Vite colme di versi (ventidue poeti dal Novecento) di Nicola Vacca

La poesia non è solida come la prosa. E’ difficile contenerla dentro categorie, scuole, linee valide una volta per sempre. La prosodia è ferma al metro greco e latino. Da allora la forma poetica si è rifatta a quel modello, ovvero lo ha superato rendendo libero il verso. Può anche far storcere il naso, ma è la verità. L’endecasillabo è nella poesia moderna una formula esoterica. Se la poesia dovesse oggi essere giudicata e apprezzata dentro questo canone, subito verrebbe confinata dentro il cerchio magico degli accademici. La poesia diventerebbe roba per astronomi o per filosofi. Ed invece la poesia ha a che fare con viaggiatori e pensatori. Attiene più al linguaggio che alla lingua. Come linguaggio, la poesia è primigenia. Come lingua, è inedita. Se valesse ancora il canone poetico, pochi poeti sopravvivrebbero. Ma anche pochi critici. Dunque, azzardo a dire che la critica letteraria è solo storia della poesia (forse). Anzi, dico meglio, dei poeti.
Dopo Sguardi dal Novecento con il quale Nicola Vacca ha ricostruito il profilo di figure di intellettuali indispensabili per rinnovare una coscienza culturale vigile e critica, arriva questo viaggio nella poesia. Vite colme di versi, ancora una volta edito da Galaad Edizioni, è un saggio critico ma non è un saggio di critica letteraria. Mi pare coerente con la premessa iniziale e dunque è un “libro d’amore”. I poeti che Nicola Vacca sceglie, dodici italiani e dieci stranieri, non rispondono ad un canone formale ma appartengono ad una civiltà culturale e sentimentale, innanzi tutto propria dell’autore e che questi propone al lettore
non come lezione accademica ma come viaggio personale ed esemplare.
Sotto questa luce risalta la scelta di Dario Bellezza, che appunto chiamò una sua raccolta poetica pubblicata nel 1982 Libro d’amore. La figura del poeta romano, amatissimo e dimenticato, catalizza e concentra tutta l’energia vitale che promana da questo libro e che si irradia dalle vite degli altri poeti qui raccontati. Scrive Vacca: “Nei suoi scritti – in versi e in prosa – egli amava affermare la propria libertà, condannare i compromessi e ogni forma di ipocrisia. Un autentico poeta, insomma, che non ha mai rinunciato alla propria fisicità, che non ha mai tradito l’immanenza, capace di misurare con la schiettezza della parola tutte le ragioni del cuore che si oppongono alla maschera delle convenzioni ipocrite”. E conclude: “Forse è anche per questo che il mondo culturale, colpevolmente, continua a ignorarlo”.
Messo in parentesi il canone stilistico, ciò che accumuna i poeti scelti da Vacca è un canone etico. Si tratta di poeti irregolari e controcorrente. In alcuni casi si tratta di veri e propri “invisibili” come Piero Bigongiari, Beppe Salvia, Lorenzo Calogero, Edoardo Cacciatore, Roberto Sanesi. Non sfigurano affatto accanto a Ungaretti, Campana, Erba, Caproni, Gatto. Sul piano stilistico è evidente che la linea di Vacca è “ungarettiana”, realistica o visionaria, in ogni caso autentica e pietrosa. Ed è chiaro che ad una poesia “domestica” l’autore preferisce una poesia “di frontiera”, al meriggio della ragione contrappone la notte della coscienza, da illuminare con i fari non allineati dei viandanti solitari. Vacca ha anche il merito di aver dato il giusto riconoscimento a Piero Ciampi, un cantautore emarginato ma, come cantava, con “tutte le carte in regola/ per essere un artista”, anzi un poeta vivo e vero.
Autentici, dissonanti, radicali e scandalosi, così sono i poeti scelti da Nicola Vacca, gli italiani come quelli stranieri. A cominciare da un altro cantautore, Leonard Cohen, a dimostrazione che non esiste cultura alta e cultura popolare, che la poesia “vive alla giornata”, come scrive Jacques Prévert, anche questi tra i poeti presenti. Le canzoni-poesia di Cohen sono un “invito a non tradire mai noi stessi, a non essere accomodanti con la nostra coscienza, a metterci in gioco in prima persona per vivere – ciascuno a suo modo, e intensamente – la nostra esistenza”. Anche i poeti stranieri sono poco conosciuti, accanto a indiscutibili giganti come Paul Celan e Yves Bonnefoy, considerato il più grande poeta francese vivente. In alcuni casi si tratta, almeno per quanto mi riguarda, della scoperta di vere e proprie perle poetiche. E’ il caso Nika Turbina, nata a Yalta nel 1974, è scomparsa tragicamente a Mosca, a soli ventisette anni, e di Adam Zagajewski, uno dei migliori poeti polacchi ancora in vita. Ma di grande rilievo per i lettori è l’intervista che Bonnefoy ha rilasciato a Vacca incontrato nel 2006 a Treviso per la seconda edizione del Premio Europeo. Le sue parole ci danno a pieno il senso attuale della poesia. Con essa “si tratta di restituire una immediatezza al rapporto con le cose senza passare attraverso l’intermediazione di concetti e del pensiero teorico, e quindi è un modo di andare verso l’immediatezza del contatto con le cose. Si può scrivere poesia seriamente lasciando che le parole cedano a tutti i loro impulsi, che è ciò
che chiamiamo la scrittura”. Nicola Vacca, poeta egli stesso, ha fatto proprio questa intenzione all’interno del suo saggio godibile, utile e necessario ad un tempo. Tra la sua scrittura e la vita dei poeti che racconta non c’è alcuna mediazione intellettuale e teorica, ma una perfetta e sincera adesione alla loro esperienza esistenziale e letteraria. In tutto il libro di Vacca non c’è una parola che sia di troppo.
Pasquale Vitagliano


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