E’ compatibile la religione, in particolare islamica, con la società laica e democratica occidentale?
E’ compatibile la religione, in particolare islamica, con la società laica e democratica occidentale?
Mauro Fornaro
Parte II. La mistica come radicale superamento dell'eteronomia teologica – Ovviamente, sottolineando le possibilità delle grandi religioni di concorrere al benessere dei cittadini entro la società civile, occorre respingere la tesi di Flores d'Arcais nel citato volume che la religione, e specie le religioni monoteistiche, siano in essenza fondamentalismo, intendendo per fondamentalismo la volontà di imporre allo Stato e alla società civile una legislazione eteronoma, cioè basata sui comandamenti di un testo sacro, la Bibbia o il Corano, ovvero sulle norme interne a una comunità religiosa, la Chiesa o la umma per i musulmani. È vero, degenerazioni fondamentalistiche, fino al terrorismo, possono essere favorite dalla nozione di un Dio unico e onnipotente. È cosa attestata dai tanti crimini perpetrati nel corso della storia in nome di Dio o di Allah; ma non è la conseguenza inevitabile della fede monoteistica. Al contrario, è altresì vero che senza Dio “tutto è permesso”, come scriveva Dostojevkij pensando ai terroristi atei e nichilisti; di converso, laddove c’è il senso di un Dio trascendente, è meno probabile che qualcuno si senta Dio. Insomma, occorre falsificare l’idea di Flores d’Arcais che tutto il male stia nell’eteronomia data da un riferimento a Dio e tutto il bene stia nell’autonoma legislazione umana. Del resto con Pascal, l’uomo “autonomo” è certo angelo, ma anche bestia.
Anzi, parlando in generale, i termini autonomia ed eteronomia possono rovesciarsi l'uno nell'altro. L’autonomia è gran cosa, chi non la vuole? Ma essa fiorisce sempre entro un'originaria eteronomia, dovuta al fatto che siamo dati, abbiamo un corpo e una psiche determinati da milioni di anni di storia evolutiva, non abbiamo scelto di essere gli uomini o le donne che siamo, ecc. E se la natura materiale, biologica e pure lo psichismo inconscio costituiscono il nostro originario essere prima di ogni nostra consapevole scelta e di ogni elaborazione culturale, nulla vieta di vedere principi di funzionamento della realtà, dal big bang ad homo sapiens, promossi da un’intelligenza superiore: quanto meno un deus sive natura alla Spinoza, cioè immanente alla materia, anziché il risultato della mera combinazione casuale di particelle, come Democrito nell’antichità e i materialisti meccanicisti oggi. Posizione entrambe non dimostrabili certo, ma neppure in assoluto confutabili.
A ben vedere, vale anche il viceversa: l’eteronomia, teologica nella fattispecie, ha una base nell'umana autonomia, nel senso che le grandi concezioni religiose, "laicamente" intese sono espressione dell’autonomia umana, cioè della creatività di uomini straordinari e poi di popoli, che hanno cercato il divino e si sono sentiti prossimi ad esso, se non partecipi di esso. Lungi dall’essere il fondamentalismo e l’eteronomia ciò a cui si riducono in sostanza le religioni, caratteristica comune di tutte le religioni – senza la quale cioè esse non ci sarebbero – è piuttosto la ricerca del divino. Più esattamente trattasi della ricerca di un contatto con un'entità che dia in qualche modo ragione del cosmo vivente e della morte di ciascuno, anche se poi questa entità è variamente intesa da ciascuna religione storica: come il perfetto, l’ideale, l’assoluto, l’eterno, l’onnipotente, il provvidente, ecc. Sembra essere questa ricerca un’invariante antropologica, trasversale credo a tutte le culture. C’è dunque un tema di rapporto col divino, nonché di identificazione con quanti di esso si sono fatti esemplari portatori coi loro discorsi e la loro vita: nella fattispecie che qui interessa, un'identificazione con Gesù per i cristiani, con Maometto per i musulmani. E identificazione non è eteronomia.
Nel cristianesimo il rapporto di eteronomia, qual era espresso nel legalismo giudaico e nella figura di uno Jahvé arbitrario signore dell'Antico Testamento, è vivamente contestato da Gesù per essere infine superato dalla rivoluzionaria figura dell'amore, vero superamento della legge, nonché dalla fiducia nella grazia di un Dio "padre". Nell’islam la nozione di sottomissione, che sembrerebbe a prima vista la massima espressione di un rapporto eteronomo, ha uno spettro semantico più ampio: il rapporto con Allah non è tanto o soltanto da sovrano a suddito, ma la parola islam etimologicamente richiama altresì l’abbandonarsi, il lasciarsi andare, nella fattispecie alla volontà misericordiosa, giusta e provvidente di Allah. Proprio in questo abbandonarsi il musulmano trova la pace, salam, come sintonia col fondamento assoluto della realtà: nella lingua consonantica che è l’arabo, le tre lettere S L M sono la radice comune sia di salam, pace, sia di islam, abbandonarsi. In questa pace conseguita abbandonandosi nelle braccia di Allah – un’immagine di stampo materno, non assente dal Corano accanto, è vero, ad altre meno confortanti – sta la base di un atteggiamento che chiamerei mistico, cioè di partecipazione e contatto col divino, col fondamento della realtà, per quanto fugace e tangenziale possa essere (a meno di fuggire dal mondo, come in certa ascesi invero più cristiana che musulmana).
Un islam condotto alla primaria intuizione di Maometto di per sé non contraddice la linea della religiosità che ho delineato, compatibile con lo Stato laico. Maometto quando si ritira sulla montagna Hira presso La Mecca dopo una vita di successi economici, sente voci divine, ha visioni: laicamente, cioè psicologicamente, dobbiamo dire che vive un contatto col divino. Non è un pazzo visionario, uno schizofrenico allucinato. Lo dimostra il fatto che poi ha agito con coerenza e senso di realtà – cose estranee a uno psicotico – producendo grandiosi effetti di realtà individuale e sociale. Maometto al momento delle sue originarie intuizioni religiose non aveva bisogno di difendersi da chi lo voleva uccidere, né di porsi a legislatore di tribù retrograde in perenne conflitto, come dovette fare in seguito: nella sua ricerca di contatto col divino, con ciò che è alla base della vita e al di là della morte, era in prima istanza a mio avviso un mistico, per via appunto di un contatto che riteneva di aver conseguito. E la mistica è atteggiamento esistenziale di per sé compatibile con più assetti sociali e statali: può informare di sé qualunque agire umano, vissuto sotto specie di divinità, qualunque situazione e relazione con cui il religioso venga a trovarsi; ma non per questo l’attitudine mistica come tale definisce leggi specifiche per la società e per lo Stato.
Mi si può obiettare: come può conciliarsi il carattere laico della società e dello Stato col carattere totalizzante della religiosità, in quanto modo di rapportarsi ad alcunché? (Non si può essere religiosi in privato e agnostici in pubblico). Se il Dio conosciuto da Maometto è Allah ar-rachmani ‘r-rac him, cioè compassionevole e misericordioso, come detto nell’incipit di tutte le 114 Sure (salvo la nona) e se il Dio conosciuto da Gesù di Nazareth è agape, cioè amore gratuito, allora misericordia e amore sono attitudini di fondo rispettivamente chieste al musulmano e al cristiano, in qualunque relazione essi intrattengano, senza che ciò di per sé predetermini leggi e norme in ambito civile. Piuttosto lo "spirito" di amore e di misericordia – che comunque suppone, ma supera la giustizia – dovrebbe informare di sé la società civile e le leggi dello Stato, ed è per questo che opera o, meglio, dovrebbe operare il religioso cristiano o musulmano. A questo proposito mi sia permessa una fantasia: se Maometto non avesse dovuto assumere i due compiti di capo guerriero e di legislatore legato alle contingenze della società in cui viveva, che sarebbe del Corano? Certo la convivenza con la società laica occidentale sarebbe stata e sarebbe più facile.
Resta il fatto che dal punto di vista coranico le difficoltà dell’integrazione e della convivenza con le società occidentali sono consistenti. Derivano dal fatto che il Corano è anche un testo di diritto civile, con norme anche molto dettagliate in tema di diritto di famiglia, di divorzio, di procedura giudiziaria, di uso del denaro; è anche un testo di difesa militare della pura religione monoteista. Si possono superare norme di dettaglio presenti nel Corano, come è stato fatto nelle costituzioni di Stati islamici moderati, tipo il Marocco o la Turchia. Più difficile nella tradizione islamica è superare alcuni principi entro cui quelle norme prendono un senso, tanto sono ribaditi nel Corano, ma che confliggono con le democrazie occidentali. Tra tali principi spiccano: la separazione rigida di genere e di ruoli tra donne e uomini, con la conseguente subordinazione della donna nell’ambito civile; la negazione della libertà di coscienza, per cui è perseguibile penalmente l’apostata, basata sull’idea che l’islam sia la religione definitiva, quella che ha inglobato e superato ebraismo e cristianesimo; la mancata separazione tra comunità religiosa e comunità civile: se è vero che Allah è rabbil halamin, signore dei mondi (prima Sura), è difficile per il musulmano pensare che Dio non sia signore anche dello Stato (principio per altro avanzato pure dai papi teocratici, ma nel cristianesimo si può contrapporvi almeno il motto evangelico: “Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”).
In conclusione, valorizzare nell'islam, ma anche nel cristianesimo, gli aspetti legati alle intuizioni religiose fondamentali e originarie è condizione per una pacifica convivenza dell'islam nelle società laiche e democratiche occidentali e altresì condizione per un'auspicabile collaborazione con altre religioni. Occorre però mettere tra parentesi, per ogni religione, la rispettiva dogmatica per quanto dovuta alle diverse tradizioni culturali e le rispettive norme legate alle contingenti situazioni storiche – compito purtroppo improbo ad oggi per teologi e religiosi musulmani. Occorre altresì accettare che le religioni del Libro (ebraica, cristiana e musulmana) siano da intendersi meno quali rivelazioni che hanno da imporsi come la Verità, ma piuttosto come la creativa ricerca ed esperienza di un contatto con l'assoluto, vissuta e testimoniata da uomini e donne straordinari.
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