Antiracconto di Davide Morelli
A dire il vero ero nata legittimamente dalla mente di un religioso di ottanta anni. Era un prete salesiano. Mi chiamavo epifonia. Non è uno sbaglio. Non è un refuso. Alcuni possono pensare che epifonia sia il refuso di epifania. Epifania significa befana perché dall’etimologia sappiamo che significa manifestazione divina e che è riferito all’apparizione della stella che riuscì ad orientare i re Magi. Epifania è anche sinonimo di illuminazione interiore dopo l’Ulisse di Joyce. Alcuni potrebbero pensare a un refuso perciò. Ma non è così. Epifonia significherebbe letteralmente suono che viene da sopra. Potevo essere intesa anche come sinonimo di chiamata divina. Il mio sinonimo sarebbe teofania in genere. Sto avendo vita breve. Non sono riuscita a vivere tra la gente. Non sono mai riuscita a passare di bocca in bocca. Non sono mai stata diffusa. Non sono riuscita ad essere accettata neanche dalle persone di cultura. Ci sono parole che nascono e parole che muoiono ogni giorno. La vita di una parola è spesso decisa dal parlato, dall’uso comune. Ma ci sono anche poeti che riescono a valorizzare, far diventare famoso un dialetto conosciuto da pochi, come ad esempio fece Albino Pierro con il dialetto tursitano. Ad ogni modo ritorniamo alla mia vicenda. Potevo fare la mia vita tra le parole difficili religiose. E poi è stupida la distinzione tra parole comuni e parole difficili. Non ci sono forse parole apparentemente facili che hanno svariati significati a seconda dell’uso o del contesto? Chi lo direbbe mai tanto per fare un esempio che la parola “balcone” in dialetto veneto significa anche “scuro” (sostantivo e non aggettivo). Dei veneti potrebbero dire andiamo a verniciare i balconi e non intenderebbero quindi verniciare dei poggioli ma delle ante che chiudono le finestre. Ogni parola è complessa. Basta pensare alla connotazione, cioè la coloritura emotiva della parola. Basta pensare anche alla capacità evocativa delle parole in grado di suscitare emozioni e ricordi. Lo stesso Pasolini si chiedeva che senso avesse alla fine la parola “sesso” dopo averla pronunciata innumerevoli volte. A me andava bene vivere per pochi religiosi. Sarebbe stata una vita ritirata. Invece no. Sono scomparsa. Sono quasi morta. Avevo delle origini nobili. Ma una parola non può mai fare l’altezzosa. Deve stare immersa tra la lingua della gente. Una parola muore quando nessuno la dice, la scrive, la pensa più. Non sono mai stata consacrata ufficialmente. Non sono mai comparsa in un vocabolario. Neanche nel più scadente dei vocabolari. Figuriamoci poi in un dizionario dei sinonimi e dei contrari! Non parliamo poi dei giornali e delle riviste! Nessuno mi ha utilizzato lì. Aspetto che qualcuno mi riesumi prima ancora di essere morta definitivamente. Ma forse è meglio di no. Non so per quanto tempo resisterò. Un tempo il mio creatore mi aveva insegnata a qualche altro religioso e qualche suo allievo. Oggi sono dimenticata. Forse rimossa. Sicuramente trattata come se non fossi mai esistita dai più. Ma in fondo non è quello che aspetta alla maggioranza delle cose e degli uomini? Mi chiedo a che cosa sia servita la mia breve vita. Quale funzione ho svolto? Sono stata solo lo sghiribizzo di un vecchio o poco più. Non ho avuto fortuna. Ecco tutto. Quanto è difficile e grama la vita di una parola nuova oggi! Un poeta ad esempio può essere aspirante o sedicente. Una parola no. Una parola per esistere, per vivere deve essere effettiva. Forse la mia colpa è stata quella di essere una parola astrusa. Forse non sono campata abbastanza perché sono una sosia della parola “epifania”. Forse non sono mai stata volgare. Forse mi hanno sempre considerato una signorina altezzosa. Probabilmente sono sempre stata considerata una parola di troppo. Appena nata sono subito diventata desueta, arcaica. Ma che futuro potevo avere io che derivo da una lingua morta e non sono un neologismo derivato dall’inglese? Forse la triste verità è che non avrei potuto diventare una parola popolare neanche in un ambito molto ristretto come quello colto religioso. Scomparirò ufficialmente quando moriranno tutti quelli che mi hanno conosciuto. Invece una nuova parola come “sclerato” ha avuto successo ed avrà futuro. Ma non c’erano già tanti termini per indicare una persona che sragiona? Ma in fondo sono stati dei giovani a diffonderla ed ora è di uso comune nei gerghi giovanili, soprattutto del Nord Italia. A questo punto spero di non essere tramandata a lungo. La mia esistenza è accanimento terapeutico. Io vorrei che qualcuno mi eliminasse dalla faccia della terra e dalla mente degli umani. Avrei bisogno di una eutanasia. Vivo di stenti da tempo immemorabile. Ma forse è meglio continuare ad esistere. Rischio di impazzire. Ringrazio chi mi utilizza in ogni modo. In fondo non posso permettermi di essere esclusiva. A questo punto cosa posso dirvi? Io non sono padrona del mio destino. Fate quello che volete di me, cari uomini. Questo è il mio grido disperato. È il mio grido di dolore. Scusatemi se sono volubile, scostante. In fondo sono in grave crisi. Ringrazio l’autore di questo antiracconto fantastico per avermi menzionato. Non so come ha fatto a conoscermi. Ma in fondo perché saperlo? Sono altre le cose a cui dò importanza oggi.
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