Considerazioni di Davide Morelli a "Un altro tempo" (Interno Poesia) della poetessa Giovanna Rosadini



Giovanna Rosadini è stata per anni redattrice ed editor della Einaudi. In una delle migliori case editrici italiane non assumono bluff o impostori. In un ambiente di lavoro come quello se ne accorgono subito chi ci marcia su e chi vale, come si diceva un tempo. Non ci sono trucchi né inganni. Poi come in tutti i luoghi di lavoro ci sono antipatie, simpatie, idiosincrasie. All'Einaudi la  propria validità e competenza viene giornalmente esaminata. Lei ha lavorato gomito a gomito con i migliori scrittori e può raccontare aneddoti a riguardo. È stato questo il suo apprendistato. È stata la sua palestra intellettuale. Inoltre successivamente è diventata una autrice Einaudi a conferma e a riprova del fatto che è  una letterata di grande professionalità. Ci sono sue due curatele per l'Einaudi. Ha pubblicato anche le seguenti raccolte di poesie: Il sistema limbico ( Borgomanero, Atelier), "Unità di risveglio" (Torino, Einaudi)"," Il numero completo dei giorni" (Torino, Aragno), "Fioriture capovolte" (Torino, Einaudi), "Frammenti di felicità terrena" (Faloppio, LietoColle) ed infine nel 2021, "Un altro tempo" (Latiano, Interno Poesia Editore). Con "Fioriture capovolte" ha vinto la XXXI edizione del Premio Letterario Camaiore. Con l’autoantologia che include una sezione di inediti "Frammenti di felicità terrena" ha vinto l’ottava edizione del Premio internazionale di Letteratura Alda Merini. Per chi non lo sapesse sono premi importanti, prestigiosi tra la miriade di concorsi letterari italiani, spesso indecorosi. Vorrei però spendere due parole da un punto di vista extraletterario. Ho iniziato ad interagire con lei quando mi sono permesso di chiederle una intervista per una rivista online (Le stanze di carta) a cui collaboravo tre anni fa. Io ero un carneade qualsiasi e lo sono tuttora. Lei invece era già una poetessa riconosciuta e aveva dalla sua molti consensi critici. Tutto ciò lasciava presagire che si negasse, che mi snobbasse come fanno molti già affermati. Invece mi rispose e mi rilasciò l'intervista. Le sottoposi una cinquantina di domande e poi mise il link dell'intervista anche sul suo profilo Facebook. Fu molto paziente e collaborativa. Ci mise poco tempo. Era anche in vacanza in quel periodo. Si dimostrò davvero cortese. Mi attendevo che mi mandasse a quel paese ed invece assolutamente no. Dopo qualche tempo abbiamo continuato ad interagire. Le mandai una mia raccolta di saggi brevi sugli argomenti più disparati. Mi rispose che se volevo potevo mandare un contributo per la rivista letteraria Atelier, che lei dirige. È così che ho iniziato a collaborare con questa rivista. Si è sempre rivelata molto gentile, educata, reattiva. Non sempre accade questo nella comunità letteraria. Alcuni letterati non fanno niente per niente, sono per lo scambio reciproco di favori, per il do ut des; spesso prevale l'utilitarismo, la vanagloria, il narcisismo. La comunità letteraria non è umanamente scadente. Non voglio farne un ritratto impietoso. È semplicemente una comunità con i difetti, le tare, le piccolezze, i limiti intrinseci della umanità italica. Poi tutti vogliono mangiare e le fette di torta sono poche. Comunque un tempo Patrizia Valduga scriveva che tra autori o ci si legge o ci si conosce personalmente: terzo escluso. Forse conoscendo di persona un poeta si può instaurare una amicizia e si può rimanere influenzati, si ha paura di scrivere quello che si pensa per non deteriorare i rapporti umani, si può deludere o rimanere delusi. E poi siamo così sicuri dell'efficacia della conoscenza tacita? Anche i  poeti sono diventati esperti di programmazione neurolinguistica? Ma era anni fa. Oggi con Internet si può interagire via messenger o via email. Con la Rosadini c'è stata questa terza modalità di contatto, quello virtuale, sempre improntato alla correttezza da entrambe le parti. Ma veniamo alla questione. Come scrisse Sereni la poesia è “custode non di anni ma di attimi”. È qualcosa di impalpabile. Nessuno può comunque avere pretesa di esaustività nel definire la poesia. Personalmente sono un poco pessimista sulla poesia contemporanea italiana, tranne alcuni casi  come quello della Rosadini. Forse sono io che chiedo troppo alla poesia. Chiedo che non sia uno sfogatoio e che non abbia carattere intimo, ma che abbia universalità. Chiedo che non sia pretestuosa né intellettualistica. Chiedo che non crei mondi fittizi, ma che sia in presa diretta con la realtà. Chiedo che non sia finzione e che le sue parole non siano evanescenti. Chiedo che sia una forma di arricchimento della personalità. Chiedo che mostri il lato umano in una società basata sul razionalismo. Chiedo che cerchi di dare un senso alla vita. Forse è troppo. E poi cosa è mai questa poesia contemporanea? Ha forse un volto riconoscibile? Cosa c’è dietro un apparente fermento? Lasciamo in sospeso questi interrogativi.  

Ci tengo a sottolineare che la Rosadini è poetessa, operatrice culturale, saggista, scrittrice prima di tutto per passione e rispetta la dignità altrui senza stare a guardare alla fama dell'interlocutore o senza fare calcoli e badare alla convenienza. Lo scrivo senza alcuna piaggeria ma ad onor del vero. Per quel che ne so è una persona acuta e di vera cultura, in un mondo in cui in pochi hanno solide basi a causa dei molti surrogati intellettuali che invadono la testa degli italiani. Lo stesso Pasolini dichiarava che c'era autenticità e candore solo tra le persone completamente ignoranti e quelle molto acculturate. Io stesso sono un individuo medio di media cultura a essere ottimista, ma so un poco riconoscere gli intellettuali autentici come la Rosadini e quelli fasulli. Comunque a noi in questa sede ci interessa la sua elevata qualità poetica e la sua testimonianza. Già molti più importanti e autorevoli di me si sono occupati della sua poesia. Questa mia recensione ha quindi un carattere informale, che non avrà l'equanimità del critico o del filologo. Non mi soffermerò sui fenomeni stilistici, lessicali, sintattici. Andrò invece alla sostanza di questo libro, intitolato "Un altro tempo", che mi pare la cosa più importante. Scriverò le mie impressioni. Visto e considerato che si tratta di un argomento complesso e delicato, spero di avere il tatto e l'empatia necessari. Questa sua ultima opera a mio avviso  non è significativa solo da un punto di vista letterario ma anche per il suo valore umano indiscutibile. È infatti la storia di una convalescenza e della rinascita interiore e non solo, di un risveglio, di una riconquista, di un riappropriarsi di sé, passo dopo passo, grado per grado, tappa dopo tappa della sua riabilitazione. Un tema ricorrente nella poesia di tutti i tempi è l'indifferenza degli innamorati nei confronti dello sfacelo del mondo. Qui invece abbiamo il crollo del mondo della autrice, che gradualmente ricrea sé stessa e la sua realtà. Qui abbiamo la vita vera, la vita qui ed ora, che prima sfugge di mano e poi viene riagguantata, non certo la ricerca di un altrove, di una vita immaginaria, di una dimensione artefatta o parallela. La poetessa si è ripresa, a piccoli passi nell' "unità di risveglio", grazie alla sua forza di volontà, alle cure del personale sanitario, al sostegno emotivo e psicologico dei familiari. Insomma come dice il proverbio "goccia a goccia si fa il mare". Tutto è avvenuto improvvisamente. Un vecchio detto recita: "Una cosa accade quando è possibile". A riguardo è inutile disquisire. In casi come questo non c'è alcun preludio all'incidente. Il titolo del libro, "Un altro tempo" è il titolo ad onor del vero di una poesia di una precedente silloge. Ma può avere una ambivalenza semantica, può avere un triplice significato: un altro tempo, ovvero in un tempo lontano e remoto, oppure una nuova epoca in cui si vive oppure una nuova opportunità di vita. La Rosadini ci racconta le sue prime volte. È costretta a imparare tutto da capo, a fare sforzi di memoria. Dopo il deleting narra il tempo del downloading. L'amnesia retrograda è stata curata. La poetessa si è ristabilita. La coscienza e le percezioni corporee vanno e vengono inizialmente. Uscire dal coma, perdere l'integrità del proprio corpo e del proprio io potrebbe indurre ad odiare il Creatore. Questo è un vero shock (essere stata in coma per tre settimane dopo una operazione errata), non certo quello di cui parlano alcuni artisti sperimentali riguardo agli effetti che dovrebbero avere le loro opere. È il perturbante, che angoscia. La crisi narrata è una metafora dell'esistenza di tutti: ognuno di noi dimentica e riscopre, disimpara e impara, resetta e aggiunge nuovamente. La Rosadini è estremamente grata a Dio per questa nuova opportunità di vita senza stare a soppesare sul piatto della bilancia ciò che le è stato tolto e ciò che le è stato dato. L'autrice non si chiede mai per quale motivo è successo a lei. Questo libro è prima di tutto un ringraziamento per Dio che l'ha fatta ritornare alla vita. Banalmente potremmo dire che ha iniziato una nuova vita e lei ha saputo cogliere al balzo questa nuova opportunità, questa nuova occasione. La poesia rosadiniana non è religiosa ma si fonda sulla religiosità della autrice. La sua fede è un requisito fondamentale. Questa è una opera sintetica ma dal valore assoluto, che farebbe bene agli eterni insoddisfatti, agli eterni incompresi, a chi sente il gravame eccessivo dell'esistenza, ma anche a tutti i letterati che si nascondono dietro alla cortina fumogena del solito linguaggio arcaico. Come ha ben sottolineato Cinzia Demi la sua poesia si caratterizza anche per l'amore della vita. Nella cultura occidentale abbiamo la razionalizzazione oppure l'irrazionalismo. Sembra che un occidentale per amare la vita debba credere nelle magnifiche sorti e progressive oppure debba attraversare il nichilismo come "stato psicologico", non credere più alle categorie di unità, verità, fine e credere nel superomismo, nell'eterno ritorno come indicato da Nietzsche. La Rosadini molto efficacemente ama la vita in sé, ancora più che prima del coma. Non ha bisogno di nessun imperativo o giustificazione culturale. La ama come faceva Montaigne, che perse molti dei suoi figli e che non disprezzò la vita neanche essendo di salute cagionevole. C'era bisogno che una autrice trattasse questa tematica in un mondo poetico in cui i migliori di solito studiano la crisi del soggetto, la crisi del linguaggio, la questione politica. Temi fondamentali ma di cui si ragiona bene a stomaco pieno e in perfetta salute. Non ci dimentichiamo della nostra biologia, conditio sine qua non. Sul tema della malattia in questi ultimi anni sono state scritte "La corsia degli incurabili" di Patrizia Valduga e "Non come vita" di Gilda Policastro: ottime prove poetiche, però abbiamo bisogno talvolta anche di happy end, di risvolti positivi, di una guarigione, di una prosa poetica come questa rosadiniana, che è delle buone notizie, ovvero di una completa rielaborazione e di un  superamento del trauma. Nella postfazione di "Un altro tempo" scrive Niccolò Nisivoccia: "Un altro tempo rappresenta un miracolo, ed è un miracolo innanzitutto ciò che descrive e racconta: una rinascita, un «lentissimo riaffiorare alla coscienza», un ritorno del corpo e della mente alla vita, un loro riemergere alla luce del mondo, ai suoi elementi incarnati e rivelati – il vento, il mare, i visi delle persone amate". Scrivere allora diventa il modo per fare il punto della situazione, per constatare se dopo il trauma a distanza di tempo si è di nuovo in uno stato nascente. Il libro è una risposta all'interrogativo del "Mito di Sisifo" di Camus: vale la pena vivere? La vita si caratterizza per l'insensatezza. Camus definisce assurdo ciò che sfugge irreprensibile all'intelligenza umana. Sappiamo anche poco nella vita, della vita, della morte. Non sappiamo se c'è un aldilà, se ci salveremo, quanto le nostre azioni incidano sulla nostra possibile salvezza o sulle possibili salvezza altrui, quanto le azioni altrui incidano sulla nostra possibile salvezza. È tutto avvolto nel mistero. È "un immenso mistero". Spesso cerchiamo di non pensare a tutto ciò. Siamo immersi nella solita routine, nelle solite abitudini. Poi la situazione che ha affrontato la Rosadini è assurda, inspiegabile, supera ogni logica umana. Ma il libro ci ricorda che non tutto è perduto, che si può sempre riprendersi, migliorare, correggere la sfortuna, riscattarsi. Un'altra parola chiave è la fratellanza con gli altri pazienti. La raccolta è la prova che vale la pena lottare. L'assurdo può essere vinto con una grande carica vitale, con gli slanci e  con la solidarietà. L'autrice si è rivelata tutt'altro che inetta quando l'inettitudine è una condizione esistenziale diffusa tra i letterati contemporanei, i loro alterego ed eteronimi, come Pessoa che fa scrivere ad Alvaro de Campos di sentirsi un fallito, di non essere niente e gli fa guardare dalla finestra la vera vita, la realtà quotidiana di una tabaccheria, dove c'è chi sa viverla veramente la vita, quell'Esteves senza metafisica, tanto disprezzato. A volte ho quasi l'impressione che tanta letteratura contemporanea inveisca contro la vita di tutti i giorni, ma a poco serve sbraitare e fare invettive. Spesso  viene mostrato solo il lato terribile della vita. Talvolta gli autori sono solo pessimisti. Sembra che in letteratura la speranza, l'istinto di autoconservazione, cercare di adattarsi siano qualcosa di negativo, di banale, di scontato. Talvolta mi sembra che venga considerato intelligente solo il cupio dissolvi. In nome della poesia non si può rifiutare l'esistenza. La poesia al contrario può anche salvarla la vita. La vita invece può avere mille risvolti e mille sfaccettature, anche quando la strada è in salita. Nella raccolta abbiamo un grande attaccamento alla vita, una grande partecipazione umana. C'è una Giovanna combattiva. Ma non è una struggle for life darwiniana, una guerriglia degli uni contro gli altri, piuttosto un corpo a corpo contro il nulla, il male, la malattia, la morte. È questo che conta al di là di tutto. È questo il vero messaggio della raccolta. La poetessa ama il suo destino senza rassegnarsi mai. Bisogna saper amare le piccole cose dell'esistenza. Nell'opera le piccole cose vengono riconquistate di nuovo, come vengono riacquisite nuovamente le abilità. È un risvegliarsi, un ridestarsi. Ma ogni cosa allo stesso tempo può avere un carattere di novità. Tutto può essere visto come un nuovo dono. Il black out improvviso è passato. Non è tempo di rimpiangere il passato, la perfezione dell'ieri, la Giovanna di prima. Sicuramente in alcuni momenti la Rosadini si sarà fatta prendere dallo sconforto, avrà maledetto la sorte, avrà invidiato le vite altrui, ma poi si è fatta forza, non si è fatta dominare dalle avversità, è diventata più forte di prima. In fondo un evento come questo si può approcciare in due modi: c'è chi si chiede: "perché proprio a me questa sfortuna?";  c'è chi si chiede "come ho fatto a sopravvivere?". La poetessa ha affrontato il dramma nel secondo modo. È prevalsa la gratitudine sulla rabbia, pur legittima. Queste prose poetiche mettono in evidenza che c'è sempre un meccanismo di compensazione, che dove si acquista da un lato si perde dall'altro e viceversa. Allo stesso modo mai essere scontenti. Bisogna sapersi accontentare di ciò che si ha. Spesso non ci accorgiamo, non ci rendiamo conto perfettamente della nostra fortuna. Ci sono tante cose che possiamo fare e che sappiamo fare. Eppure non le consideriamo minimamente. Quando certe abilità vengono riacquistate allora c'è la riscoperta di sé stessi e del mondo circostante. Basta davvero un niente, un attimo, una inezia a perderle. L'organismo umano è complesso. È un insieme mirabile di congegni. Non solo ma c'è sempre qualcosa o qualcuno per cui vivere. È una lezione di filosofia pratica che molti libri evitano accuratamente di fare. Invece è quello che si desume chiaramente da questa raccolta. C'è sempre qualcosa da attendere, qualcosa che può sorprenderci e meravigliarci. La scrittura rosadiniana ci comunica che non bisogna sprecare la vita, che va conservato lo stupore nei confronti del mondo e della sua bellezza. Tutto ciò viene veicolato con grazia, secondo lo stile dell'anatra descritto da Raffaele La Capria. Apparentemente sembra che non ci sia alcun sforzo da parte di Giovanna, ma sotto la superficie c'è molto lavoro nel rendere ogni prosa nitida, proprio come una anatra nell'acqua, che agita le sue zampette. Inoltre il libro va letto per il suo contenuto di verità, per il suo apporto culturale, epistemologico perché descrive in modo dettagliato ed esatto quello che succede alla coscienza dopo il coma. Questi brani dovrebbero essere letti anche dagli psicologi e dagli operatori sanitari in genere perché sono il resoconto minuzioso e particolareggiato di una convalescenza dopo un grande trauma. Di solito il paziente viene etichettato, classificato. Qui abbiamo Giovanna Rosadini in tutta la sua globalità. Assumono perciò una validità medica, psicologica oltre che squisitamente letteraria ed umana. La raccolta è molto valida sia sotto un aspetto referenziale che espressivo. Su tutto prevale chiaramente il vissuto esistenziale della poetessa oltre al grande interrogativo, ovvero se ciò è reversibile o meno, se tutto può essere recuperato o meno.  Anche qui abbiamo una scrittura del trauma, anche se la natura e l'entità del trauma sono diverse ad esempio da Amelia Rosselli. Questa poesia è privata ed al tempo stesso oggettiva perché descrive anche ciò che succede a tutti i pazienti nelle medesime condizioni. C'è un legame fortissimo tra trauma, memoria e coscienza. Inizialmente ci sono intermittenza e sfasamenti. Come scrivono Francesca Belviso,  Maria Pia De Paulis,  Alessandro Giacone "non è possibile scrivere il trauma, ma si può scrivere solo sul trauma". Il soggetto è talmente preso dall'evento, è talmente immerso in esso che in quel determinato frangente ha solo parzialità ed opacità. Inizia ad avere tutto più chiaro col tempo. Solo dopo inizia a ricostruire, a prendere veramente coscienza di quello che è accaduto. L'autrice è naturalmente autobiografica, ma mai confessionale. Attualmente dopo gli studi recenti sul trauma molti psicologi consigliano di scrivere ai pazienti ad esempio che soffrono di disturbo da stress post-traumatico. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di pagine di diario dilettanti, amatoriali, dettate dal bisogno psichico di ritrovarsi e allo stesso tempo di espellere le tossine. Nel caso della Rosadini abbiamo la descrizione esemplare di ciò che accade quando si perde il controllo di sé. Tutto avviene in modo essenziale, togliendo il superfluo ed il ridondante. L'autrice ci ricorda che anche le azioni e le capacità motorie ad esse sottese, considerati elementari, possono venir meno da un momento all'altro. Anche camminare, sentire una parte del corpo, fare un caffè, preparare da mangiare, scrivere, leggere. Tutti noi consideriamo i nostri piedi ben piantati in terra, ma in queste pagine ci viene ricordato che il terreno può sfaldarsi da un istante all'altro, che all'improvviso si può cadere in una voragine. Vorrei a questo proposito riportare fedelmente un frammento di intervista che la poetessa Luigia Sorrentino ha fatto anni fa alla Rosadini, che dichiarava: "Il 28 maggio 2005, a seguito di un banale cateterismo tubarico all’orecchio sinistro, sarebbe a dire un’ insufflazione, sono finita in coma. Non ero mai stata sottoposta, prima, a questo tipo di pratica; ma eravamo (con la mia famiglia, Paolo e i nostri due ragazzi, Matteo e Bianca) alla vigilia della partenza per una lunga vacanza negli Usa, che avrebbe previsto diverse tappe, con punto d’arrivo nelle isole Hawaii, dall’altra parte del mondo. Dunque, siccome accusavo un risentimento fastidioso, pensai di mettermi al riparo da possibili guai più grossi recandomi allo studio del mio otorino di fiducia, un medico genovese che mi seguiva sin dall’infanzia. Quel sabato mattina (era una tiepida giornata primaverile) partii in auto da Milano insieme a mia figlia, che aveva allora nove anni; saremmo dovute rientrare l’indomani, dopo una serata in riviera coi nonni… Certo non potevo immaginare che avrei rivisto casa mia solo l’autunno seguente, e Paolo e Matteo dopo mesi… L’ultimo ricordo preciso è la telefonata di mio marito appena arrivate a Genova, poi tutto si sfilaccia… Un arresto cardiorespiratorio da riflesso vasovagale dovuto all’intervento mi ha precipitato nel buio… Mi sono risvegliata che era già estate piena, alla clinica S. Anna di Crotone, un centro d’eccellenza dove ho fatto i primi sei mesi di riabilitazione… Non riuscivo a muovere la parte sinistra del corpo, ero completamente disorientata spaziotemporalmente, e ho dovuto reimparare, come un bambino piccolo e con uno sforzo indicibile, a fare tutte quelle cose che prima erano normali automatismi quotidiani: respirare e mangiare da sola, camminare, abbottonarmi un vestito, allacciarmi le scarpe, tenere una penna o uno strumento (un bicchiere, un paio di forbici, ecc.) in mano, e, in generale, riabituarmi al mondo esterno e ai suoi ritmi, che all’inizio mi davano le vertigini. Oggi, se posso dire di aver recuperato tutto dal punto di vista cognitivo, devo purtroppo convivere con una forma di disabilità permanente; ho perso infatti l’uso della mano sinistra, e certo non riesco e riuscirò più a svolgere le attività motorie di un tempo, come correre, andare in bicicletta, sciare, ballare o suonare il piano. Posso dire ora di aver trovato un nuovo equilibrio, anche se ho pagato un prezzo molto alto, e insieme a me tutti i miei familiari, la cui vita è cambiata radicalmente". Questo vissuto profondo può minacciare l'integrità dell'io, tuttavia dopo qualche distonia momentanea la poetessa si è ripresa cognitivamente. Oggi Giovanna è costretta a scrivere al computer con un solo dito, eppure la rigenerazione è avvenuta. Come lei stessa ha dichiarato prima dell'incidente scriveva di scatto. Ora la scrittura è più meditata, ponderata e lineare. Quindi bisogna ancora di più apprezzare lo sforzo nello scrivere un libro di prose, seppur poetiche. Questa esperienza di rinascita viene espressa in  una versione contemporanea della poesia onesta di Saba ed è per questa ragione che il dettato rosadiniano ha una cifra universale.  Abbiamo l'eccellenza della scrittura, lo ribadisco, se prima non ero stato sufficientemente comprensibile. Alfredo Giuliani scriveva che il linguaggio è storico. Sanguineti sosteneva che il linguaggio è ideologia. Senza ombra di dubbio ma la psicologia ci insegna che i fatti psichici sono universali e questo è il caso. È difficile essere veramente ispirati, essere poeti. Dario Bellezza osava affermare che molti fossero i chiamati e pochi gli eletti. Zanzotto sosteneva che la poesia era un "ramo d'oro", che secondo gli antichi Enea aveva raccolto grazie al suggerimento della Sibilla prima della sua discesa agli inferi. Anche quella della Rosadini è una catabasi psico-fisica, logico-cinestetica. Anche la poetessa riesce a cogliere il suo ramo d'oro, attraversare l'inferno terreno e poi esce a riveder le stelle. In alcuni tratti c'è la descrizione accurata della vergogna. È una sensazione naturale per una persona abituata ad essere totalmente autonoma e che invece si trova suo malgrado costretta ad avere aiuto e bisogno degli altri. Eppure non c'è nessuna colpa. Tutto ciò è dovuto ad un malore che poteva capitare a chiunque e da questo ogni lettore deve trarre l'insegnamento di quante cose quotidianamente diamo per scontate e di cui invece dovremmo essere grati perché non dipendono da noi, non sono certo merito nostro. La perdita di coscienza e del controllo del corpo sono eventi entrambi molto traumatici. La poetessa li ha vissuti entrambi. Derrida parlava di metafisica della presenza e del logocentrismo occidentale. Noi occidentali vogliamo avere la razionalità ed il controllo completo di noi stessi. Invece tutto ciò può sfuggirci di mano da un momento all'altro. La perdita di sé, il perdere le proprie forze all'improvviso è una esperienza che momentaneamente nientifica, nullifica. Mi ricordo che dopo una operazione a causa dell'anestesia avevo perso la sensibilità degli arti inferiori. Mi ricordo che a causa dell'assunzione di un medicinale a cui ero allergico mi vennero delle contrazioni su tutto il corpo. Mi toccò chiamare il medico. Ma tutto questo non è minimamente paragonabile a ciò che ha vissuto la Rosadini, che si sarà chiesta più volte se si era realizzato un suo incubo, se si era concretizzata una sua paura. Nel mio caso durò solo poche ore. Io non posso che immaginare solo lontanamente ciò che ha sofferto. Non so effettivamente cosa ha provato, posso chiedermelo, non ho avuto una simile esperienza diretta, ma posso riconoscere, avendo qualche neurone specchio, quel senso di impotenza.  Worringer suddivise in due categorie l'arte: quella fondata sull'astrazione e quella fondata sull'empatia. Ebbene questa opera si basa tutta su questa ultima dote. La coscienza è un mistero: la sua fluidità, le transizioni da uno stato mentale all'altro, l'ineffabilità, la privatezza, la soggettività, l'insondabilità, l'unicità della coscienza. Tutti i neuroscienziati lo affermano. Non possiamo che possedere in modo transitorio il nostro io. Solo io posso vagliare la mia coscienza. Noi possiamo metterci nei panni delle coscienze  altrui, immaginare quel che provano, ritenendo che siano sensazioni ed emozioni simili alle nostre. Però noi postuliamo che gli altri pensino, gioiscano, soffrano come noi dai comportamenti infieriti. Un'altra cosa che emerge da queste prose poetiche è ciò che Ricoeur sosteneva a riguardo della coscienza, ovvero che si basa fondamentalmente sulla dicotomia nascosto/mostrato. Noi possiamo solo osservare. Anche la coscienza fenomenica è di nuovo un mistero, così come l'autocoscienza. In questo caso poi parliamo di una esperienza limite come quella del trauma, cioè della dissociazione e della disgregazione momentanea, dell'assenza momentanea della coscienza di sé e del corpo. La Rosadini assume le veci di fenomenologa. Analizza la sua esistenza, la sua esperienza vissuta. Ci sono cose che non dipendono da noi, che ci trascendono. Il trauma secondo l'etimologia è una ferita, spesso una ferita nell'animo. Viene assestato un colpo che danneggia in modo importante la vita. Nella sfortuna che l'ha colpita la Rosadini ha avuto la fortuna e con essa la poesia italiana di aver recuperato le sue capacità intellettive e di essere equilibrata psichicamente, che il trauma non ha slatentizzato nessuna nevrosi o psicosi, che il suo io non è "male sbozzolato" per dirla alla Zanzotto. Secondo la teoria della dissociazione strutturale dopo il trauma avviene la scissione della  personalità  in due (o più) “parti”: la Parte Apparentemente Normale (ANP) e la Parte Emotiva (EP). La Parte Emotiva si ferma al trauma. Tutto ciò invece è stato superato dalla Rosadini, che è ritornata da questo punto di vista come prima. La  scienza moderna non si pone limiti, c'è la convinzione diffusa che la conoscenza debba progredire all'infinito e possa manipolare tutto. Il progresso scientifico viene considerato cumulativo e progressivo. D'altronde questa sorta di ottimismo epistemico è dovuto al fatto che l'homo sapiens, nonostante non si sia ulteriormente evoluto cerebralmente (siamo dei nani sulle spalle dei giganti) negli ultimi millenni, sia riuscito a compiere grandi imprese scientifiche. Di certo c'è del buono. Nessuno può criticare i progressi della medicina. Non si può certo gettare il bambino con l'acqua sporca. In questo caso la poetessa si è ripresa anche grazie alla scienza medica. Non dimentichiamolo mai. Altrimenti saremmo come dei quadri appesi che si lamentano della parete e del chiodo, per usare una immagine banale! La Rosadini ci vuole ricordare anche dei progressi della medicina in un clima oggi che è ancora quello delle due culture di Snow, dove talvolta gli scienziati sono antiumanisti e gli umanisti sono antiscientifici. La poetessa prima ancora di darci una lezione di poesia ci dà una lezione di umanità autentica. Si è saputa rialzare, riprendere, ha ristrutturato cognitivamente tutto, si è ristabilita, ha ripreso possesso delle sue qualità intellettuali e ce lo ha raccontato in modo magistrale. Ha diradato le nebbie del male di vivere, dell'anello che non tiene. Da queste pagine si sprigiona una energia vitale. Mi vengono alla mente alcune parole di un libro di Maria Rita Parsi: "la creatività è come la sintesi clorofilliana, permette di trasformare l'anidride carbonica in ossigeno". Può sembrare un paragone semplice, ma è davvero così. La poetessa ci insegna che dinanzi ad un grande evento traumatico che porta al coma nessuno può far fronte da solo, ma che per la realtà quotidiana, pur con delle avversità e contrarietà, ci si può comunque attrezzare e rispondere colpo su colpo. Questo è un libro che tratta di difficoltà quasi insormontabili ma anche di gioia. C'è chi addossa esclusivamente la colpa agli altri delle sue disgrazie. L'autrice invece si è pensata artefice del suo destino. Ha avuto quello che in psicologia si chiama locus of control interno. Questa è una storia vera senza alcun atto di accusa ingiustificato, senza alcuna posa di dolore posticcio, senza alcuna condotta vittimistica, spesso studiata da chi ha i suoi tornaconti personali. La poetessa si mette a nudo ma senza mai essere patetica e senza intimismo. Ogni persona dotata di un minimo di buon senso e di umanità riconosce subito che la  sua vicenda deve essere raccontata. È veramente il caso di dire che la sua è una storia degna di essere fatta conoscere ai più. Di solito in poesia vengono raccontati i propri fattarelli inessenziali. Le sue vicissitudini non sono eventi frequenti che capitano a tutti ma che possono capitare a tutti: per entrambi i motivi devono essere considerati un exemplum nella casistica infinita della vita e della poesia contemporanea. Secondo uno degli assiomi della scuola di Palo Alto non si può non comunicare. Dirò di più: gli esseri umani sono fatti per comunicare. A volte la poesia contemporanea comunica solo l'incomunicabilità o la sua incomunicabilità. La Rosadini comunica la sua esperienza, che deve essere presa di esempio. Va oltre il vuoto esistenziale e le paturnie di alcuni. C'è della vera sofferenza qui e la scrittura dovrebbe far scattare l'empatia anche agli anaffettivi. Nel libro non ci sono artifici, effetti speciali, virtuosismi, leziosismi, compiacimento. Non c'è alcun sottofondo, se non quello dell'ironia. C'è un solo contenuto manifesto e nessuno latente. Scriveva Walter Siti in "Poesia'95": "Il fallimento di una poesia non dipende tanto da una mancanza di abilità o conoscenza, quanto da una carenza d'essere". Aggiungerei io: non solo da "una carenza di essere" ma anche da una ragion d'essere. Ecco perché questo libro è vera poesia, senza stare a cercare una linea di demarcazione, un discrimine tra prosasticità e poeticità. Oltre ad avere una voce riconoscibilissima lei riesce a verbalizzare un dramma di cui ben pochi sono capaci di raccontare, facendo conoscere al pubblico la sua realtà privata senza enfatizzarla mai. Ciò che viene descritto in questo libro è un naufragio a cui l'autrice sopravvive, ma in fondo anche la storia dell'intero Occidente è la storia di un naufragio, come intuì Ortega y Gasset. Qualcuno potrebbe dire che una opera d'arte debba contenere lo straniamento. È vero e questo lo sosteneva in parte anche Aristotele nella sua Poetica che in una opera ci dovesse essere oltre alla verosimiglianza qualcosa di insolito, di straniante. Una cosa ci tengo a sottolineare: nella raccolta non c'è un linguaggio straniante ma è la situazione e la prospettiva da cui viene vista che sono stranianti. Questo libro è anche l'ennesima dimostrazione che, come scriveva la Zambrano, "l'esperienza è un a priori e il metodo è un a posteriori". La Rosadini ha sia l'esperienza che il metodo, come volevasi dimostrare. L'opera, unitaria ed armoniosa, con grandi sprazzi di energia  inoltre è originale anche sotto questo punto di vista, ovvero perché rispecchia il procedimento hegeliano a livello interiore: l'autrice è in sé, esce fuori di sé (nel senso che perde per un periodo il controllo del suo Sé), ritorna in sé. Di solito nei grandi romanzi di un tempo il protagonista usciva fuori di sé viaggiando, vivendo mille peripezie. In questo libro tutta l'esperienza è mentale, psichica, interiore. È un viaggio tra sé a sé. È un grande peccato che i mass media si siano da tempo disinteressati della poesia contemporanea, relegandola ai margini della notorietà, perché questo libro potrebbe ridare la voglia di vivere a molti. Sono sicuro che molti pazienti depressi potrebbero considerare un toccasana la lettura di queste pagine. Così come farebbe bene a chi si chiude in sé stesso, si imprigiona nel minimalismo esistenziale, ma anche a chi ricerca lo sballo e si autodistrugge. Potrei affermare: "raramente ci godiamo il presente. Difficilmente viviamo pienamente. Del passato cosa rimane? Qualche ricordo vago. Resta poco o niente. Mi chiedo che senso abbia vivere talvolta, anche perché la vita spesso è mancanza di lavoro, insoddisfazione,  dolore, una trafila di giorni sempre uguali, di appuntamenti mancati e di amori non ricambiati. Talvolta mi viene da pensare che tutto sia inutile.  Spesso siamo costretti a scelte di comodo. Discorso a parte meriterebbe il declino di questa epoca. Come si suol dire viviamo in tempi bui. Mettere al mondo dei figli è una grossa incognita, una grossa scommessa. I figli rappresentano il futuro ma il futuro è sempre più precario ed incerto, sempre più un azzardo. È sempre più difficile vivere il proprio tempo perché per dirla alla Claudio Lolli "la notte vince sempre sul giorno". La vita è questa. Le cose della vita sono le solite, trite e ritrite". Ma la Rosadini mi ricorda invece che questa prospettiva è errata. Nonostante tutto la poetessa ci ricorda quanto siamo fortunati ad esserci, ad essere qui ed ora in questo mondo. Potrei affermare: "vorrei essere come il nipote di Rameau, cinico, disilluso, disincantato al limite del disfattismo e del nichilismo. Potrei criticare tutto e tutto, cercare di prendermi gioco del prossimo, cercare di fregarmene". Ma questo libro mi ricorda invece che bisogna sempre credere in qualcuno e in qualcosa. Potrei affermare: "Abbiamo in testa molti interrogativi, dubbi ed ipotesi. Poche sono le certezze. L'amore non va tradotto in senso letterale e non bisogna lasciarsi sopraffare dal nonsenso della morte. Continuiamo però a sbagliare, nonostante avvertenze e controindicazioni sulla vita. Il tempo scorre inesorabile fino al guasto irreparabile per vizio, destino o logorio....Così sarà per quel poco che ci rimane....forse Dio sa solo giudicare e non spiegare le nostre scelte.......È l'uomo, sospeso tra bisogni primari e cose ultime, il paradosso dei paradossi....". 

Ma questo libro mi invita ad essere meno esistenzialista, a non perdermi in intellettualismi ed astrazioni campate in aria, a non abbattermi, a non demordere, a non darla vinta perché non bisogna affidarsi esclusivamente alla fredda ragione, esiste anche il cuore. Poi la lettura di queste prose soprattutto può ridare speranza e forza di animo a coloro che stanno vivendo una riabilitazione. In fondo la biblioterapia esiste, così come esiste l'arteterapia e sono a questo riguardo sicuro che la scrittura di questa opera è stata una catarsi o una sublimazione della sua sofferenza. Con tono pacato e con lucidità la poetessa ci dimostra la dicibilità del trauma. La lettura come la scrittura possono essere entrambe terapeutiche. Da giovanissimo volevo scrivere un romanzo. Come prova del nove ogni volta che lo iniziavo a scrivere mi mettevo a leggere le prime pagine di "Se questo è un uomo" di Primo Levi. Capivo che le mie cose non erano dignitose e desistevo. Ebbene ognuno può legittimamente scrivere poesie o romanzi. Nessuno lo può impedire. Però consiglierei ad ogni ragazzo o ragazza che vuole scrivere poesie questa opera per fare da banco di prova, per confrontarla con le proprie effemeridi e i propri diari in versi e poi decidere di continuare o meno. Questo sarebbe un atto di onestà intellettuale soprattutto nei confronti di sé stessi che  pochi in verità sono disposti a fare perché niente è più facile che ingannare sé stessi, come scrisse Wittgenstein nel suo diario. Il libro insegna a mettersi a nudo interiormente. Il libro potrebbe essere letto da chiunque per comprendere ancora di più quanto si è fortunati quando tutto l'organismo funziona bene, si è in salute ed anche per ricordarsi quanto dovremmo considerarci in stato di grazia quando siamo in forma. Per tutte queste ragioni il libro lo consiglio a tutti, anche a coloro che sono digiuni di poesia o la trovano assai indigesta. Non solo ma "Un altro tempo" è una opera di prosa poetica, come ha ben evidenziato Luca Alvino. Quindi dovrebbe essere più accessibile anche a chi non gradisce il genere lirico. Ciò nonostante deve considerarsi a tutti gli effetti un libro di poesia, come di fatto lo ha classificato l'editore. Basta consultare la Treccani alla voce poesia. Troviamo infatti anche queste definizioni: "a. Il carattere di opere o parti di opere ritenute particolarmente ispirate e suggestive: la p. dell’episodio di Paolo e Francesca; una pagina ricca di p.; versi perfetti ma privi di p.; un testo scientifico che raggiunge il livello della poesia. In questa accezione, tratto pertinente non è più il metro o un equivalente del metro, ma l’elevatezza concettuale e formale, al di là di una rigida adesione a schemi formali di metro, ritmo, struttura (come nelle frasi: in questa p. ciò che è assente è proprio la p.; in quella semplice cronaca c’è vera p.), per cui è giudicata e sentita «poesia» la capacità di esprimere forti sentimenti, di suscitare emozioni, associazioni di immagini, di innalzarsi sui valori correnti per forza creativa e profondità di concetti: di contro ai suoi modesti tentativi poetici in lingua la p. dialettale del Belli è p. autentica; nel grigiore letterario dei suoi tempi sola si stacca, altissima, la p. del Leopardi; per l’intensità del sentimento, più che per la perfezione formale, questa è vera p.; il suo intervento fu così appassionato da sfiorare la poesia. b. Per estens., il carattere di qualsiasi composizione o opera anche non verbale, in quanto raggiunge un valore «alto» in opposizione a prodotti correnti «bassi»; si può così parlare di p. di un’opera architettonica, di p. di Raffaello, di eleganza formale di un quadro che non raggiunge tuttavia la p., di sentimento, carica emozionale, ispirazione che conferisce valore di p. a un brano musicale, a una scultura, a un film, a una danza". Voglio sgomberare il campo da ogni possibile fraintendimento: è impossibile a mio avviso fare una distinzione oggettiva tra poesie in versi liberi e prose poetiche. Di distinzioni se ne possono fare ma sono solo soggettive e a mio avviso stucchevoli. A mio avviso chi fa queste distinzioni lo fa per spaccare il capello in quattro. Cosa è che può distinguere poesia in versi liberi dalla prosa poetica? La capacità narrativa di questa ultima? Non credo. La prosa poetica spesso non racconta, ma evoca. Il linguaggio forse? Non credo. Anche la prosa poetica è scritta in "poetichese". Bisognerebbe inoltre anche chiedersi perché alcuni poeti rifuggono i versi e si danno alla prosa poetica. Molto probabilmente alcuni lo fanno perché sono schifati dal verseggiare nostrano contemporaneo e dai suoi stilemi. Poco importa poi sapere se questi letterati si sentono più poeti o scrittori. L'importante è che siano ottimi artisti come la Rosadini. La poesia in versi liberi può essere a mio avviso poesia come anche la prosa  come questa può essere allo stesso tempo poesia. Tutto il resto è polemica sterile fatta per amor della polemica. Personalmente non cerco ossessivamente come fanno taluni una linea di demarcazione tra poesia e non poesia. Cerco solo di distinguere solo ciò che mi emoziona da ciò che non lo fa, ciò che mi fa pensare da ciò che non lo fa. Oggi come oggi molto probabilmente la poesia ed il poetico non sono più questione di forma o meno. Le prose poetiche della autrice mi emozionano, talvolta mi commuovono e perciò sono autentica poesia a mio avviso. Mi piace la sua ricerca di verità umana fatta con concretezza. Mi piacciono le sue accensioni. Mi piace questa raccolta che potrei anche definire di ampio respiro. Non mi interessano in questo caso gli accenti tonici ma l'accento accorato con cui scrive la poetessa. Non c'è altro da aggiungere. 

Il libro si legge tutto di un fiato, non annoia mai minimamente; l'autrice ci parla con il cuore in mano, sa come destare sempre l'attenzione (la poetessa non ha solo molta intelligenza poetica ma sa usare anche il  sistema limbico, per usare il titolo di un'altra raccolta rosadiniana); il libro è omogeneo, compatto, smilzo ma notevole, sbalorditivo, molto denso e ricco di spunti. 

A volte mi chiedo quale sia  l'istante decisivo o il periodo fatale in cui un poeta o una poetessa diventano tali. Difficile stabilirlo. Forse si tratta di una cumulazione di eventi. Ritengo che la Rosadini sia diventata poetessa mentre elaborava la memoria del trauma, dello choc vissuto. Naturalmente aveva già doti connaturate come sensibilità, talento, empatia, cultura. In psicologia si definisce un trauma T quello in cui la persona ha rischiato di perdere la vita. Un trauma di questo tipo è talmente forte, intenso, accidentale ed inatteso che c'è ben poco di soggettivo nella reazione: possono ben poco una personalità di base ben strutturata, una condizione psicologica ottimale e delle grandi risorse interiori. Un grande trauma come questo ha più diritto di diventare materia poetica del grigiore esistenziale di Giovanni Giudici o della ragazza Carla descritta da Elio Pagliarani. Oppure di un amore non ricambiato che offende la sensibilità come nella poesia di Antonio Delfini. Tutti poeti questi memorabili senz'altro, ma il trauma della Rosadini è qualcosa che ha più motivo di esistere, spicca per l'originalità dell'argomento e del modo in cui viene trattato. Le sue  prose poetiche sono da leggere per confrontarsi, misurarsi. Non si può esimersi. Si può essere poeti di ricerca ma gli autori che vengono pubblicati nella collana bianca di Einaudi è un obbligo leggerli per sapere in quale direzione sta andando la poesia contemporanea. Una domanda che è sorta spontanea dopo queste prose poetiche è la seguente: quanto siamo disposti a dare in termini umani per aderire ai dettami della società, alla sua competizione, alla voglia di apparente normalità? Qualche cretino potrebbe pensare che essere poeti è qualcosa di negativo in questa società efficientista e tecnologica, così come avere una disabilità fisica. Ebbene potrei dire che algebricamente - x - fa + e grammaticalmente due negazioni affermano. Le difficoltà talvolta fortificano, temprano lo spirito e migliorano. La Rosadini inoltre si caratterizza  per una precisa fisionomia del dettato e della personalità. Il suo stile è letterario, elegante, comprensibile. La sua scrittura si caratterizza per la ricchezza lessicale, l'appropriatezza dei termini, la purezza e la leggibilità. Evita accuratamente nelle sue scelte lessicali parole desuete ed arcaiche, così come foriesterismi. Percepisco l'influsso della linea lombarda. Riesce a parlare di sé, oggettivando la sua condizione esistenziale senza cadere nello sdilinquimento e rendendo universale la sua vicenda. In definitiva la precarietà di cui ci racconta la poetessa è quella di tutti, anche se molti non lo tengono presente. Ci sono tutti i presupposti per considerare questo libro autentica poesia. Ci sono tutti i presupposti per cui gli italianisti di oggi e di domani antologizzino la Rosadini. Però questo libro meriterebbe di essere conosciuto al di là dello sparuto gruppo di addetti ai lavori, poeti ed appassionati di poesia. Ma come ci ricorda Borges in un suo racconto non c'è bisogno solo del fruttosio in una albicocca perché venga considerata dolce, ma anche che questa venga assaporata dalle pupille gustative di qualcuno. La dolcezza come la poesia sta nell'incontro, nell'interazione tra questi due fattori. Fuor di metafora: la poetessa ha fatto egregiamente il suo dovere, ora tocca a voi comprare il libro e leggerlo (scusate se mi permetto questi giudizi di valore). Ascoltate pure le canzoni, ma trovate anche il tempo e il modo di leggere un ottimo libro come questo. Dovrebbe far parte delle vostre librerie. Ne potreste trarre più giovamento dei guru della crescita personale, dei consigli interessati dei mental coach e tutto questo ad una modica cifra. Le parole della poetessa potrebbero chiarirvi aspetti oscuri della vostra esistenza e di voi stessi. Potrebbero farvi riflettere. In queste pagine ci sono degli insegnamenti e l'autrice non commette errori, se non quello di fidarsi e confidarsi ai lettori. Vale davvero la pena leggere questa opera. Non ho alcuna vis polemica. Non posso che elogiare l'autrice per il libro. Quindi compratelo. Oggi è così facile ordinare via Internet o recarsi a ordinarlo nella libreria della vostra città. Quando lo avrete acquistato cercate un poco di refrigerio e gustatevi le prose poetiche rosadiniane. 


Ecco alcuni eccellenti testi della Rosadini:



A poco a poco il giorno si fissa, diventa un continuum di immagini e presenze, a partire dall’inquadratura che isola, oltre la porta della stanza, una pingue ausiliaria che lava il pavimento del corridoio, con un carrello fornito di secchio e spazzoloni accanto. Piego le gambe, mi guardo la punta delle ginocchia ossute che emerge dalle lenzuola (la gamba sinistra sembra più sottile, ma ci vedo bene?). Ogni parte del corpo duole, le giunture sono come arrugginite e fuori uso, uno strano torpore formicolante si è impadronito degli arti, e la spalla sinistra è in fiamme. Cosa è successo al mio corpo?



Ti sei sentita male, hai perso conoscenza. Quando ti sei svegliata ti abbiamo portata qui”. “Affiora un pensiero magico: deve pure esistere un modo per tornare indietro. Tutto questo non può essere vero…”. “L’applauso che mi fanno i medici, terapisti ed infermieri per ogni piccolo progresso che faccio…”. “so cosa vuol dire ritrovarsi prigionieri di un corpo che non risponde… e so, sì, che l’accettazione consapevole di tutto ciò è la più alta forma di eroismo che possa esistere”. “Ogni cosa è allo stesso tempo nuova e remotissima”.




Quando ascolto un brano musicale, sicura di conoscerlo… La presenza dei familiari, fondamentale. La sorella minore Vera, che fa da tramite con gli altri della famiglia, “ed ora è la vera sorella maggiore, e io mi affido volentieri alle sue cure e alla sua competenza. … E “riabilitazione” diventa una parola che mi genera fastidio e insofferenza… Posso ancora dire di essere la Giovanna che ero? E in quale misura potrò tornare a esserlo? … Provo con le persone ricoverate con me un sentimento di fratellanza che non  ho mai avuto…  L’immagine simbolo di questa epica riabilitativa picaresca-ospedaliera è la sessione settimanale di karaoke. … Sentimento di solidarietà e comunione profonda… Accettare l’imperfezione … vulnerabilità come dato costituente  e basilare della nostra umanità …  Sempre più chiaro che rimarrà una coda, ce lo dicono i medici, nessuno può dire quanto estesa… La riscoperta del gusto del cibo dopo mesi di anodine polpette, brodini e puré … Ed eccomi finalmente fuori, su questa lunghissima e selvaggia spiaggia calabrese, dove mi hanno portato Francesco e Cristina … Finalmente un pomeriggio nello studio di musicoterapia… sono invasa dalla musica… è un risveglio istantaneo dei sensi … e sto imparando la gratitudine, per la seconda possibilità che mi è stata data…”. “… Poi, una sera … una stupefacente nuvola rosa pennellata nella vastità del cielo ci ha ricordato di essere parte di un immenso Mistero”.



Sto imparando la gratitudine: per la seconda possibilità che mi è stata data, per la bellezza del mondo che posso attingere anche fra queste mura, la dolcezza delle sere estive in giardino, la luminosità accesa del mare che mi accoglie ogni mattina oltre le finestre della palestra, per la partecipe dedizione di medici, terapisti ed infermieri, per l’amore che quotidianamente mi testimoniano i miei cari. Quando chiedo a mio padre in che condizioni mi ritroverò una volta ritornata alla vita “normale” e, inevitabilmente, non del tutto guarita, mi risponde che sarò una persona migliore di prima, se saprò fare di quest’esperienza un valore aggiunto.

 


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