Morgante o Morgante maggiore di Luigi Pulci
Nella nostra rubrica che invita alla lettura, proponiamo Il Morgante, l’opera più importante di Luigi Pulci, poema dai contenuti spregiudicati e per certi versi moderni, invito alla pratica del libero pensiero e non solo. Vale la pena di perdersi nelle sue rime che sono ancora capaci di far ridere e riflettere.
Il poema si sviluppa in 28 cantàri (o canti) in ottave, è diviso da due parti: la prima, in 23 cantari, edita nel 1478, sembra riprendere da vicino la narrazione un cantare popolaresco dell'epoca (per essere precisi si fa riferimento all'Orlando, un poemetto tradizionale scoperto nel 1868 dallo studioso Pio Rajna e contenuto nel manoscritto Mediceo Palatino 78 della Biblioteca Laurenzana di Firenze) la seconda parte si divide in 5 cantari e, secondo alcuni studiosi, prende spunto dalla materia di un altro poemetto, La Spagna, ed è incentrata sulla rotta di Roncisvalle. Secondo lo studioso Paolo Orvieto non sarebbe però il Morgante a derivare dall’Orlando ma viceversa.
Il Morgante è sicuramente il capolavoro del Pulci ed è uno dei poemi più singolari della letteratura italiana (e non solo), dato il tono giocoso e le avventure mirabolanti di alcuni personaggi, la capacità di ridere e ironizzare anche sui valori considerati comunemente sacri. Di fatto ha la struttura del poema epico-cavalleresco in ottave, è, come già detto, suddiviso in cantari, e prende spunto dal ciclo carolingio. Il titolo deriva dal nome del personaggio principale del poema, un gigante che Orlando converte alla fede cristiana e le cui avventure costituiscono parte della trama. La
prima edizione uscì nel 1478 in 23 cantari, nel 1483 uscì l’edizione definitiva, in 28 cantari. Gli ultimi cinque canti dell'edizione definitiva sono scritti con uno stile molto diverso dalla prima parte del poema e narrano la morte di Orlando a Roncisvalle. Il titolo di "Morgante maggiore", con cui non poche edizioni appaiono, è riferito al fatto che dell'opera era disponibile un’edizione minore. ovvero una estrapolazione del solo episodio di Morgante e Margutte, noto come "Morgante minore". Per cui il "Morgante" è "maggiore" anche nella prima redazione di ventitré capitoli, anche se altri studiosi tendono ad indicare con il titolo Morgante maggiore solo l’opera in 28 cantari.
Poema comico, la trama procede per colpi di scena, la fantasia della narrazione è animata da spirito burlesco, talvolta spregiudicato, espresso in un linguaggio pungente tipico dei cantari popolari, ossia componimenti cavallereschi del '400 e '500 accompagnati dalla musica destinati ad una esecuzione in pubblico.
Sembra che il titolo di Morgante sia stato imposto a furor di popolo, come si desume dal lungo titolo imposto all'edizione del 1481, e questa dà l’idea del grande successo riscosso dall'inedita figura del gigante convertito, e questo nonostante che il poema abbia per oggetto le peripezie dei paladini della corte carolingia.
La tradizione dice che fu Lucrezia Tornabuoni (madre di Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico): a spingere il Pulci a scrivere il poema. Anche se lei avrebbe desiderato un poema cavalleresco tradizionale, in linea con la tendenza alla rifeudalizzazione che in quel tempo era presente in Firenze. Il poeta invece seguì il suo animo ironico e scrisse una parodia del poema cavalleresco.
Pulci colse anche l’occasione di togliersi qualche soddisfazione, e attaccò alcuni suoi nemici, tra questi è evidente la figura di Marsilio Ficino, che di fatto si identifica in quel Marsilio che d'accordo con Gano di Maganza ordisce il tradimento di Orlando e Rinaldo.
Lo stile ed il linguaggio utilizzati dal Pulci sono conformi al percorso “libero” del poema e soggetti alla mutevolezza, combinando termini dialettali prettamente toscani, umili, bassi e talvolta scurrili uniti all'enfasi di un linguaggio alto e letterario, dove occorre Pulci fa uso anche di vocaboli scientifici. Appare evidente che l'obiettivo della parola è quello di essere d'impatto, di creare un’espressività forte, di rappresentare al meglio i continui cambiamenti di toni del racconto. Insomma, Pulci estremizza quello sperimentalismo linguistico che era inteso a modificare il linguaggio unilinguistico petrarchesco, all’epoca ripreso da Poliziano e molto amato dagli ambienti colti, scegliendo di fatto un filone tematico maggiormente prossimo alle istanze borghesi e popolari.
Il poema segue la sinuosità di un narrare avventuroso, privo di un centro ideale, tipica di un modello popolaresco, dentro il quale si proietta, con gusto ben altrimenti educato, l'estro comico e bizzarro di Pulci e soprattutto la sua inesauribile vivacità linguistica. La prima parte è più burlesca, libera e spregiudicata nello stile e nella struttura; la seconda parte invece adotta un tono più serio, incentrata sulle vicende eroiche dei paladini e sulla morte di Orlando. La trama è semplice, almeno nell’impostazione, Orlando e il suo compare si recano in Pagania (in Asia e in Egitto), fra i musulmani. Orlando capita in un convento minacciato da tre giganti, ne uccide due e converte il terzo al cristianesimo, il gigante salvato si chiama Morgante, che sceglie di diventare scudiero del paladino. Dopo un incessante susseguirsi di peripezie e avventure d’ogni genere, venendo a conoscenza che Carlo Magno è in difficoltà, Orlando e Rinaldo decidono di tornare in Francia per combattere al suo fianco, i due paladini sono trasportati da due demoni (Astarotte e Farferello personaggi sorprendenti e sicuramente dissacranti). Nella gola di Roncisvalle, per tradimento del perfido Gano, sono accerchiati dai saraceni, nella battaglia i paladini danno prova di enorme valore, Pulci si dilunga nell’esaltare le portentose gesta, forse per recuperare almeno qui l’epopea cavalleresca, l’enorme numero dei nemici ha però ragione della strenua difesa. Finalmente Carlo Magno scopre il tradimento e condanna Gano ad essere squartato. Altra figura notevole del poema è Margutte, il "mezzo gigante" (cosiddetto per la sua statura di "soli" 4 metri, a differenza dei tradizionali 8 degli altri giganti), anch'egli soggetto pseudo-eroico come Morgante. Compare sulla scena incontrandosi in prossimità di un bivio con Morgante e subito appare la sua grande originalità, il racconto della sua vita, di come egli sia miscredente perché “la fede è fatta come uno se la trova”, ne fanno un personaggio fantastico.
Margutte e Morgante compiono insieme epiche e ardue imprese, che però risultano essere una parodia della tradizione cavalleresca e del ciclo carolingio. Infine muoiono in due modi molto originali (Morgante muore per una puntura di granchio; Margutte "scoppia" letteralmente dal ridere dopo aver visto i suoi stivali rubati da una bertuccia che per gioco se li mette e se li leva).
Gano è il traditore di professione, descritto come un folle pieno d’invidia che non fa altro che progettare congiure; Carlo Magno sembra un vecchio rimbambito che condanna e poi perdona Gano senza motivo. La vena burlesca del poeta appare più viva soprattutto con i personaggi prediletti: Morgante, gigante di proporzioni ma bambino nei sentimenti, e Margutte, mezzo-gigante scaltro d'ingegno, incarnazione di un mondo furfantesco, irridente di ogni limite religioso e morale, spaccone e ingordo, divertita e originale creazione del poeta, che è anche un’estrosa raffigurazione del suo temperamento anticonformista e provocatorio. Astarotte è un demone colto che tratta argomenti teologici e scientifici. Creazione originale del poeta, sembra quasi contrapporsi al gusto burlesco del poema; diventa lo strumento con cui sradicare le concezioni medievali, le sue parole sembrano un invito a liberarsi delle false credenze aprendosi ad una visione diversa del mondo. Pulci lo usa per esporre alcune teorie in cui lui credeva e lo usa per invitare i lettori a fare uso della curiosità, ad aprirsi al gusto della scoperta.
D’altronde Pulci aveva letto e apprezzato i testi delle dottrine di Averroé (Abū l-Walīd Muhammad ibn Ahmad Muhammad ibn Rushd), conosceva il misticismo della cabala ebraica, si era avvicinato alle scienze occulte (viste come strumento di studio della natura). Aveva dimostrato di non credere troppo ai miracoli narrati nella Bibbia, all'immortalità dell'anima, al dogma della Trinità. Non a caso il diavolo Astarotte professa grande tolleranza religiosa e afferma che a Dio piace ogni religione purché accolta in modo sincero e osservata fedelmente.
Dunque buona lettura …
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