tutti artisti, by willyco
by willyco
Oggi parlavamo di fotografia digitale, di full frame, ci si mostrava le foto appena scattate per prova, si tagliava ed elaborava l'immagine, si passavano di mano in mano macchine piene di intelligenza e tecnologia.
Guardavo alcune foto belle stampate e altre che si sovrappongono a queste, sembravano tutte belle, come quei panorami pastello che vanno di moda adesso e che si costruiscono al computer.
Alla fine di tanto vedere mi rimaneva poco, sembrava che fosse facile il fare buone fotografie, ma forse non bastava.
La fotografia che ho adesso tra le mani appartiene ad un'altra epoca. Non ha nulla di importante e non è bella, è stata scattata a Venezia molto tempo fa. Non inganni il fatto che ci sia una bicicletta tra le calli, era uno strumento di lavoro e il "moleta", cioe l'arrotino, spostava la catena e pedalando muoveva la mola.
A quel tempo mi pareva che cogliere i mestieri avesse un significato importante, come se il lavoro dovesse essere testimoniato. Poi ho capito che erano le persone ad essere interessanti e che loro erano anche il loro mestiere. Quindi questa fotografia è al piu un ricordo di qualcosa che non c'è piu e non ha nulla di particolare.
Però ricordo molto, questa è un dono che mi fa accompagna e così so perché fotografavo in bianco e nero. Come molti a quell'età compravo la pellicola a metro e bobinavo per mio conto nei rullini, che si riutilizzavano anziché gettarli. Poi si sviluppava e stampava in casa, e parlavamo di fissaggi, di sviluppi, di smaltatura a caldo e a freddo, di acido acetico e di solarizzazione. Sperimentavamo con
risultati molto dubbi, però questa piccola capacità serviva anche per far colpo sulle ragazze e così ci pareva di uscire dalla massa di quelli che riempivano album di paesaggi, foto di gruppo con corna e ritratti in posa. Insomma eravamo presunti artisti con poca fatica. E pure militanti cosicché venivan fuori cose che sembravano ma non erano, che contenevano un pensiero, un'intenzione. Bisognerebbe non spiegare nulla, né quando si scrive né quando si fotografa, o dipinge o quando si fa qualcosa. Cioè dovrebbe essere evidente nel fare ciò che si intende, ma poi non è così. O almeno non lo è per chi non è artista davvero. E ci sono centinaia di milioni di fotografi, poeti, scrittori, pittori, musicisti, ecc. ecc.. che quasi tutti mostrano il conosciuto, o al più la meraviglia, è normale. Si guarda una foto per riconoscersi (teologia del selfie) oppure per riconoscere qualcosa od appunto per meraviglia. Ma anche la meraviglia stanca e passa se non ci scava dentro ed entra a far parte di quel mondo poco interessante che è la realtà. Ecco, i grandi riescono a far emergere la realtà, quella che non si vede, la fanno diventare evidente e nuova. Non era il mio caso e neppure quello di tanti altri e ancora oggi mi trovo a spiegare ciò che avevo in testa e si dovrebbe capire. Quindi artista non sono, però quel "moleta" tirava fuori un filo rasoio con una vecchia mola e una bicicletta e non aveva bisogno di spiegare l'inclinazione del taglio o come togliere la sbavatura, lo sapeva. Era evidente ciò che rappresentava attraverso sé e l'uso di ciò che produceva, questo era il lavoro che diventava arte, pensiero e cosa assieme. Io lo intuivo e volevo rappresentarlo, ma non avevo il linguaggio giusto, l'evidenza semplice del vedere e mostrare ciò che si pensa. Volevo dire troppe cose assieme e si creava banalità. Lui ne diceva solo una, ma era chiara e questo faceva la differenza.
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