Nel borgo del fantasy: La leggenda di Dafne

Nel borgo del fantasy: La leggenda di Dafne:



La leggenda della Naiade Dafne inizia con il diverbio avvenuto tra i due divini Apollo ed Eros.
Un giorno il dio Apollo si vantò con Eros della sua bravura nel tiro con l'arco asserendo di avere molta più mira e di essere più preciso nel centrare il bersaglio.
Eros per un po’ ascoltò con pazienza le vanterie dell’altro ma, dopo le continue e arroganti insistenze, si adirò talmente, che decise di punire il presuntuoso impartendogli una lezione indimenticabile.

                             
                   

Il dio dell'amore, consapevole dell'interesse e della passione morbosa che Apollo provava nei confronti di Dafne, prelevò due frecce dalla sua faretra, di cui una dalla punta dorata e ben acuminata, una di quelle ideate in modo da suscitare amore profondo nel cuore della vittima designata, mentre l'altro dardo lo ideò di ferro e spuntato, per provocare diffidenza e disgusto nel cuore dell'altra vittima.
Eros mise in atto la sua vendetta colpendo contemporaneamente e nel momento in cui Apollo dichiarò il suo amore alla virginea ninfa, lei si sentì invadere dal timore e dal ribrezzo e respinse la proposta.



La Naiade era una giovane innocente, che amava vivere libera e a contatto con la natura e quando le insistenze del  focoso spasimante si fecero ossessionanti, spaventata dall'ardore di lui, decise  di  fuggire.
Con l'animo sconvolto dalla passione, Apollo non smise un istante di inseguire e perseguitare la ninfa, fino a costringerla a domandare l'aiuto di Geo, la Madre Terra, e del padre, il dio del fiume Ladone.
Gli dei accolsero la preghiera disperata della ninfa e intervennero, trasformandola in un albero di lauro.
                                                  

La prodigiosa mutazione avvenne sotto gli occhi dell’esterrefatto Apollo, che non poté evitare il compiersi della tragedia e che non si diede mai pace per la perdita di colei che gli aveva rubato il cuore.
Il dio  decise allora che non se ne sarebbe mai più separato. Consacrò l'albero a se stesso e, da quel momento in poi, le foglie di alloro sarebbero diventate un simbolo di gloria, intrecciate in un serto da porre sul capo dei vincitori e su quello dei migliori tra gli uomini capaci di compiere le imprese più straordinarie.




Narra Ovidio:
“Quando i restanti canti orneranno i solenni trionfi
e lunghe pompe vedrà il Campidoglio,
sarai sul capo dei condottieri romani:
sarai fedele custode davanti alle porte imperiali
e la quercia mirerà ch'è nel mezzo.”




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