Renzi o Letta


Franco Livorsi Città Futura on-line
Nella gara per la nomina del nuovo segretario del PD tra Renzi, Cuperlo e Civati c’è un convitato di pietra: Enrico Letta. Chi vota Cuperlo può essere certo di votare perché sino al 2015 Letta resti capo del governo, e quindi probabile candidato anche alle nuove elezioni. La cosa in astratto potrebbe anche andare bene, se Letta governasse almeno “da riformista”, senza indebolire invece che rafforzare tutta la sinistra. Ma è molto difficile che Letta faccia nel 2014 quello che non è riuscito a fare nel 2013, e che - se arriva al 2015 - non diventi naturalmente il candidato del PD alle successive elezioni E’ molto difficile che governi almeno da riformista perché, pur essendo una persona più che stimabile, e un buon statista spendibile con onore sulla scena interna e internazionale, non è un leone; è uno che si lascia mettere con le spalle al muro e dominare dall’alleato, uno che pur di durare lascia fare, un “vero democristiano” del PD, esperto solo nell’arte del galleggiamento. Si dice che questa remissività, evidente dal caso dell’abolizione dell’IMU alla difesa della Cancellieri (e più in generale), sia dipesa dal fatto che sino alla rottura del partito di Berlusconi dal suo governo di pochi giorni fa era costretto suo malgrado a subire il ricatto del Cavaliere nero. Ora, con  il Nuovo Centrodestra di Alfano rimasta al governo, tutto dovrebbe essere diverso. Ma l’alleato più piccolo, il Nuovo Centrodestra, si farà forte della sua indispensabilità per governare, e della sua necessità di far concorrenza alla Forza Italia di Berlusconi, per pretendere dal governo scelte di destra. E ciò benché non abbia neanche detto, ma anzi sinora abbia escluso, di non allearsi con il partito di Berlusconi alle elezioni politiche. Ci sono “democratici” che giurano di essere più “di sinistra”, ma sono “democratici che si accontentano”. A loro questo va bene. Per Renzi no. E per
me neppure. Renzi sostiene – vi creda o meno – di non voler far cadere questo governo per andare al voto nel febbraio 2014, ma solo incalzarlo perché faccia riforme vere, a partire da quelle di tipo elettorale e istituzionale. E qui casca l’asino. Le vere riforme istituzionali, per costituzione, si fanno con i 2/3 del Parlamento; ma l’idea che Forza Italia o il movimento Cinque Stelle, ora entrambi all’opposizione, daranno una mano - prima delle prossime elezioni politiche - per fare vere riforme, non è minimamente realistica. Il perno di tutto è la nuova legge elettorale “dopo il Porcellum”, con o senza la “coda” del passaggio da una repubblica parlamentare ad una semipresidenziale. Anche su questo si sono confrontati su Sky, nella sera del 29 novembre, i tre candidate del PD che l’8 dicembre competeranno in elezioni primarie aperte per l’elezione del segretario nazionale: Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Pippo Civati. Renzi, che certo propende per il semipresidenzialismo (“il sindaco d’Italia” è comunque qualcosa del genere), non ha posto pregiudiziali, enunciando ancora una volta, come già alla recentissima Convenzione nazionale del PD, alcuni paletti “di minima” irrinunciabili: l’opzione per un sistema tale che subito dopo le elezioni si sappia chi governerà, e che governerà per cinque anni, per legge. Inoltre vuole una “cura dimagrante” per lo Stato, abolendo finanziamento pubblico dei partiti senza se e senza ma, Senato, Province e spese pazze delle regioni. Su ciò, ed altro, incalzerà Letta, tanto più che ora il governo è quasi un monocolore del PD (ma quel “quasi” – lo si è visto – molto peserà). Cuperlo, per parte sua, ha optato per il maggioritario di collegio a due turni, ma “realisticamente” si è subito detto aperto al compromesso per fare una nuova legge elettorale “diversa”. Civati si è pronunciato per abrogare il Porcellum, ripristinare temporaneamente il Mattarellum e tornare al più presto alle urne. Può darsi che questa posizione, benché Civati sia - in termini di consensi congressuali - solo il “terzo tra cotanto senno”, finisca per imporsi, e che ciò non dispiaccia minimamente a Matteo Renzi, anche se come segretario “in pectore” non può fare un gioco così scoperto.
Ora è un fatto che le ipotesi di cui si sta discutendo a livello di governo sono tutte “proporzionaliste”. Dal modello “spagnolo” messo in frigorifero dalla commissione senatoriale due settimane fa alle dichiarazioni contro il maggioritario di “Peppino Calderisi, proverbiale esperto di leggi elettorali e in questa fase consulente del governo” (“La Stampa”, 29 novembre). Sono assolutamente convinto che questa scelta, sostanzialmente di restaurazione della prima repubblica, sarebbe catastrofica. Con la proporzionale abbiamo avuto governi brevissimi e debolissimi per cinquant’anni, costretti a continui compromessi all’interno e con accordi sotto banco con le grandi opposizioni per poter tirare a campare per sei mesi. Ciò ha incoraggiato le pratiche corruttive in modo folle  e ci ha lasciato un debito pubblico grande come l’Everest, che ha pesato come un macigno anche nell’ultimo ventennio, nonostante i tentativi di aggredirlo. A me tornare su quella strada sembra da dementi, ma si sa che il reale è spesso irrazionale. Per questo la logica del maggioritario di collegio e dell’alternativa “per legge” tra blocchi opposti è indispensabile. Altrimenti la più piccola riforma che urti la più piccola corporazione diventa un’impresa sovrumana e l’Italia seguiterà ad essere la Cenerentola d’Europa. E a pagarla più di tutti saranno proprio i lavoratori. Questo ha capito Matteo Renzi, la cui visione maggioritaria bipolare e da governi di legislatura è chiara. Mi piace l’alternativa di sinistra e non mi piace rafforzare la destra per poi borbottare con fiero cipiglio contro la barbarie dei contemporanei. Perciò voto e farò votare Renzi. E sono pure persuaso che segretario e candidato premier debbano essere necessariamente la stessa persona, come già da Statuto del PD, perché governare con efficacia avendo il primo partito, oltre a tutto proprio, magari diversamente orientato, che possa contestare e certo contesterà alle spalle, significherebbe avere non già un Bertinotti o Pecoraro Scanio in maggioranza come capitò a Prodi, ma cento. No, grazie, abbiamo già dato. 

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