PENSIERI SPARSI: "IL TEMPO E' UN GIOCO", DI STEFANIA PELLEGRINI

 

Alice:“Per quanto tempo è per sempre?” Bianconiglio:“A volte, solo un secondo”.
Lewis Carrol

Nonna raccontaci una storia”.
Mi manca quest'espressione, abita un tempo così lontano che pare non appartenermi neanche più.
In fondo il tempo assume un valore solo quando si lascia dietro, perché solo allora si afferra l'importanza di ciò che vi abbiamo vissuto dentro.
Questa calamità che ha sorpreso tutti noi, sbalzati dalla corriera che prendevamo ogni giorno per andare in mezzo alle voci, alle strette di mano, agli abbracci, ci ha obbligato a chiuderci dentro le nostre case. In molti casi allontanandoci dal calore dei nostri cari, costringendoci a cercare un modo diverso di vivere.
Siamo andati in letargo, rintanati in attesa di tempi migliori, eppure la primavera è già arrivata da almeno un mese e per quanto abbia suonato alla nostra porta, tuttora non siamo in grado di rispondere. Ammiriamo i suoi prodigi attraverso i balconi, i giardini o le finestre delle nostre case, ci illudiamo di vivere le sue meraviglie, perché altro non possiamo fare.
Eppure vedo un pregio, in questo periodo: l'avermi fatto riscoprire il piacere della lentezza, del soffermarsi ad osservare le cose, a riflettere.
Che faccio? Leggo, scrivo, ascolto musica. Cerco di reinventarmi il tempo da vivere che disperda nuvole dal mio cielo, mi riapproprio di ciò che troppo spesso ho sorvolato in preda alla frenesia di un vivere affrettato.
Riscopro, assaporo, il silenzio nell'intensità del suo messaggio. Provo a vivere il presente, ma, mai come adesso, vorrei ritrovare il passato.
So bene che il tempo non ha prezzo, posso usarlo vivendolo e conservarlo attraverso i ricordi che mi lascia, ma mai possederlo.
E questa consapevolezza di non poterlo più avere, perché niente mi riporterà indietro, mi fa intravedere una luce che proietta una scia del passato, e una pioggia di meteore invade il mio silenzio. Mentre il suo odore si scioglie in un velo di nostalgia trovo la consapevolezza della preziosità di quei momenti persi.

Quasi non ricordo più lo sguardo, il timbro di voce, delle nipotine quando chiedevano: “Nonna raccontami una storia”.
Ovunque cerchi, pare uno specchiare lontano, che rifletta solo ombre e luci nebulose.
Qualche volta una nota si leva impercettibile, poi cala come il morire del giorno.
Ecco allora, questa richiesta, trasformarsi in bisogno per me, alla ricerca di un senso al mio trascorrere del periodo un po' incolore, lontano da loro.
E mi viene in mente quando mi chiedevano:
Nonna ma domani è adesso?”, “dici sempre domani; ma quando arriva domani?”.
Erano piccole, certo, forse intorno ai quattro o cinque anni mi pare, ed io rispondevo “dopo che siamo andati a letto a dormire” convinta di aver dato un'idea più chiara di quello che le separava dal domani.
Trascuravo il fatto che, il loro vivere era il presente, a volte neanche di questo avevano un'idea precisa.
Quante volte hanno fatto innervosire la loro mamma perché non rispettavano le consegne di rientrare dopo una certa ora, o quando cercava di spiegare loro che era giovedì e non si poteva rimanere al parco perché c’era la lezione di musica, o che era impossibile restare a cena dai nonni, perché l'indomani martedì c'era scuola e dovevano andare a letto presto.
Per loro il mondo era il momento che vivevano, ciò che facevano in quel preciso istante, e benché abbiano imparato ad aspettare, a distinguere il giorno presente, dal domani, spesso è capitato anche più avanti.
Ho dimenticato come sentissi io lo scorrere del tempo in età prescolare. Che peccato! Quante cose, questa consapevolezza del tempo, mi ha portato a perdere per strada.

Il tempo è un gioco, giocato splendidamente dai bambini” pensava Eraclito e credo che avesse proprio ragione, anche noi adulti dovremmo imparare a farlo ogni giorno.

Stefania Pellegrini ©
 

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