Nel borgo del fantasy: Una storica regata (2a parte)
Ines aveva previsto di essere fermata, e aveva già pronta la risposta, che sperava, funzionasse.
«Son stato mandato, dal comandante. Mi ha incaricato di portare del buon tabacco a bordo. Tu sai dove posso procurarmelo?» scandì con una voce decisa e profonda.
«Il capitano ha mandato te a cercare tabacco?»
«Certo! Ha appena finito quello che già aveva, ed è rimasto completamente senza. Ora se non vuoi incorrere nel suo malumore, e tu sai quanto possa diventare scorbutico quando è contrariato, dimmi dove posso trovarlo, in modo che possa correre a portaglielo.»
Davanti a quella velata minaccia, l’uomo si arrese: «Uhm! Va bene! Va bene! Vieni con me, ho una riserva speciale per gli ufficiali di questa nave!»
Ines respirò di sollievo. Era andata bene, ora non rimaneva che superare gli uomini di guardia al galeone.
«Ehi, ragazzo! Ricordati di portare i miei saluti al comandante. E ricordagli anche la mia premura nel procurargli il miglior tabacco di tutta la città!»
«D’accordo, signore! Lo farò!» rispose mentre correva al boccaporto.
Poi si mise in coda ai camalli che con le spalle curve sotto il pesante carico racchiuso in sacchi di iuta, trasportavano con evidente fatica fino alle stive dove erano accatastate tutte le merci.
All’ingresso vi erano le due sentinelle armate che controllavano chiunque si presentasse sulla passerella d’imbarco. Ines cercò di nascondersi dietro due uomini che dividevano il peso di una grossa tinozza colma di ortaggi e di frutta fresca. Assunse anche un’aria tranquilla e innocua sperando così di passare inosservata.
Uno dei due portuali inciampò e, per evitare di far cadere il contenuto della tinozza in mare, cadde addosso al compagno.
La maggior parte della frutta e della verdura si rovesciò, causando intralcio agli altri scaricatori che seguivano, così che si venne a creare un piccolo parapiglia di urla di proteste e imprecazioni.
Le sentinelle si affacciarono per gustarsi quell’imprevisto fuoriprogramma, che spezzava la monotonia di ore passate di guardia e di controlli più o meno accurati. «Siete proprio degli imbranati! Sbrigatevi a togliervi dai piedi!» esclamò una delle due sentinelle.
Ines approfittò di quei pochi istanti di confusione generale, per sgattaiolare dentro al boccaporto senza essere notata.
La burrasca che era nell’aria scoppiò in quel momento annunciata da un boato fragoroso di un tuono e, subito dopo, si aprirono le cataratte del cielo.
La pioggia si riversò improvvisa con una violenza tale, da rimbombare sulle paratie e sui ponti del galeone, ed il ticchettio sullo scafo cominciò a coprire ogni altro rumore, diventando fastidioso.
Ines si fermò sconcertata. La nave era grande e dagli interni sconosciuti. Senza una guida si sarebbe persa di sicuro tra i corridoi e i ponti correndo il serio rischio di essere scoperta e punita come clandestina.
«Cosa faccio? Dove vado?» si domandò confusa.
Si era pentita di essere salita a bordo e stava quasi per rinunciare e tornare al sicuro sul molo, quando risentì il miagolio della gattina.
Evidentemente era riuscita a scendere senza aiuto dall’albero maestro.
«Giada, dove sei?» domandò con l’animo già inquieto. Le lanterne appese alle paratie erano spente e i locali erano immersi nell’oscurità.
A peggiorare la già inquietante atmosfera, la burrasca all’esterno era arrivata al suo massimo e la pioggia bombardava di schiocchi feroci lo scafo di legno. Il ticchettio era diventato assordante e copriva ogni altro rumore.
Per un istante le sembrò alquanto strano che in mezzo a quel caos riuscisse a distinguere il richiamo del gatto e ogni tanto le pareva anche che si allontanasse.
«Giada dove sei? Fatti vedere!» ripeté più volte, percorrendo quasi alla cieca un oscuro corridoio. Pian piano i suoi occhi si abituarono alla penombra e ogni tanto riusciva a intravedere la coda della gatta che la precedeva di qualche metro.
Ines cercò di memorizzare il percorso già fatto ma, ormai, le sembrava di essere in un labirinto.
Dopo aver percorso l'ennesimo ponte e un’altra scala ripidissima perse l'orientamento e se non fosse stato per il miagolio, si sarebbe di certo smarrita.
Dai rumori che provenivano dall’esterno, la tempesta sembrava essersi acquietata e la pioggia si era fatta più leggera.
Ines sospirò, tentando di mettere ordine nei pensieri. I suoi nervi erano tesi al massimo, eppure tentava di non lasciarsi prendere dal panico. Il timore di essere scoperta la sollecitava a sbrigarsi e, nell’infausta evenienza, a escogitare un valido motivo che giustificasse la sua presenza a bordo.
“Respira profondamente e concentrati su quello che potrai dire.” si disse.
La gattina si fermò girandosi a guardarla, con quel suo strano modo di fare e di socchiudere gli occhi verdi, che la faceva sentire tanto disagio e che a causa dell’oscurità diventarono luminosi. In quel momento ebbe la certezza che si trattava di Giada.
Ines avanzò con cautela. Non voleva che la gattina si spaventasse e che fuggisse ma, proprio in quel momento, sentì avvicinarsi dei passi e fece appena in tempo a infilarsi in un locale, la cui porta era socchiusa.
I rumori che provenivano dal corridoio facevano pensare all’arrivo di più persone e Ines pregò mentalmente che non fosse proprio il suo nascondiglio la loro meta. Si appiattì contro lo stipite della porta e rimase in ascolto, con il batticuore e il fiato sospeso.
Come temeva gli sconosciuti si fermarono all’ingresso del locale.
Lo sguardo fisso sulla maniglia che si abbassava, la ragazzina si sentì persa, ma poi la maniglia rimase a metà, mentre le voci degli uomini fuori, prima si abbassarono, in un modo che le parve cospiratorio, poi iniziarono ad alterarsi alzando di tono.
Fu allora che temette il peggio e si guardò intorno, in cerca di un nascondiglio più sicuro. Ma il locale era immerso nel buio era troppo buio e si distinguevano solo ombre attorno a lei.
Il rumore della pioggia ridivenne fragoroso, la tempesta che poco prima sembrava essersi allontanata, aveva di nuovo raggiunto il culmine. Difatti la nave aveva preso a rollare e il fasciame gemeva sotto gli strappi violenti che il vento burrascoso le riservava.
Per la forza del mare in burrasca, la porta si spalancò all’improvviso e Ines si appiattì nel poco spazio che le rimaneva tra lo stipite e il muro. In quel momento le voci delle persone che discutevano divennero chiare.
«Ora basta discutere! Dobbiamo approfittare della burrasca per portare a termine il compito che ci hanno affidato.» esclamò uno degli uomini.
«Non me la sento!» rispose un altro «Quest'incarico è troppo pericoloso per conto mio. Rinuncio anche al premio che ci è stato promesso, me ne vado!»
«Ma sei impazzito? Che vai dicendo? L'anticipo lo hai già preso! Ora ci devi aiutare, non puoi più ritirarti.»
«Io non scherzo con certe cose! Quei topi sono infetti, troppo pericolosi! Basterebbe solo un piccolo graffio di quegli artigli infetti e… addio!»
«Non dire sciocchezze! Prenderemo ogni precauzione! Lavoreremo con i guanti. Nessuno di noi si farà del male se faremo attenzione. E poi… ti sei già dimenticato di quanto possa essere spietato “ lui” con chi lo tradisce?»
«Mi nasconderò talmente lontano che nessuno mai, nemmeno il Doge, mi potrà trovare!»
«Zitto stupido! Non fare nomi! E stai all’occhio, perché se verrà a sapere del tuo tradimento, ti metterà alle costole i miliziani e quelli non avranno pace finché non ti avranno messo il sale sulla coda, e finché non ti avranno portato nelle segrete del carcere.»
«Moriranno un sacco di persone!»
«Cosa sono tutti questi scrupoli? Siamo ben pagati, no? E poi a noi non interessa quello che accadrà qui. Finito di sguinzagliare i topi per la città, ci allontaneremo e i guai saranno per quelli che rimangono.»
La porta, tenuta fino a quel momento spalancata da uno dei malviventi, venne richiusa con forza e le voci si smorzarono nel fracasso della tempesta.
Ines tornò a respirare liberamente. Non poteva credere a quello che aveva sentito! Possibile che esistessero persone così crudeli da desiderare di spargere il morbo della peste in una città? E ora cosa poteva fare lei per impedire che ciò accadesse? A chi avrebbe potuto confidare ciò che aveva sentito? Perché il doge veneziano odiava così tanto Genova?
Fu assalita da mille dubbi angosciosi e da tante domande a cui non sapeva dare nessuna risposta.
Stava per uscire dal locale, quando un rumore improvviso attrasse di nuovo la sua attenzione. Cosa era stato? Il suo sguardo vagò nella stanza cercando di penetrare nell’oscurità, ormai i suoi occhi si erano abituati al buio.
Ed ecco che il sangue le si raggelò nuovamente nelle vene: decine e decine di occhietti rossi la stavano fissando malignamente. Capì all’improvviso che quelli che aveva sentito, erano squittii. Topi! Gli animaletti tanto temuti e odiati.
Fu costretta a premersi la mano sulla bocca per soffocare l’urlo che le era salito dal cuore.
Ovunque arrivasse il suo sguardo trovava occhi fosforescenti fissi su di lei, e sul momento, non rilevò nemmeno la stranezza dell’immensità di quegli occhi e, di conseguenza, le dimensioni dei topi dovevano essere enormi.
“Devono essere enormi!” pensò “Probabilmente topi di fogna.”
Venne assalita dalla smania di fuggire e l’avrebbe fatto se non fosse stata fermata da un miagolio.
Ines s’immobilizzò, la mano sulla maniglia e i nervi tesi. Nel locale c’era anche un gatto.
Il miagolio si ripeté e lei intuì che il richiamo era di Giada.
Il tempo sembrò cristallizzarsi nel marasma di rumori provocato dalla burrasca in corso, ma la ragazzina rassicurata dalla presenza della piccola amica si rasserenò. «Giada, vieni da me!» disse, mentre nella sua mente andava a delinearsi un'idea. Non vi era più tempo da perdere, e non poteva rivolgersi a nessuno, ma avrebbe dovuto affrontare il problema da sola.
“Getterò le gabbie con i topi in mare!” si disse, accendendo una lampada a olio.
Decisa a mettere in atto la sua decisione Ines si avviò verso le gabbie e in quel momento accadde un'altra cosa incredibile: Giada le si parò davanti e iniziò a soffiarle contro minacciosamente.
Ines la scrutò incredula. Non era mai successo prima d'allora. Le venne anche il dubbio di essersi sbagliata. Possibile che quella gatta non fosse Giada?
La schiena del felino era curvata ad arco, e il pelo ritto. Soffiava e aveva sfoderato gli artigli. Era pronta ad attaccare se lei fosse avanzata di un passo. Giada non lo avrebbe mai fatto. Non con lei.
Si guardarono, studiandosi per lunghi istanti. La tensione nella cabina divenne palpabile ma poi il pelo si allisciò, la gattina rinfoderò gli artigli e prese a leccarsi le zampine con aria indifferente.
Ines ne valutò lo strano comportamento. Non potevano esserci dubbi. Quella era Giada.
Il mistero s’infittiva e i suoi nervi erano tesi come corde di violino. Giada con un balzo felino si accoccolò su uno stipetto, e con un’altra serie di miagolii sommessi, richiamò ancora una volta la sua attenzione. Rassicurata dall’atteggiamento innocuo, Ines le si avvicinò e s’accorse che la gattina si era accovacciata vicino ad un paio di guanti imbottiti da lavoro.
«Giada! Era questo che volevi farmi capire? Vuoi che l’indossi?»
La gattina ronfò e roteò la coda, quindi ammiccò, come era solita fare.
Ines infilò i guanti e si mise al lavoro.
Mentre afferrava le gabbie il disgusto e la paura l’assalirono.
I topi si muovevano arrampicandosi sulle sbarre delle gabbie, sfiorando le sue dita guantate e Ines ringraziò Giada per il provvidenziale suggerimento. Poi, a una a una le gettò oltre l’oblò attendendo il tonfo che provocavano.
Solo dopo aver gettato l’ultima gabbia si rilassò ed emise un sospiro di sollievo.
Giada le si avvicinò, strofinandosi ed emettendo fusa soddisfatte contro le sue gambe, allora Ines l’accolse tra le braccia ponendo un lieve bacio sulla testolina morbida.
«Sei stata veramente brava! Non so come tu sia arrivata sin qui da sola e come abbia fatto a scoprire le intenzioni di quei delinquenti e, forse, non lo scoprirò mai, ma ringrazio comunque il cielo che esisti e che sei qui con me.»
La gattina ammiccò e Ines, con la certezza di essere stata compresa, le ammiccò in risposta, sorridendo, poi se la sistemò con garbo all’interno della tunica apprestandosi a lasciare la nave.
«Andiamo Giada e speriamo di poter uscire senza incontrare ostacoli.»
Purtroppo, la fortuna che fino allora le aveva assistite, volse loro le spalle e, proprio mentre uscivano dal locale, si imbatterono con i componenti della banda, ormai decisi a mettere in atto i loro loschi propositi.
Prima che riuscisse a muoversi, uno dei malviventi la afferrò in malo modo per il bavero della casacca. «Ehi, ragazzo, che ci facevi lì dentro?»
Ines balbettò una risposta: «Io…stavo cercando la cabina del comandante, signore.» disse con tono umile.
Lo sguardo dell’uomo si era fatto torvo: «Davvero?» domandò ironico, socchiudendo con la mano libera la porta e sbirciando all’interno «Peccato che sei fuori strada. La cabina che cerchi è sul ponte superiore.»
La ragazzina rabbrividì. Doveva trovare in fretta una valida scusa che giustificasse la sua presenza nel luogo sbagliato.
«Io mi sono perso, signore. Questa nave è così grande e i corridoi tutti uguali. Ma il comandante mi sta aspettando. Il nostromo mi ha detto che dovrei sbrigare alcune commissioni per lui.»
«Uhm!» mormorò l’uomo, mollandole il braccio e afferrandola per l’orecchio «Ti lascio andare, ma prima vorrei sincerarmi di una cosa.» concluse, facendo un cenno deciso verso il complice.
L’altro uomo entrò nella cabina per controllare e subito dopo esclamò, allarmato: «Le gabbie non ci sono più! Sono sparite!»
Ines venne trascinata brutalmente all’interno della cabina e appurata la reale sparizione delle gabbie, l’uomo strattonò con violenza il monello e alzò una mano per mollarle un ceffone.
«Dimmi, ficcanaso, che ne hai fatto dei topi?»
La ragazzina trattenne le lacrime a stento, rimasta quieta sino a quel momento, fuoriuscì dalla tunica con gli artigli sfoderati e i canini in mostra.
L’uomo sobbalzò sbigottito e mollò la presa, allora Ines ne approfittò catapultandosi all’esterno e correndo lungo il corridoio.
La paura di essere riacciuffata le mise le ali ai piedi e in pochi secondi si ritrovò al boccaporto d’accesso.
Ma c’era ancora un ostacolo da superare.
All’ingresso era rimasta un’unica guardia a sorvegliare le operazioni di carico e con un semplice stratagemma Ines riuscì a sviarne l’attenzione dalla parte opposta alla quale si trovava lei.
La guardia, distratta dal rumore improvviso provocato dall’oggetto lanciato da Ines, corse a controllare e lei ne approfittò per sgattaiolare velocemente alla chetichella al di fuori lungo la passerella.
Era già arrivata sul molo quando l’uomo tornato sui suoi passi, s’accorse della sua fuga:
«Ehi tu, ragazzo! Fermati!» sentì gridare alle sue spalle.
«Fossi matta!» gli rispose, felice, perché Giada nel frattempo l’aveva raggiunta. Lei si fermò un attimo per recuperarla e rimetterla al sicuro e in pochi secondi il monello si era già dileguato sotto il muro di pioggia scrosciante.
Il maltempo la costrinse a cercare riparo in un androne e attendere con Giada che spiovesse.
Quando la pioggia diminuì d’intensità, si incamminò nuovamente diretta alla darsena. Il muro d’acqua che aveva annebbiato i contorni degli edifici del porto, si era dissolto e la ragazza respirò con piacere l’odore salmastro reso pulito dal vento e dalla pioggia.
Giada fece capolino, poi si sistemò sulla spalla della giovane e ritta sulle zampette, iniziò a guardarsi curiosamente attorno, sondando l’aria con le vibrisse frementi, in un modo che la fece sorridere:
«Ce la siamo vista brutta, ma l’abbiamo scampata!» le parve naturale parlare alla gattina come con un’amica «Tu lo sapevi che stava per accadere qualcosa di terribile! Sei forse una gattina magica?»
Pur non aveva nessuna cognizione precisa sulla magia, in quel momento le sembrava l’unica spiegazione possibile ai fatti accaduti.
«Sai anche a chi posso raccontare ciò che è accaduto?» continuò, come se riflettesse a voce alta.
«Sai, sono preoccupata perché temo che quegli uomini possano escogitare qualcosa di altrettanto tragico. Bisogna denunciare i fatti al Magistris della città.»
La gattina continuava a far pulizia allisciandosi il pelo arruffato, poi improvvisamente con una zampina, sfiorò delicatamente la sua guancia, attirando così la sua attenzione.
Ines si volse sorpresa da quel gesto e i loro occhi s’incontrarono rimanendo incatenati in modo arcano.
continua...
racconto di Vivì pubblicato sul sito Scrivere
Immagini del web e Phoneky
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