Gigolò per caso o il pianto della Solitudine


Patrizia Gioia Città Futura on-line
Certo che è sempre nostra la responsabilità d'ogni traduzione, un tradimento sempre in fedeltà, se sincero, e dunque ho visto e sentito questo ultimo film di John Turturro come il canto di una disperata solitudine, perchè credo che anche un sentimento patisca della sua non possibilità di vita. 
Oggi la Solitudine è così disperatamente sola da costringerci a tutte le follie per farsi ascoltare, come diceva simpaticamente una vecchia pubblicità di dadi per brodo: triangoli.. quadrati..righe per terra, si tutto va ben...tutto fa brodo.
E in questo film possiamo vederla la disperata ricerca di qualcosa o qualcuno che ci faccia compagnia, che ci dica qualcosa che ci spiacerà dimenticare, oggi che tutto è parola vana.
Non è certo a caso che sia una vecchia libreria che chiude e un fiorista che, come fiore, si apre e ci apre ; oggi che la Cultura ( quella con la C maiuscola) non ha più casa è solo un essere che ci sa fare con la vita pulsante della Natura che potrà nuovamente aprire il nostro cuore strangolato: "petalo dopo petalo come la primavera fa / nessuno, nemmeno la pioggia ha così piccole mani".
Un librario ( detentore di parole vere) spinge un fioraio ( detentore di mani e sentimenti veri ) a diventare "gigolo", ma
non certo per caso, nè per virtù e vizio..
Il vecchio saggio Woody ( bravo come non mai in questo ruolo) sa riconoscere ancora dove vive la potenzialità del sentimento: è nel corpo di una donna, "vedova", non di un uomo, ma di una parte di lei stessa, ( una parte che appartiene anche a noi tutti) costretta a nascondere l'eroticità fiammeggiante e accogliente del femminile sotto parrucche e abiti da galera, curata a vista dai molti riccioli neri che le stanno intorno, guardie fondamentaliste del nostro essere pulsante, perchè ciechi difensori della legge, incapaci d'aprirsi alla Giustizia, un sentimento che arriva più dal cuore che dalla mente.
Abbiamo bisogno di tenerezza, di essere ascoltati senza giudizio, di trovarci a cena con poche cose ma tanta amicizia. 
E' un tentativo di risveglio il film, un rimuovere le zolle, scavar profondo e rifondarci uomini e donne, rimettere in "essere" l'inseparabilità di corpo anima spirito, tra commedia e tragedia semplicemente umana .
I due protagonisti maschili si dividono i soldi della "marchetta" e pure la mancia, ma son danari "economici " e non "economicisti", soldi spesi bene per un buon governo della casa, energia che che circola nuova in nuovi divani a fiori e rossi fiori in vaso -  che una allampanata e stralunata Sharon Stone non sa nemmeno "che sono"? domanda al Turturro che glieli offre - una Stone finalmente con qualche zampetta di gallina che fatica in un improbabile pollaio triangolare, con l'amichetta arrapata non si sa di cosa, e il fiorista che, scoprendosi innamorato ma non di questo femminile, finalmente batte la fiacca.
Non mancano ebrei, ( anche loro non più tanto sicuri di esserlo ) sefarditi e non, negri, bianchi, pulci e baseball, più che un universalismo, finalmente un pluriversalismo di cui siamo l'inizio, ed è per questo che ci perdiamo.
Infatti la bella vedova risvegliata, anche se baciata dal principe azzurro, torna dal rospo del branco.
Possibile che ancora necessitiamo di parrucche, dogmi e marchette? 
Fa sempre così paura la libertà dell'essere?
Ma è un sorriso che chiude il film, un ammiccamento a noi tuttì e, per fortuna, senza risposta alcuna.
 "i semi della gioia"

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