Lettera tardiva a Mia Martini
by fabrizio
centofanti
di Michele
Caccamo
Potessi aspetterei duemila o più di tremila anni pur
di poterti cercare. Per poterti chiedere come sei poi riuscita a levarti di
dosso la polvere dell’ostilità umana.Per chiederti come adesso vedi gli asini e
gli sciocchi: proprio quelli che hanno pianto quando sei partita, quelli che ti
hanno creduta Donna illegittima; proprio quelli che ti hanno riempita di amaro
le narici e le vene; quelli che ti hanno portato in dono le coppe colme di
acido zecchino.Per chiederti se il vento dall’universo abbia saputo rendere più
dolce il tuo morire.
Già, la morte.
Cosa vorrà mai dire quando per come sei venuta te ne
sei dopo andata? Agile cerva piombata in terra dall’ambiente di Dio: come anche
il mare il cielo la luna e qualche altro cuore naturale. Poi diventata
d’improvviso un pensiero di cenere e d’amore.
Hai deciso di chiuderci la tua casa.
Hai deciso di toglierci il mistero della tua voce:
inimitabile e suprema, di quelle che non se ne hanno più.
Hai deciso che la vita fosse un’opposizione inutile
alle tue qualità e allora l’hai aperta: con un grido dentro al seno della terra
sganciando il lembo principale della gloria eterna: come sanno fare i
rivoluzionari ci hai messo un ordigno e un fulmine e un rumore che ancora
stanno rimbombando.
Che poi fossi la Storia, la luce radiosa, la vampa
della canzone italiana, la voce mai più udita, potrebbe non interessare a chi,
come me, ha un intento superiore e meglio saggio.
Per altre colpe sei stata nelle mani di cercatori di
pietre, di matrone linguacciute, di venditori di bestiame; ti hanno bucato il
palpito del petto e approfittando della tua stanchezza ti hanno messa in un
letto di neve, per non fare più aprire alcuna gemma al tuo cuore.
Io, Mia, come per la fede degli innocenti ti
celebro; senza vi sia una realtà adesso vera; come fossi la mia ala sottopelle,
come fossi un sogno grandioso. Molto meglio una speranza.
Io, Mia, attendo l’incontro con la tua pura
coscienza: cerco di immaginarlo fra le tue braccia senza debolezze per la
lunghissima assenza. Attendo di finire nell’altezza della tua rifioritura; così
semplicemente, come in un qualsiasi giorno primaverile.
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