gotor e Fornaro spiegano lo strappo con una una nota: “Il Pd non è nato per riprodurre i vizi del passato, ci dissociamo da uno stile e da un costume politico che non ci appartiene e rassegniamo le nostre dimissioni dalla commissione di vigilanza Rai”. Poi Fornaro ricorda: “Avevamo chiesto che prima si discutesse del piano editoriale, e invece si è andati dritti, senza trasparenza.Eppure alla Leopolda invocavano i partiti fuori da viale Mazzini…”. Ed è la Ditta che rivendica diversità: “Quando il segretario era Bersani, il Pd fece indicare a delle associazioni Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo per il Cda”. Così non può stupire, l’ex segretario che su Facebook scandisce: “Chi governa il Pd ha ereditato un partito che rifiutò di partecipare alle nomine Rai, senza mai interferire”. E poi affonda: “Sorvegliando e condizionando le notizie puoi guadagnare un po’ di tempo ma sempre al prezzo, quando arriva l’ora, di una smentita più brusca e dolorosa”. In una giornata da trincea, piove pure il documento con i dieci no. Tra i firmatari, Paolo Corsini e Franco Monaco. E il senatore Walter Tocci, tra i pochissimi a votare in Aula contro la legge renzianissima.È lui a riassumere sul suo blog contenuti e ragioni del testo: “Diciamo No alla riforma perché disegna un bicameralismo confuso, un procedimento legislativo farraginoso, un Senato nel quale si dà una contraddizione tra la sua composizione e le sue alte competenze (in materia costituzionale e internazionale) e opera una esorbitante ricentralizzazione nel rapporto tra Stato e Regioni”. Ma c’è anche altro. La mancata chiarezza sull’elezione diretta dei nuovi senatori, a cui diversi dem avevano condizionato il loro sì in aula. Il senatore Massimo Mucchetti, un altro dei firmatari: “Il nostro è anche uno stimolo a rispettare i tanti impegni presi. E comunque non si doveva trasformare il referendum in un plebiscito. La marcia indietro degli ultimi giorni non vale, lo dimostrano le nomine per i Tg: ora abbiamo una Rai a reti unificate e che ha come solo azionista di riferimento Palazzo Chigi, come direbbe Bruno Vespa”. A margine, il vicesegretario Lorenzo Guerini: “Nessun provvedimento per chi ha annunciato il No, siamo un partito, non una caserma”. Ma il timore è che la fronda si dilati.



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