“L’oggetto più prezioso che ho” di Giovanni Taurasi


Questo è l’oggetto più prezioso che possiedo. Più prezioso, non di maggior valore. Qualche tempo fa un orafo lo valutò appena un centinaio di euro. Ma è la cosa più preziosa che possiedo. Apparteneva a mio nonno, che portava il mio stesso identico nome. Lo aveva comprato in America, quando era emigrato là come manovale. Tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, nonno Giovanni faceva la spola tra il suo paesino d’origine in Irpinia e gli Stati Uniti. Ogni due anni tornava a trovare la famiglia. Dietro riporta incisa una data: 27 novembre 1929. A volte penso che l’abbia acquistato come bene rifugio poco dopo il crollo della borsa di Wall Street. Oppure che abbia approfittato di un ribasso generale dell’oro nelle settimane successive al martedì nero del 29 ottobre 1929. Non saprei. Però per me è la cosa più preziosa.
L’orologio divenne di mio padre, il più piccolo tra i suoi fratelli. Anche mio padre, come molti suoi fratelli e sorelle, è stato migrante. Prima in Argentina e Venezuela e poi, negli anni Sessanta, dal Sud al Nord Italia. Lui è tornato in Italia, altri suoi fratelli e sorelle hanno continuato a
vivere in sud America.
Il papà mi regalò l’orologio e io lo conservo con cura, ma un giorno lo regalerò ad uno dei miei figli. Vale poco, ma è la cosa più preziosa che ho. Dal punto di vista affettivo e non solo. Mi ricorda, a me che sono nato, cresciuto e ho vissuto sempre nella stessa città, nel cuore della Pianura Padana, e che non ho dovuto mai cercare in un altro luogo maggiore fortuna – perché qui c’è ricchezza, lavoro, libertà e non ci sono guerre – mi ricorda, dicevo, che sono figlio di un migrante, che era a sua volta figlio di un migrante, che probabilmente aveva tra i suoi antenati altri migranti… e che nel sangue di ognuno di noi, dall’inizio del cammino dell’uomo ad oggi, scorre il sangue di un migrante. L’orologio ormai non scandisce più il tempo. Il suo meccanismo è inceppato e non so se si possa aggiustare. Però si porta dentro questa lunga storia e me la ricorda ogni volta. Per questo è l’oggetto più prezioso che ho.


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