Sul doveroso superamento delle corporazioni
Angelo Marinoni Appunti Alessandrini
Una delle ragioni per cui l’Italia fa molta fatica a essere un paese normale è nella sua totale incapacità di visione d’insieme non solo da parte della classe dirigente, ma anche, forse soprattutto dalla classe lavoratrice e sindacale.
Il settore dove questo pernicioso atteggiamento è più radicato e dove ha già fatto i danni più grossi minacciando di finire il lavoro di demolizione iniziato negli anni Sessanta dalla politica nazionale è quello dei trasporti.
La tutela dei lavoratori e la difesa di diritti garantiti dalla Costituzione è sacrosanta, la difesa dello status quo per un gattopardesco atteggiamento di conservazione di una situazione acquisita più o meno conveniente a una ristretta fascia ci cittadini, più che a una categoria a una singola corporazione no: questo sta succedendo in tutti gli ambiti del trasporto pubblico passeggeri, dal trasporto urbano al sistema ferroviario.
Uno degli esempi più catastrofici è stata la gestione sindacale delle crisi di molte aziende di trasporto pubblico locale che incapaci di muoversi nel mercato in cui sono state buttate sarebbero dovuto fallire, come tutte le altre imprese private, ma essendo mostri di diritto privato e capitale pubblico (con maggioranze variabili) sommano tutte le inefficienze dei sistemi di gestione pubblico e privato
scartandone con precisione geometrica ogni beneficio.
Alessandria e Genova sono due esempi tanto disastrosi quanto potenti di come non si gestisce una crisi e di come la politica locale sia totalmente incapace di gestire una delle poche cose che ha il dovere di gestire bene: il trasporto pubblico.
I tecnici e gli osservatore che abbiano letto qualcosa sull’argomento hanno scritto in tutte le lingue migliaia di pagine circa il ruolo cardine che ha il trasporto pubblico nella gestione di una città, del suo ruolo di elemento principe per una gestione economicamente e ambientalmente sostenibile del vivere urbano, dei danni che una sua gestione maldestra provocano sulla qualità del vivere urbano, danni ambientali, come al decoro architettonico e urbanistico: questo non ha impedito, per esempio, al Sindaco di Genova di cedere le armi ai potenti sindacati dei trasporti locali e mandare in cavalleria una operazione di privatizzazione dell’azienda di trasporto pubblico locale che appariva come unica strada verso il risanamento e una gestione efficiente del sistema trasporti nella complicata metropoli ligure; unico caso in cui a causa delle diverse ostinazioni su tutti i fronti, si era arrivati a sopprimere la possibilità di usare il biglietto urbano sul sistema ferroviario locale: in una città con 18 (diciotto) stazioni ferroviarie urbane e un contesto urbanistico e architettonico tale da spingere autorità raziocinanti a farla diventare città pilota senz’auto ben prima di Helsinki o Amburgo.
Indipendentemente dal valore che si voglia attribuire alla privatizzazione di un servizio di trasporto pubblico e indipendentemente dalle opinioni circa la necessità del mantenimento in mano pubblica di settori strategici della società resta inaudito che una Amministrazione pubblica di una metropoli debba modificare o rinunciare a fare delle scelte di politica gestionale perché una singola categoria di lavoratori pone il suo drastico veto, senza averne, mi si consenta, i titoli per una valutazione economica e sociale dell’opportunità dell’operazione: sicuramente corretta la tutela sindacale dei diritti e non ultimo del posto stesso di lavoro, ma inaudito che un’azienda di diritto privato destinata al fallimento venga sottratta alle regole del mercato nelle quali era messa o era stata messa e superi da destra tutti i competitori imbrigliati nelle normali leggi di mercato con manifestazioni di piazza di una categoria che non intende accettare alcun tipo di cambiamento del suo status quo lavorativo, indipendentemente dalle condizioni in cui verso la società, indipendentemente dalla necessità della metropoli di avere un servizio di trasporto pubblico efficiente.
A titolo di documentazione consiglio l’intervista del 2005 rilasciata a Metrogenova dall’amministratore delegato dell’impresa francese aggiudicataria dell’acquisizione di AMT (http://www.metrogenova.com/magazines/Intervista%20a%20Hubert%20Guyot.pdf) e un esempio di come è andata a finire dieci anni dopo (http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2014/12/23/ARgDCEyC-consiglio_protesta_lavoratori.shtml), ovviamente attualmente AMT è tornata a capitale interamente pubblico, il Comune ha restituito a Transdev, socio privato, quanto anticipato per i programmi di investimento dopo il ritiro e l’azienda senza investimenti e senza prospettive tira a campare sotto i “mugugni” dei cittadini e un piano dei trasporti non disegnabile: sono stati mantenuti inalterati, probabilmente, i contratti di secondo livello che sono stati alla base delle proteste, nel frattempo una delle principali città d’Italia con il più difficile sviluppo urbanistico del paese ha il trasporto pubblico che tira a campare invece di essere il motore della sua ripresa.
Lo stesso agghiacciante scenario si è visto in Piemonte a proposito del sistema ferroviario regionale, dove settori di una singola categoria rischiano di mandare all’aria il complesso progetto della attuale Giunta regionale piemontese di messa a gara del servizio ferroviario: l’aggravante piemontese è il déjà vu, nel 2010 la Giunta Bresso di fronte alla gestione disastrosa del vettore ferroviario del sistema complementare (soppressioni indiscriminate dei convogli fino all’80% dei treni in orario, piani neve con soppressioni parziali e totali delle tratte da ottobre a marzo, impianti abbandonati, nessuna informazione a terra e a bordo treno quando ne arrivava uno) e le scelte penalizzanti di isolamento della regione da parte del sistema universale (Intercity e lunghe percorrenze finanziati dallo Stato che sono stati soppressi o limitati costringendo l’area nord a recarsi a Milano con AV e l’area sud a recarsi a Milano o Genova, ma con mezzi propri) iniziò il progetto di messa a gara che scatenò la protesta di molte sigle sindacali per partito preso, senza alcuna valutazione dei benefici che avrebbe avuto la cittadinanza nel suo complesso, lavoratori compresi, a una gestione efficiente del fondamentale sistema ferroviario regionale: senza considerare le tutele di legge circa la conservazione del posto e valutando solamente i rischi di una nuova contrattazione di secondo livello (normale per tutti i lavoratori di aziende in crisi o che perdono la commessa per indisponibilità a operare, come nel caso piemontese). Iniziarono una serie di proteste che hanno portato alla soppressione del progetto regionale, alla caduta della giunta e alla soppressione di dodici linee ferroviarie con annunci di esubero del personale viaggiante.
Allo stato attuale il sistema ferroviario regionale, fatto salvo l’elefantiaco e onerosissimo SFM torinese, è poco più che nulla e pone il Piemonte in uno stato di arretratezza infrastrutturale a dir poco imbarazzante, specie perché le infrastrutture giacciono efficienti e abbandonate mentre nuove strade e nuove rotonde consumano il territorio, devastano ambiente e casse regionali per costi di manutenzioni, costi ambientali e costi sociali determinati dal traffico su gomma.
La Giunta presieduta da Chiamparino, in un contesto di bilancio difficilissimo, sta iniziando un progetto di recupero e di redazione di un piano dei trasporti che ha nell’affidamento del servizio ferroviario regionale a lotti la chiave di volta.
Sono rincominciati gli scioperi di alcuni sindacati dei lavoratori del settore come se la riduzione ai minimi termini del servizio, la soppressione del deposito di Cuneo, l’abbandono dello scalo merci di Alessandria, la riduzione del servizio, l’indisponibilità del vettore a potenziare il servizio anche quando con i biglietti otterrebbe incassi ingenti, a parte gli speciali Cuneo-Ventimiglia via Tenda imposti dall’assessore Balocco, il vettore si è rifiutato di operare treni aggiuntivi fra Torino e la Riviera e chiunque vi sia salito è conscio della somiglianza con il sistema ferroviario indiano di quella tratta in estate.
Poiché le norme tutelano il posto di lavoro, poiché in tutta Europa esistono avvicendamenti fra operatori del settore nel trasporto ferroviario complementare che non creano disoccupazione, ma sistemi di trasporto efficiente perché in Italia il terrore, per di più ingiustificato, di una singola categoria deve penalizzare tutto il sistema trasporti con quello che ne consegue sul piano sociale, ambientale, economico e culturale quanto a conservazione del paesaggio e dei beni architettonici?
Viene da pensare che il problema sia il terrore di una nuova contrattazione di secondo livello fra sindacati e nuovo vettore, ma, anche se ci fosse una flessione, probabilmente insignificante, dei benefit perché la tutela di quei pochi benefit deve avere come prezzo l’indispensabile gestione efficiente del sistema trasporti?
Perché non abbiamo sentito levarsi voci di proteste mentre la giunta Cota e Trenitalia si vantavano di annientare il sistema ferroviario complementare come una necessaria revisione della spesa, leggasi le dichiarazioni dell’ex-assessore Bonino e del suo staff (ora in Trenitalia a occuparsi di treni regionali!) e le dichiarazioni dell’ex dirigente trasporto regionale Cioffi in quegli anni; sappiamo tutti benissimo che i danni provocati dalla sospensione del servizio sono di vari ordini di grandezza superiori ai risparmi ottenuti.
Una simile difesa dello status quo può essere condivisa in realtà complessivamente efficienti dove si trova normale che i lavoratori di un’azienda sana e con buoni livelli di produzione protestino vivacemente una modifica societaria che metta in crisi la loro qualità occupazionale oltre che del servizio erogato, ma di fronte allo sfascio rappresentato dal sistema trasporti piemontese ereditato da questa Giunta e che questa Giunta sta cercando di risolvere cosa stanno difendendo alcune lotte sindacali con le acritiche opposizioni alla modifica dello status quo?
Uno dei deboli argomenti è proprio la divisione in lotti del sistema ferroviario piemontese, eppure è del tutto evidente che una assegnazione in unico lotto renderebbe la strada spianata a un solo competitore, quello che opera adesso e che ha dichiarato in tutti i modi la non intenzione di operare buona parte delle tratte che sono state messe a gara.
Evidentemente il problema enorme di questo paese in ambito trasporti è che la discussione circa la programmazione diventa uno degli argomenti della discussione sindacale e alla fine non interessa a nessuno dove vadano gli autobus o i treni e che orari facciano, a una parte della barricata importa solo che vengano garantiti dei livelli occupazionali con una contrattazione di secondo livello adeguata alle richieste e all’altra parte che la spesa complessiva sia sostenibile: il risultato è la tragedia che abbiamo di fronte e che rivela, senza appello, che occorre un azzeramento dello status quo perché il problema, evidentemente, non è nel principio della gestione pubblica del trasporto, ma nell’accordo fra le parti e in nessuna delle due è rappresentata l’utenza/clientela che è la parte finanziante e numericamente più rappresentativa del 99% degli interessati.
Lasciare che le aziende decotte falliscano (anche in ossequio alle leggi di mercato che gli altri competitori rispettano) consentendo alla pubblica amministrazione di redigere un piano trasporti e, a seconda della sensibilità politica, arrivare a una gestione diretta o a una gara è l’unica strada percorribile.
Basti pensare ad Alessandria e provincia dove due strutture (una a capitale pubblico e una a capitale privato) vengono continuamente da anni mantenute in vita, ma non espletano che un servizio sussidiario scolastico e sociale più per chi vi lavora che per chi ne fruisce, le frequenze attuali e le assurde linee che ora coprono in maniera approssimativa e caotica il territorio comunale alessandrino non rappresentano sicuramente uno strumento di trasporto pubblico locale competitivo e fruibile a chi non abbia molto tempo libero.
Finché non si saprà distinguere fra dialettica sindacale e programmazione del servizio e politica dei trasporti il sistema trasportistico locale sarà un costoso servizio sociale assolutamente impossibilitato a giocare il ruolo fondamentale che riveste in tutte le società evolute, dove la sacrosanta tutela del posto di lavoro e dei suoi diritti non si sostituisce alla programmazione e alla gestione del territorio che hanno altro ambito e diverso ruolo nella comunità tutta.
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