Non è esistito solo Aleramo …
Testo di Claudio Martinotti Doria Il Cavaliere di Monferrato
Novella di ambientazione medievale scoperta in un vecchio baule durante lo sgombero di una soffitta di un palazzo storico casalese…
In una luminosa giornata primaverile, ancora raffreddata da una leggera e fredda brezza, in un’epoca che successivamente verrà dagli storici definita Medioevo, sei cavalieri avanzavano appaiati su un largo e comodo sentiero nelle campagne francesi. Stavano avvicinandosi ad un borgo fortificato, dove avevano intenzione di sostare in una locanda per poi proseguire il viaggio riposati e ristorati.
In testa c’era colui che sembrava guidare il gruppetto, un Cavaliere di nobile lignaggio e di robusta costituzione, con un’età approssimativa di cinquant’anni, al suo fianco un giovane scudiero, e dietro quattro soldati di scorta che portavano diverse insegne araldiche, erano tutti veterani ed ognuno di loro aveva uno stendardo diverso, uno con raffigurato uno scudo a due colori, grigio e rosso, un altro metà bianco e metà nero, un altro riproduceva la sagoma di un albero con le folte radici fortemente radicate alla terra e con i rami che protendevano verso il cielo come a volerlo toccare, ed il quarto riproduceva una specie di numero otto coricato … non si era mai visto nulla di simile da quelle parti.
I colori vivaci e gradevoli delle loro vesti, i movimenti coordinati ed armoniosi delle cavalcature, l’andatura costante e fiera e la luminosità della giornata fornivano una suggestione particolare al drappello, che non poteva che destare vivo interesse negli abitanti del luogo.
Nel borgo si stava svolgendo il mercato e quindi erano molti gli spettatori affascinati di fronte ad un così impressionante spettacolo di armigeri e colori, che manifestarono molta curiosità ed una sequela infinita di commenti e
congetture. In testa c’era colui che sembrava guidare il gruppetto, un Cavaliere di nobile lignaggio e di robusta costituzione, con un’età approssimativa di cinquant’anni, al suo fianco un giovane scudiero, e dietro quattro soldati di scorta che portavano diverse insegne araldiche, erano tutti veterani ed ognuno di loro aveva uno stendardo diverso, uno con raffigurato uno scudo a due colori, grigio e rosso, un altro metà bianco e metà nero, un altro riproduceva la sagoma di un albero con le folte radici fortemente radicate alla terra e con i rami che protendevano verso il cielo come a volerlo toccare, ed il quarto riproduceva una specie di numero otto coricato … non si era mai visto nulla di simile da quelle parti.
I colori vivaci e gradevoli delle loro vesti, i movimenti coordinati ed armoniosi delle cavalcature, l’andatura costante e fiera e la luminosità della giornata fornivano una suggestione particolare al drappello, che non poteva che destare vivo interesse negli abitanti del luogo.
Nel borgo si stava svolgendo il mercato e quindi erano molti gli spettatori affascinati di fronte ad un così impressionante spettacolo di armigeri e colori, che manifestarono molta curiosità ed una sequela infinita di commenti e
Il Cavaliere che guidava il gruppo, per temperamento proprio, avrebbe preferito passare inosservato nel compiere la sua missione, vestendo abiti dimessi e mimetizzandosi tra la popolazione, ma vi erano degli obblighi da rispettare, ai quali non poteva assolutamente sottrarsi, tra i quali il dover comunque ed in ogni circostanza portare alcune insegne e qualificarsi nel suo rango e nel suo ruolo istituzionale, che era alquanto particolare.
Preso alloggio nella più grande locanda del borgo, davanti al fuoco del caminetto, il Cavaliere lasciò libera la mente di vagare tra i ricordi, risalendo all’infanzia, quando in una circostanza analoga, di fronte ad un grande fuoco le cui fiamme erano alte quanto lui, il nonno paterno gli raccontava delle origini della sua famiglia che si perdevano nella notte dei tempi, facendole risalire ad una antica popolazione di una grande isola mediterranea che in seguito ad un evento catastrofico dovettero abbandonare per poi sbarcare in una terra vicina, successivamente nota come Etruria, che diede luogo ad una straordinaria civiltà, e dopo molti secoli vennero conquistati ed assimilati dai Romani influendo con la loro arte, cultura e civiltà, sulle sorti del mondo allora conosciuto.
Ovviamente nella storia di famiglia c’erano degli spazi ignoti, dei vuoti di memoria e di tradizione orale, oltre che di documentazione, dovuti al fatto che non sempre nelle varie epoche storiche trascorse vi era la possibilità di lasciare tracce scritte, anche per carenza di scrivani, oppure le tracce andavano distrutte per eventi bellici, saccheggi, incendi ed incidenti di ogni genere.
Una sola attribuzione era certa, in quanto era la più recente e riconosciuta da tutta la nobiltà europea, la discendenza nobiliare accertata dagli Araldi risaliva ad un Conte francese vissuto parecchi secoli prima nei pressi di Grenoble, successivamente in seguito ad alcune gloriose imprese militari dei discendenti di questo Conte, venne assegnato dal Re al loro Casato una vasta per quanto frammentata ed eterogenea porzione di territorio nell’Italia del Nord, che andava dal mare Ligure fino agli Appennini centrali, prevalentemente in una regione che solo dopo molto tempo prese il nome di Piemonte.
Il vasto territorio sul suolo italico prese il nome del Casato di provenienza, divenendo Monferrato, in quanto in Francia erano titolari della Contea di Montferrat. Il Cavaliere era quindi un Monferrato.
Lui non governava sul Monferrato, pur avendone avuto occasione in seguito alla morte prematura di un parente regnante e spettando a lui la linea di successione, in quanto preferì proseguire nella sua missione, che gli fu affidata molto tempo prima da una persona che tanto ammirava ed aveva influito sulla sua vita, che lui scherzosamente denominava “Grande Druido”, in quanto aveva le fattezze e sembianze che l’iconografia popolare assegnava a tale mitica ed autorevole figura della cultura celtica, ormai scomparsa da tempo da questi luoghi, ma lasciando tracce e simboli ovunque.
Benevolmente questa imponente ed austera figura di uomo barbuto e dalla imperiosa voce cavernosa, si lasciava definire in tal modo dal giovinetto di Monferrato, ma tutti quanti coloro che interagivano con lui si rivolgevano in ben altro modo, con ossequio ed inchinandosi, distogliendo lo sguardo, e definendolo Gran Maestro.
Il Grande Druido era amico intimo del nonno paterno, tutore del giovane di Monferrato dopo la prematura scomparsa dei genitori, e proprio durante la frequentazione reciproca ebbe modo di cogliere alcuni comportamenti e facoltà che il giovinetto manifestava spontaneamente, come l’eloquio accattivante ed il sorriso disarmante, la sua solarità e la capacità di parlare al cuore facendo vibrare la sensibilità di ognuno nel più profondo dell’animo, inducendo profonde emozioni e lasciando indelebili tracce del suo passaggio.
Chi governava sul Monferrato in quell’epoca disponeva di un potere ed un’autorevolezza notevole, essendo il piccolo regno in posizione strategica geograficamente e politicamente, con potenti alleanze e parentele intessute con molte Case regnanti anche distanti, appetibile quindi per tutti i regni vicini ed anche per alcuni lontani ma con mire sul suolo italico.
Il Marchesato di Monferrato costituiva anche un potente alleato sotto il profilo strettamente militare, disponendo il suo esercito di 17mila armati effettivi, tra cavalieri, fanti ed arcieri, che pochi eserciti in Europa potevano vantare.
Quindi chiunque al posto del Cavaliere si sarebbe accontentato di un simile destino, rispetto alla miseria ed alla sofferenza che regnava ovunque in Europa a causa di una molteplicità di eventi ciclici negativi, quali le guerre per le successioni dinastiche e per espandere i domini, le carestie e le infezioni e malattie endemiche, le bande di predoni e saccheggiatori e la violenza diffusa ovunque come modus vivendi et operandi, ecc..
Lui non poteva dedicarsi a regnare sul Marchesato, perché era destinato ad altro, e questo lo aveva capito fin dalla giovinezza, da quando il Grande Druido con il consenso del nonno paterno, suo tutore, lo circondò di educatori, esperti in ogni genere di conoscenza e sapienza, disciplina e facoltà, perché lo formassero ad un incarico che solo in seguito si rese conto di quanto fosse rilevante e atipico.
Tutto ebbe inizio in seguito ad un riscontro che il Grande Druido volle effettuare, una specie di accertamento tecnico che confermasse quanto lui aveva intuito a proposito del giovinetto.
Questo accertamento si basava sull’esatto momento della nascita del pargolo, e pareva in proposito che anche l’ora avesse una particolare importanza.
Egli incaricò folkloristici personaggi dotati di notevole prestigio all’interno dell’Organizzazione e con fama di eruditi, che si dedicarono all’elaborazione di complessi calcoli e valutazioni e disegni, consultando documenti rari ed esperti astrologi fatti venire appositamente da fuori.
Il Cavaliere ricordava ad esempio di alcune donne cui si rivolsero per un consulto, una di loro aveva tratti somatici strani, mai visti primi, che sentì definire “orientali”, ed aveva a che fare con la cultura e civiltà tibetana, un’altra di fattezze minute e gentili, la senti definire “cinese”.
La sua giovinezza era stata costellata da questi incontri, persone di tutte le provenienze e culture, e pur avendo viaggiato poco per le difficoltà oggettive dell’epoca, che rendeva lento e pericoloso ogni spostamento, lui aveva avuto la fortuna di poter disporre di persone che gli portavano la loro sapienza e cultura, e fu così che apprese molte lingue, costumi, usanze, religioni, rituali, leggende, ecc., di popoli esotici e gruppi diversissimi tra loro.
Tutti gli astrologi delle varie discipline e da qualsiasi provenienza avevano tutti confermato le intuizioni del Grande Druido sulla qualità del giovane.
Il suo oroscopo di vita era inequivocabile, i pianeti erano posizionati in un modo che non lasciava dubbi interpretativi, indicavano una fortissima spiritualità e la predisposizione a svolgere ruoli sociali e politici di grande cambiamento per l’umanità, era cioè destinato ad influire sull’umanità e la sua epoca per indurla a salti di qualità evolutiva e spirituale.
Mentre i suoi coetanei di nobile lignaggio erano impegnati in tornei e battaglie e tenzoni amorose, lui era impegnato negli studi e nell’apprendimento.
Il Grande Druido che si prese cura di lui fin dalla più tenera età lo faceva spostare da un luogo fortificato ad un altro, in particolare si trattava di monasteri, a volte di dimensioni gigantesche, con ricchissime biblioteche, dove si dedicava a perfezionare la sua formazione e dove c’erano sempre persone erudite e di straordinarie capacità che si prendevano cura di lui, alcune denominate alchimisti, filosofi ed astrologi.
Il tempo dedicato all’apprendimento dell’uso delle armi e delle tecniche di difesa era ridotto al minimo indispensabile per garantirsi la sopravvivenza in caso di difficoltà ed aggressione, ma la maggioranza del tempo era dedicato all’apprendimento di tutto lo scibile umano disponibile all’epoca, con particolare riferimento alla scienze umane, linguaggi, simbologie, religioni, miti, leggende, storia, geografia, ecc..
Col passar del tempo il Cavaliere si accorse che stava sempre più emergendo in lui un “dono”, il talento dialettico, l’arte oratoria, la capacità di persuasione, che non era affatto retorica sofistica, cioè l’arte dell’inganno ammaliatore che soggioga le menti deboli, ma era la capacità di riuscire a parlare al cuore oltre che alla mente dei suoi interlocutori, riusciva cioè a far vibrare delle corde interiori sensibili che elevavano la vocazione spirituale dei suoi interlocutori, li affascinava riducendone il lato oscuro e primitivo, ne otteneva la massima attenzione ed in seguito alle sue convincenti ed esaustive argomentazioni, anche il consenso e l’ammirazione.
Grazie al riscontro ed al perfezionamento di queste doti, il Grande Druido lo incaricò di rappresentare la propria Organizzazione in tutta Europa, nel Mediterraneo ed in Oriente. Ma non era un incarico onorifico di semplice rappresentanza, era un incarico operativo, di notevole importanza per la causa dell’Organizzazione, lui si recava presso tutte le famiglie di nobile lignaggio che erano state selezionate, e cercava di convincerle ad aderire all’Organizzazione, sia “reclutando” i giovani alle armi ed ai precetti dell’Organizzazione, e sia a fornire finanziamenti e risorse di ogni genere per assicurarne il sostentamento.
Era quello che in epoche assai successive si sarebbe definito un procacciatore, promotore e fund raising, per una nobile causa, certamente, perché in un’epoca di barbarie, violenza inaudita, sopraffazione, miseria ed ignoranza diffusa, ecc., poter fornire l’opportunità ad una famiglia, anche di modesta nobiltà (ed a volte compiva anche delle eccezioni) e che mai avrebbe varcato i ristretti confini geografici della propria piccola signoria, di entrare a far parte della più potente Organizzazione esistente nel mondo conosciuto (che disponeva di oltre 15mila sedi fortificate e proprietà agro-immobiliari nell’area del Mediterraneo e nel Continente), era un gesto che veniva solitamente apprezzato e colto senza indugio.
Era un’occasione eccezionale per fare esperienza, condurre una vita più avventurosa ed acquisire fama e gloria, che per un cavaliere era linfa vitale, oppure per condurre degli studi in condizioni di assoluto privilegio ed in un’epoca di estrema ignoranza e miseria.
In questa sua missione il Cavaliere era divenuto di un’abilità che non aveva rivali e neppure poteva essere minimamente comparato con alcuno.
Ora che era ormai invecchiato, per i parametri dell’epoca, e lo era divenuto proprio per non aver mai condotto combattimenti e sparso sangue, altrimenti difficilmente avrebbe raggiunto i trent’anni di onorato servizio nell’Organizzazione … ora poteva ben vantarsi di aver “reclutato” oltre 8mila nobili o “presunti tali” nell’Organizzazione, che significava quasi altrettante famiglie entrate a farne parte e che hanno sostenuto l’Organizzazione in tutti questi anni, facendola diventare ancora più potente e temuta.
Lo scopo dell’Organizzazione non era affatto acquisire il potere, il potere era una conseguenza, un effetto collaterale per quanto utile ed importante, lo scopo era acquisire la conoscenza, la sapienza, il saper fare, il saper agire, il saper portare la pace tra le etnie tramite la conoscenza delle loro culture e la capacità di mediazione, saper incrementare i commerci e gli scambi, portare la civiltà e farla avanzare tramite la tecnica e le professioni, portare la soluzione dei problemi, far dialogare culture diverse, trovare e favorire sinergie, applicare l’arte maieutica valorizzando e premiando i talenti (in particolare quelli femminili) anziché reprimerli e frustrarli, elevare gli animi favorendo la dedizione alla spiritualità e non solo al mestiere delle armi, fornendo loro modelli concreti e coerenti di riferimento, educando alla libertà di pensiero perché solo tramite essa si possono scoprire e svelare gli inganni, le menzogne, le false credenze, i dogmi e quant’altro viene appositamente prodotto da chi detiene l’autorità, per indurre paure immotivate ed infondate, ed a rinunciare alla propria libertà delegando ad altri le scelte vitali, per poter esercitare il potere materiale e disporre di ogni privilegio come si trattasse di un’investitura divina e inviolabile.
Ovviamente a causa dell’epoca oscurantista in cui erano obbligati ad agire, dovevano avvalersi di metodi ermetici, di iniziazione graduale e di approccio esoterico, per procedere e far progredire la loro causa. I segnali di questa arte del saper fare, che l’Organizzazione aveva disseminato per decenni in tutto il Continente, erano ormai evidenti a chiunque, tramite la maestosità delle cattedrali gotiche situate in luoghi dalla potente energia geotellurica, la conservazione e gestione delle fonti di approvvigionamento alimentare ed in particolare della sorgenti d’acqua, la sicurezza che era fornita sulle principali vie di comunicazioni disseminate di postazioni di guardia e di sosta in grado di proteggere ed accogliere migliaia di viandanti e pellegrini, la gestione finanziaria avveniristica che non aveva eguali e che anticipò di secoli le prime banche formalmente costituite e che ispirò in particolare i Lombardi, gli scambi commerciali con tutte le aree del pianeta soprattutto tramite un’efficiente flotta, che disponeva di carte nautiche di ignota provenienza ed incredibile precisione ed elaborazione …
Dopo trent’anni di intensa ed ininterrotta attività, applicando soprattutto l’arte maieutica e la valorizzazione dei talenti (normalmente schiacciati dai vari poteri autoritari ed oscurantisti) e l’arte della comunicazione, il Cavaliere di Monferrato aveva reso l’Organizzazione guidata dal Grande Druido la più potente Organizzazione sociale, economica e militare che mai fosse esistita in Europa (che in epoche successive si sarebbe definita “multinazionale”), distinguendola ovviamente da quelle inerenti le case regnanti.
Quest’ultime erano persino imbarazzate oltre che infastidite da questo confronto, oltre ad essere tutte più o meno indebitate con l’Organizzazione, perché sapevano benissimo che occorrevano una mezza dozzina di regni europei tra i più prestigiosi per ottenere pressappoco la stessa forza finanziaria e militare di cui disponeva l’Organizzazione, con la differenza che qualsiasi Re anche alleandosi con altri avrebbe impiegato dei mesi per mettere insieme un esercito in grado di ostacolare l’Organizzazione e quest’ultima al contrario in pochi giorni era in grado di attivare tutte le sue risorse, compresa la flotta che era dislocata strategicamente in diversi porti direttamente controllati, che avrebbe consentito sia di imbarcare i beni mobili posseduti e sia i membri dell’Organizzazione per andarsene ovunque, anche in lidi conosciuti solo da loro, in altri continenti.
Pertanto l’Organizzazione era ormai divenuta a tutti gli effetti in grado di autoperpetuarsi e preservarsi di fronte a qualsiasi evento o circostanza avversa per quanto grave, eventualmente occultando la sua attività e dissimulandone la presenza, e solo uno stolto ed avido megalomane poteva pensare di riuscire a distruggerla, al massimo poteva danneggiarla.
Quando il Grande Druido si recava presso una Casa Regnante veniva accolto come un parigrado o quantomeno come un ambasciatore di una grande potenza straniera, in quanto rappresentava l’autorità.
Quando invece era il Cavaliere di Monferrato ad essere ricevuto, veniva accolto come un famigliare, con un misto di curiosità, ammirazione, benevolenza, ed inquietudine, come si trattasse di un nobile d’alto lignaggio che fosse pure filosofo ed alchimista, una specie di curatore di anime … perché lui rappresentava l’autorevolezza, esercitava un forte carisma, destava un fascino magnetico ed il desiderio di conoscenza che da sempre è presente in ogni essere umano.
Ad influire sulla Storia, contrariamente a quanto comunemente si ritiene, non sono solo i grandi personaggi riportati sui testi e le grandi case regnati, ma spesso sono personaggi di secondo piano, defilati e a volte neppure citati nella storiografia, ma che hanno svolto incarichi ed ottenuto risultati che hanno determinato le sorti dell’umanità, influendo sulle scelte di chi deteneva il potere ed agendo preventivamente per impedire conflitti e tragedie umane, “seminando” ad arte pillole di saggezza e instillando nei cuori la pace e l’amorevolezza, la curiosità ed il fascino per l’ignoto. Ma alla Storia passano di solito i condottieri, gli strateghi, i grandi combattenti che hanno affermato la loro gloria sul sangue e la morte di decine di migliaia di persone … e si sa che la storia la scrivono i vincitori.
Il Cavaliere di Monferrato aveva referenti in ogni setta, ordine, congregazione, organizzazione esistente ovunque nell’area del Mediterraneo e del Continente, quindi era in condizione di poter mediare in ogni contesto e circostanza con la sicurezza di essere capito, di avere una notevole credibilità da spendere, una fama ed una fiducia che nessun altro poteva ricevere e vantare, fondata sulla sua etica e comprovata proverbiale motivazione a socializzare, unire, conciliare, pacificare, rafforzare, argomentare, ecc., lasciando l’Ego, l’ambizione e l’orgoglio da parte, per perseguire l’interesse comune.
Queste sue qualità venivano capite ed apprezzate da ogni etnia, da ogni cultura e da ogni gruppo, che riconoscevano al Cavaliere di Monferrato il diritto di intervenire con autorevolezza in ogni situazione di tensione e di conflitto. Sapevano che avrebbe valutato con obiettività e con precisione ogni circostanza e poi avrebbe ricercato una soluzione equilibrata ed onorevole per tutti, che era interesse comune venisse accettata.
Questo rendeva il Cavaliere di Monferrato il più ricercato mediatore politico e culturale della sua epoca, compito che svolgeva con fierezza derivante dalla consapevolezza dei meriti attribuitigli ma anche con l’umiltà che compete a colui che deve assumersi gravose responsabilità pubbliche.
Ora che erano trascorsi oltre trent’anni di onorato servizio per la causa dell’Organizzazione, al Cavaliere di Monferrato sarebbe spettato un ritiro prestigioso, dignitoso ed onorato, a sua scelta tra le oltre 15mila sedi dell’Organizzazione sparse ovunque, oppure poteva tornare nel suo Monferrato dove la famiglia lo avrebbe accolto e trattato come un eroe, oppure poteva “scomparire” in uno dei luoghi che solo l’Organizzazione conosceva e poteva recarsi con la sua flotta, in territori non ancora esplorati e sconosciuti ai più.
Ma lui aveva altre intenzioni, da tempo provava certe inquietudini, che lo tormentavano durante la notte, animando i suoi sogni sempre più concitati e complessi.
E poi non gradiva più quel simbolo che portava sempre appresso, impresso ovunque su tutte le vesti, i mantelli, le sacche da viaggio, gli scudi, le insegne, ecc., quella croce di color rosso con le quattro braccia che si allargano all’estremità (che in seguito definiranno croce patente) … lui le avrebbe volute di color verde, ma il Grande Druido, che aveva sempre avuto fama di profeta e medium, con amabile leggerezza lo aveva sempre redarguito invitandolo a non precorrere i tempi, che sarebbero dovuti passare alcuni secoli prima che l’Organizzazione si tingesse di verde, e solo in seguito a determinati segnali che la Terra Madre avrebbe trasmesso …
Le fiamme stavano sempre più affievolendosi, il fuoco nel camino della locanda stava spegnendosi, i ricordi ormai si dissolvevano, troppa stanchezza si era accumulata, era ora di recarsi a dormire, ed il Cavaliere di Monferrato il giorno dopo avrebbe dovuto alzarsi all’alba, per recarsi in un luogo sacro ad alcune ore di viaggio dalla locanda, a pregare inginocchiato davanti ad un sarcofago riproducente una Madonna Nera, per poi dissetarsi in una vicina sorgente di acque con proprietà terapeutiche …
In seguito un veliero commerciale della flotta, tra i più veloci e moderni, lo attendeva a Collioure, uno dei tanti porti posseduti o controllati dall’Organizzazione. La sua missione era ancora lungi dall’essere conclusa …
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