Per una legge elettorale che introduca il doppio turno a livello nazionale, coniugando finalmente rappresentatività e governabilità

Per una legge elettorale che introduca il doppio turno a livello nazionale, coniugando finalmente rappresentatività e governabilità

Anche chi scrive si può annoverare tra chi ritiene non sia prioritaria la definizione di una nuova legge elettorale, seppure una parte della maggioranza, senza nominarla, continui a spingere per la riduzione dei parlamentari, accompagnata da un’altra parte della maggioranza per il contemporaneo ridisegno dei collegi territoriali.
Ma il problema si pone, pur rispettando i dettami costituzionali le capriole politiche hanno superato ultimamente ogni precedente limite. In questo esercizio molti han dato il meglio e il peggio di sé, che l’Italia sia il luogo del trasformismo consolidato è risaputo, la pratica è antica di cento e più anni, ma davvero negli ultimi tempi l’utilizzo di tale metodo è diventato complessivamente stanziale nei partiti e quotidiano nei politici.
Dunque la definizione di una legge elettorale è un esercizio sicuramente sovrapponibile agli interventi più urgenti e di maggior bisogno (per esempio la manovra finanziaria, un nuovo sistema europeo di accoglienza migratoria, le numerose vertenze nel mondo del lavoro); a questi temi vorrei aggiungere altre croniche necessità, come la lotta all’evasione fiscale, avere norme e regole più semplici e trasparenti a contrasto della corruzione, la questione meridionale ovvero lo sviluppo di una delle zone più povere dell’Unione Europea.
Pertanto si potrebbe anche avviare in tempi brevi una iniziativa politica finalizzata alla modifica dell’attuale legge elettorale da compiersi secondo le regole meritorie e metodologiche della nostra democrazia, ricercando una volta per tutte (se davvero si vorrà, forte permane il mio dubbio) il miglior assetto legislativo per dare stabilità politica a questo plurimartoriato Paese fondato sul trasformismo più che sul lavoro.


Riduzione dei parlamentari e assetto della Repubblica
Per motivi politici ed economici ritengo sostanzialmente simbolica e poco significativa una riduzione secca dei parlamentari, salvo sia accompagnata dalla modifica del bicameralismo attuale; modifica che potrebbe assegnare ruoli e compiti differenti alle due Camere (se non addirittura abolirne una) costituendo a titolo di esempio un “Senato delle conoscenze e delle competenze” su indicazione e nomina, che guardi alla testa e non alla pancia del Paese elevandone il livello culturale.
Non reputo invece ancora necessario il passaggio da una Repubblica Parlamentare ad una Presidenziale; l’Italia odierna non ha cittadini prevalentemente moderati, ritorna troppo frequentemente l’abbaglio e il desiderio dell’uomo solo al comando, che vuole pieni poteri e un territorio militarizzato o che trasforma ogni iniziativa in un referendum nascosto su se stesso: meglio evitare derive che non ci possiamo ancora culturalmente permettere e nemmeno augurare.

Sistema proporzionale
Inoltre, ripercorrendo la storia e valutando il contesto attuale privo di ancoraggi significativi (altro che partiti o movimenti simili a quelli della prima repubblica) penso fortissimamente che il ritorno al vecchio sistema proporzionale sia deleterio per la nazione e i suoi cittadini, non garantendo né la sua stabilità, né un clima quotidiano utile alle numerose questioni da affrontare e possibilmente risolvere, né una prospettiva migliore della situazione attuale.
Pur basandosi su una corretta rappresentatività del Paese, propedeutica alla formazione di una rappresentanza parlamentare riflettente la reale situazione politica, il frazionamento riduce fortemente l’efficacia del sistema proporzionale nella tenuta governativa. Garantendo in toto i partiti minori si rischia di consegnare loro la possibilità di condizionare il governo in misura eccessivamente maggiore rispetto all’effettivo peso elettorale.
Anche l’introduzione delle coalizioni si è rivelata poco efficace, nel tempo sono tutte implose: Berlusconi e Prodi impallinati prevalentemente dal fuoco amico, più volte una parte governativa è scesa nelle piazze contro se stessa. E se la memoria non mi inganna sono implosioni trasversali, anche in presenza di ampie maggioranze parlamentari uscite dalle urne.
Pertanto un sistema proporzionale andrebbe accompagnato da diversi correttivi: un consistente premio di maggioranza alla formazione più votata e uno sbarramento in basso molto più elevato di quello attuale: con tutto il rispetto, non possiamo lasciare le sorti nazionali in mano a partiti immeritatamente arbitri della situazione, votati da qualche milione di cittadini rispetto a 33 milioni di voti validi, a 34 milioni di cittadini recatisi alle urne, a 46 milioni di elettori potenziali (dati delle politiche 2018).

Sistema maggioratario
I sistemi maggioritari, nelle loro numerose forme, danno maggiore possibilità di avere governi stabili nel tempo, ancorché il loro meccanismo abbia molte criticità rispetto un adeguato riconoscimento delle minoranze partitiche e territoriali; da ciò sono immuni le formazioni aventi  una forte connotazione e concentrazione locale, potendo beneficiare delle regole del sistema elettorale laddove sono ben radicate.
Per ovviare a questa distorsione vi sono diversi correttivi, tra cui il raggiungimento di una elevata percentuale per poter governare e la garanzia alle minoranze di una adeguata presenza parlamentare; ognuno di questi aggiustamenti ha comunque una efficacia limitata rispetto alla distorsione prodotta dal sistema maggioritario, ma non potrebbe essere altrimenti.

Sistemi misti
In pratica non esiste un sistema perfetto: il proporzionale rispecchia una rappresentatività più fedele all’orientamento degli elettori, ma è più carente nella tenuta governativa; il maggioritario favorisce la governabilità premiando i pochi partiti egemoni, ma rispecchia in misura minore la reale scelta politica espressa dai singoli elettori.
Di conseguenza sono stati costruiti sistemi elettorali misti, in parte proporzionali e in parte maggioritari; in realtà sono prevalentemente i sistemi maggioritari ad aver introdotto correttivi proporzionali. Penso comunque che nelle molteplici leggi elettorali vigenti nel mondo prevalga una sorta di tradizione o consuetudine più o meno consolidata nel tempo, sia per i sistemi puri che per quelli misti (e questo per noi non è un complimento).

Una scelta responsabile per la nazione
Cosa fare in Italia? Se si ascoltano le varie espressioni partitiche nulla si ricava, chi diceva ieri bianco oggi dice nero e viceversa secondo il momentaneo interesse, ognuno vuole garantita la sua presenza ed è per questo che si preferisce un sistema poco efficace che genera instabilità. Qui si aprirebbero altre riflessioni che preferisco omettere, ma i vari sistemi nazionali succedutisi nel tempo non hanno saputo (forse voluto) garantire alcuna governabilità, in modo da assicurarsi un luogo sicuro in caso di rifugio. Non per nulla la quarta repubblica francese, molto instabile a differenza della quinta, è dai cugini transalpini chiamata “République à l’italienne”.
A proposito dei nostri vicini di casa, è mia convinzione abbiano un signor sistema elettorale, denominato maggioritario uninominale a doppio turno. Certamente favorisce i grandi partiti a scapito dei piccoli, ma ha dato stabilità alla Francia, assicurando sempre la maggioranza assoluta alla persona eletta (o al partito votato) in un sistema politico estremamente frammentato.
Nel loro secondo turno di voto, chiamato ballottaggio, di fatto si sfidano i due candidati più votati durante il primo turno, alla quale partecipano tutti i candidati ammessi; ovviamente il ballottaggio non avviene se nella prima votazione qualcuno ha raggiunto la maggioranza assoluta. Tutto qui l’essenziale.
E’ semplice, perché chiaro e comprensibile; è efficace, perché nella governabilità al secondo turno penalizza gli estremismi; è sostenibile, perché in vigore dagli inizi degli anni ’60; è stimolante, perché al primo turno si vota più con il cuore e nel secondo turno si vota più con la testa (si spera non con la pancia) essendo costretti responsabilmente a scegliere.
E’ un sistema diretto e nel più importante caso transalpino (le elezioni presidenziali) elegge il Capo dello Stato in una democrazia semi presidenziale, il quale a sua volta dopo le elezioni legislative nomina il Primo Ministro come espressione della maggioranza nell’Assemblea Nazionale (la loro Camera).
Da noi, con le dovute e sostanziali proporzioni e differenze, un simil sistema è in vigore nelle elezioni regionali e comunali (ove previsto) e pertanto localmente anche l’Italia ha un diffuso sistema a doppio turno, mediante il quale eleggiamo un governatore o un sindaco che nella maggior parte delle situazioni concludono il mandato. Funziona, ma stranamente il doppio turno non è preso in considerazione per le dinamiche nazionali.
Ne consegue però che se fosse introdotto tout court a livello centrale (non è questo per ora il mio desiderio) il sistema francese modificherebbe di fatto la natura stessa della nostra Repubblica, potendo difficilmente coesistere politicamente un capo del Governo eletto dal Popolo e un Presidente della Repubblica eletto in Parlamento.
Aggiungo inoltre che in Francia le elezioni presidenziali precedono di poco le elezioni legislative (sono due momenti diversi) che eleggono l’Assemblea Nazionale sempre con un sistema uninominale maggioritario a doppio turno, ma con un ballottaggio teoricamente estendibile fino a tre o quattro candidati, in quanto accede al secondo turno chi ottiene il 12,5% dell’elettorato al primo turno.
L’elezione del Senato è invece in capo ai “grandi elettori” (amministratori locali e assemblea nazionale) e nell’iter legislativo i senatori hanno gli stessi poteri dei deputati, che però mantengono l’ultima parola in caso di disaccordo. La fiducia al Governo è invece affidata alla sola Assemblea Nazionale. E’ un bicameralismo imperfetto.
 Il doppio turno, una volta italianizzato, potrebbe allora servire a determinare il partito vincitore e non tanto il candidato premier, nessuna delle automaticità francesi scatterebbe. Ma va da sé che non sarebbe una cattiva idea se per sua natura lo facesse anche in parte (una indicazione cui il Presidente si deve attenere in considerazione della maggioranza parlamentare) in quanto va attuata una riflessione sulla nostra esigenza di un maggiore ruolo, autonomia ed azione del “Premier” all’interno del suo governo. Non è pensabile ripetere le figuracce internazionali di Conte a causa della sua inefficacia nel governo “a contratto” dissoltosi ad agosto, ma nato e vissuto seguendo la Costituzione.
Se andiamo a rileggere attentamente l’evoluzione dei dati tra il primo e il secondo turno delle ultime elezioni francesi, sia presidenziali che legislative, ci accorgiamo come sia stato possibile rendere governabile un sistema frammentassimo. Hanno compiuto delle scelte, disposti a rinunciare qualcosa, perché questo significa scegliere.
Venendo a noi, applicando il doppio turno al risultato delle ultime elezioni politiche, avremmo avuto al ballottaggio i due partiti più votati e l’esito finale avrebbe consegnato al Paese un governo stabile votato dalla maggioranza degli elettori. Governo che avrebbe probabilmente governato per tutta la legislatura, alla fine della quale sarebbe stato giudicato. Ma noi preferiamo non scegliere e ci giustifichiamo col gioco di parole “sarebbe maggioranza della minoranza”, dimenticandoci che l’alternativa sarebbe probabilmente dare potere a formazioni più minute e forse nemmeno elette.
Vorrei riportare l’ultima parte di un articolo pubblicato il 20 giugno 2017 dal Sole 24 ore a firma di D’Alimonte che ritengo molto esplicativo.
“(…) In Italia oggi sono in vigore due sistemi elettorali frutto di due sentenze. Nella situazione attuale è altamente improbabile, per non dire certo, che con questi sistemi si riesca fare un governo di coalizione stabile ed efficace dopo il voto. (…) La Francia al contrario, nonostante la crisi dei partiti tradizionali e la sfida del populismo, ha un Presidente e un Governo stabili, grazie a sistemi maggioritari che favoriscono “primariamente” la governabilità rispetto alla rappresentatività. Un governo con una maggioranza solida che gli consentirà di decidere e di farsi giudicare tra cinque anni, per quello che ha fatto o non ha fatto.
Noi invece siamo dentro una palude di incertezza. Prima o poi ci accorgeremo che per uscire dalla impasse la strada più efficace e più democratica è quella di dare agli elettori un secondo voto come in Francia, o come nei nostri Comuni. Lo si può fare ripartendo, nonostante tutto, dalla sentenza della Consulta, che pur abolendo il ballottaggio dell’Italicum ha lasciato la porta aperta ad altre forme di doppio turno. Anche a quello francese che evidentemente per la Corte è meglio dell’Italicum.”

In divenire
A me pare, dunque, che il doppio turno abbia in sé molti più elementi positivi che negativi. Si potrebbe obiettare che “lor son francesi e noi no perché orgogliosamente italiani”, ma pur con un Paese sostanzialmente diviso in due o in più parti (come noi) e per quanto gli sconfitti si disperino per l’altrui vittoria dell’avversario, difficilmente qualcuno oltre le Alpi chiederà di cambiare il sistema, perché funziona.
Funziona anche e soprattutto da un punto di vista democratico, perché esalta in pienezza il voto del singolo e privilegia la prospettiva chiara e tangibile che l’elettore ha scelto nell’urna, dando preferenza al verbo del partito prescelto e non alla tattica trasformista e a volte opposta di chi è stato scelto, come è avvenuto da noi sia lo scorso anno, sia pochi giorni or sono in modo ancor più spinto e diffuso.
E a questa riflessione ne aggiungo un’altra altrettanto democratica. Le grandi coalizioni nazionali tra i partiti, in verità più presunte che reali, esistono anche in Francia: ma dove e in quale modo si esplicano? Tra gli elettori e non tra gli eletti! Non si tratta di un particolare di poco conto. Chi vince e chi governa lo decidono gli elettori alla luce del sole, non gli eletti nelle oscure trattative di palazzo. A fronte di questa deriva, l’impresentabile piattaforma Rousseau diviene il mezzo più rispettoso della volontà popolare, cui ci si deve attenere. Cosa dobbiamo ancora aspettare per modificare le regole del gioco?
Questa è la bellezza del doppio turno, chiarezza di risultato insegnando a essere responsabili, a scegliere sapendo di rinunciare a qualcosa, a crescere. E la responsabilità è forse lo strumento migliore per modificare il senso di un voto che dall’interesse personale del pur legittimo “cosa io ci guadagno” può raggiungere una dimensione collettiva approdando al “cosa il mio Paese guadagna”.
Perché ho intitolato “in divenire” quest’ultima parte? Perché se l’ibridazione qui prospettata in modo semplice e parziale (ma il senso è chiaro) invece di essere migliorata appare come il campo del “sì però”, allora preferisco l’introduzione integrale del modello francese per salvare l’Italia dall’immobilismo e dalle chiacchiere, dal trasformismo e dalla consunzione.

Con una precisazione, a scanso di equivoci: il populismo e il sovranismo non si arginano con giochi magici, predicozzi e voli pindarici da soap opera, si sfidano nelle urne differenziandosi in chiarezza di idee e coerenza di pensiero, in credibilità quotidiana e concretezza di risultati.

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