Nel borgo del fantasy: La leggenda di Scilla e Cariddi


Scilla, figlia di Tifone e di Echidna, per alcuni di Forco e di Crateis, era una ninfa dalla grazia ineguagliabile, che amava passeggiare a piedi nudi sulla spiaggia e fare il bagno nel limpidissimo mar  Tirreno.

Una sera, mentre era sulla spiaggia a contemplare la bellezza e l’immensità del mare, vide una piccola onda all'orizzonte gonfiarsi fino a trasformarsi in un mostruoso maroso, che sembrava correre verso di lei e che minacciava di sommergerla.

Impietrita dal terrore e del tutto incapace di muoversi, la ninfa vide l'onda assumere le sembianze di una creatura per metà uomo e per metà pesce, di colore azzurro come il cielo e con il volto incorniciato da una folta barba verde, così come i lunghi capelli simili a filamenti di alghe.

Scilla si riprese dalla sorpresa e dallo sgomento e, prima di essere raggiunta, tentò la fuga per cercare riparo sulle cime di un monte nelle vicinanze.

Come presa da un incantesimo, la ninfa non riuscì ad allontanarsi molto e così fu costretta ad ascoltare l’ammaliante voce della creatura marina che le confessò il proprio amore e che, per impietosirla, iniziò a raccontarle la storia della sua vita.

L’essere  che l'aveva tanto spaventata si chiamava Glauco e  un tempo era stato un semplice pescatore proveniente da Antidone, città situata nella regione Beozia nella antica Grecia.

A quei tempi Glauco era un semplice pescatore che amava passare le sue giornate in barca dedicando la sua vita alla pesca.

Un giorno, mentre riparava una rete su un prato adiacente alla spiaggia, con tutto il pescato allineato  e pronto per essere scelto e conteggiato, i pesci ripresero vita sotto i suoi occhi e, in branco saltellando e guizzando, ritornarono in mare.

Allibito e sconvolto da quell'evento prodigioso, Glauco pensò al capriccio e al divertimento di qualche divinità ma, scartando subito l'idea, sospettò che il bizzarro fenomeno fosse dovuto a qualche proprietà prodigiosa contenuta nell'erba del prato.

Il pescatore non perse tempo e, spinto dalla curiosità, ne assaggiò qualche filo.

Mentre ingoiava, avvertì la strana sensazione che qualcosa si muovesse nelle sue viscere e, che quel qualcosa, si dibattesse nella sua coscienza per prendere il sopravvento.

L'uomo iniziò a muoversi contro la sua volontà e inutilmente cercò di contrastare l'istinto che guidava i suoi passi verso le onde del mare.

Solo quando fu totalmente sommerso dalle acque si rese conto che la parte inferiore del suo corpo si era trasformata in quella di una creatura marina. Il tronco era rimasto quello di un essere umano mentre, dalla vita in giù aveva assunto le sembianze di un tritone.

La leggenda narra che gli dei lo accolsero benevolmente tra loro, tanto da intercedere per lui presso Oceano e Teti, pregandoli di togliergli ogni altra caratteristica umana rendendolo una creatura divina.

Dopo averne ascoltato le vicissitudini, Scilla, incurante del tormento e del sentimento che la creatura le aveva confessato, se ne andò, lasciandolo nella disperazione.

Per nulla rassegnato, Glauco pensò di recarsi sull'isola di Era e di domandare consiglio alla maga Circe pregandola di preparare un incantesimo affinché la ninfa si innamorasse di lui.

Allibita e sconcertata da tanta devozione di un dio verso una mortale, la maga gli fece presente che una divinità non aveva affatto bisogno di ricorrere a simili espedienti per farsi amare da una creatura terrena e, per dimostrare a Glauco la sua ammirazione, gli propose di accoppiarsi con lei.

Il dio rifiutò con tanta veemenza e trasporto da farla infuriare e meditare un’opportuna vendetta. Non appena fu sola la maga preparò una pozione magica, quindi si recò sulla spiaggia dove era solita passeggiare Scilla, versò il contenuto dell'ampolla in quella parte di mare e tornò sulla sua isola.

Quello stesso giorno la ninfa si immerse nelle acque limpide ma, all'improvviso, si accorse di essere circondata da alcune teste mostruose e ghignanti di cani.

Il suo orrore fu immenso è incontenibile quando si rese conto che quei musi e quelle teste erano attaccati alle sue gambe tramite un lungo collo da serpente.

Scilla aveva subito una terrificante mutazione rimanendo dalla testa al tronco una ninfa e dalle anche fino ai piedi l'orribile mostro con sei teste di cane.

Per disperazione e vergogna la creatura si inabissò e prese dimora nei pressi della grotta di Cariddi, il mostro generato da Zeus per aver rubato i buoi di Gerione a Eracle. Il signore dell’Olimpo condannò il ladro a ingoiare e a rigettare l'acqua del mare per tre volte al giorno.

Glauco pianse disperatamente per la sorte toccata alla sua amata ninfa ricordandone in eterno la figura di grazia e dolcezza di cui si era tanto innamorato.

La leggenda narra che i due mostri marini Scilla e Cariddi abbiano tuttora dimora nello Stretto di Messina e, mentre Cariddi tre volte al giorno provoca dei gorghi giganteschi minacciando di rovesciare e ingurgitare le imbarcazioni di passaggio,  dall'altra parte dello Stretto, Scilla attenta alla vita dei naviganti, che cerca di ghermire con le sue sei teste.



Ricerca effettuata sul web

immagini Pinterest


Commenti

Post più popolari