Una nuova alba, by Cristina biolcati


Era l’inizio di una nuova alba. Che frase banale! L’aveva sentita così tante volte, anche se, in effetti, non c’era altro modo per definirla. Non tanto perché il sole stava sorgendo, ma perché finalmente lei usciva di casa e cominciava una nuova vita.
Per due lunghi anni era rimasta rinchiusa fra le mura del suo appartamento, da quando cioè quella malattia subdola l’aveva colpita, senza dare spiegazioni, né preavvisi. “Agorafobia”, che brutta parola.
All’improvviso si era sentita come paralizzata ed incapace di reagire, e la sua esistenza era trascorsa nell’unico ambiente che reputava sicuro. Lì, in casa sua, niente di brutto poteva accaderle. O almeno, questo pensava, mentre dalla finestra osservava la vita degli altri e guardava telegiornali che andavano ad aggravare il suo stato di angoscia.
Se solo fosse stata un po’ più socievole coi vicini, se solo suo marito non fosse morto e avessero avuto dei figli. Forse qualcuno si sarebbe accorto del suo
cambiamento.
I pochi parenti che le erano rimasti vivevano lontano. Li sentiva circa una volta al mese, per telefono.
A dire il vero, le uniche chiamate che riceveva erano quelle degli addetti al telemarketing, che volevano venderle gli oggetti più disparati. Lei li ascoltava paziente, e li subissava di domande. All’inizio, dall’altro capo del filo, l’interesse sembrava essere alto, ma poi i suoi interlocutori capivano con chi avevano a che fare, e riattaccavano con una scusa.
Al rappresentante di aspirapolveri, che vendeva i suoi prodotti porta a porta, aveva persino offerto il caffè con un piattino di biscotti. Ma dopo un po' lui se ne era andato, certo di trovarsi di fronte ad una vecchia pazza e sicuramente disperata.
Perciò, in questo nuovo giorno, le cose dovevano cambiare.
Aveva dato da mangiare al gatto e lucidato i pavimenti di casa. Aveva gettato la spazzatura, portandola con sé per il primo tratto di strada. Poi aveva preso la via del lago, indossando il suo vecchio cappotto, e si era incamminata piano, a passi leggeri. Aveva respirato l’aria del mattino, ed assaporato il cambio di luce.
Per un breve momento era stata libera, e le erano tornate alla mente le parole del suo povero marito.
“Non c’è niente di più bello che una passeggiata, di prima mattina, in riva al lago”.
Ed era vero. Ci erano andati insieme tante volte, e non soltanto da giovani. Le loro mani intrecciate suscitavano tenerezza. O forse repulsione, non lo sapeva.
Perché il mondo si divide in due: chi rispetta i vecchi e in loro rivede persone care, e chi non perdona il fatto che siano arrivati ormai a fine corsa e non si vogliano rassegnare. A volte, con questo secondo tipo, pare di doversi persino giustificare, per il fatto che ancora si respira.
Lo aveva detto un sacco di volte il suo povero marito. “Il lago non restituisce mai i suoi morti”.
E a chi vuoi che potesse interessare del suo corpo? Anzi, doveva evitare di creare grattacapi a qualcuno.
Avrebbe dovuto pensarci prima, avrebbe dovuto, da subito, diventare libera.
In quelle acque scure, in una giornata d’inverno, sarebbe stata al sicuro. L’avrebbero cullata come fa una madre con la sua bambina.
Sarebbe stato fiero di lei, il suo povero marito. Del poco tempo che li teneva ancora separati.
Ma come aveva fatto a vivere così a lungo senza di lui? Era stato un grave errore.
Il suo corpo adesso era giovane e senza peso.
E la nuova alba stava avendo inizio.

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