Cirino Pomicino e i governi delle “giovani marmotte”

(Luigi Bisignani - iltempo.it) - «Ma qui sono in Paradiso!» è l'immagine più esilarante che mi viene in mente quando parlo di Paolo Cirino Pomicino, 'o ministro, un uomo che dell'ironia ha fatto una filosofia di vita. Ed è ciò che ritrovo nel suo ultimo libro, sin dal titolo, «La Repubblica delle giovani marmotte» (pagg. 268; 15 euro; Utet) prefazione di Giuliano Ferrara, l'unico giornalista italiano, assieme a Vittorio Feltri, che sa scrivere e parlare in televisione.
Quella frase, così piena di voglia di vivere nonostante le mille paure, la pronunciò pochi minuti dopo essersi risvegliato da una delle operazione a cuore aperto che ha subìto, in un ospedale di Londra, e alla vista di una stratosferica anestesista che era riuscita a tenerlo sedato per quasi tre giorni.
Ecco, Pomicino è questo, un vulcano di arguzia sempre in eruzione, sia quando pubblica i suoi editoriali firmandoli Geronimo, sia quando si mette a dibattere in tv, sia quando scrive saggi. E questo libro è proprio la sua fotografia. Protagonista indiscusso della Prima Repubblica, oggi osserva con occhio vivace le sfumature dell'attuale teatrino della politica, che nei tempi di Salvini, Grillo e
Renzi, novelli Qui, Quo, Qua, nipotini di un affaticato e sorpassato Berlusconi, non sono poi così scontate.
La sua visione è sempre spiazzante e induce alla riflessione anche quelli che l'hanno messo all'indice, ma che gli riconoscono, ancora oggi, una marcia in più. Come Antonio di Pietro, pubblico ministero di «Mani pulite», che lo mise alla gogna ma che ugualmente corse anni fa al suo capezzale quando, dopo l'ennesima crisi cardiaca, lottava tra la vita e la morte in un ospedale romano.
La sua visione spiazzante fissa sulla carta fatti e commenti che spiegano più di mille manuali sociopolitici il costume politico italiano.
«La Repubblica delle giovani marmotte» è un gustoso saggio nelle cui pagine lo scoppiettante spirito napoletano di Pomicino, fatto di sentimenti e disincanto, tratteggia come nessun altro, il profilo di un altro napoletano verace, l'ex presidente Giorgio Napolitano, che ha avuto vita ben più facile perché, proprio 'o ministro, ha evitato di coinvolgerlo in Tangentopoli, come gli veniva «gentilmente richiesto» da qualche toga impertinente.
Da allora il Paese e Pomicino ne hanno viste molte, forse troppe. E relativamente alla nascita del governo Monti, non si trattiene e scrive: «Napolitano che in quel momento passò dalla internazionale comunista alla Trilateral, una sorta di internazionale del capitalismo fondata da David Rockefeller nel 1973... Io sono amico di Giorgio Napolitano, ma sono più amico della democrazia politica, per la quale ho speso una vita e consumato un cuore. Giorgio ha svolto un ruolo determinante nel fare a pezzettini la democrazia politica, prima con Monti, poi aiutando il giovanotto toscano a varare quello scempio dell'Italicum, che al più tardi fra un paio d'anni consegnerà l'Italia ad una minoranza. E io non posso che denunciarlo con forza e determinazione».
Non dimentica neppure di buttare giù dal piedistallo in cui lo hanno issato, un altro mito dei nostri tempi, Carlo Azeglio Ciampi, che ratificando nel 1998, in qualità di ministro del Tesoro, il tasso di cambio a 1936,27 lire contro un euro, «non tenne conto dell'impatto psicologico nella pratica quotidiana» e gli effetti che dilagarono già nel 2002 con la moneta unica furono devastanti. Nell'economia reale il valore di un euro corrispondeva praticamente alle vecchie mille lire, dimezzandone di fatto il potere d'acquisto. «Ciampi si difese sostenendo che la causa del divario tra il cambio ufficiale dell'euro e il suo valore reale era dovuta al mancato controllo dei mercati». Comunque si metta, il Paese ne paga ancora gli effetti.
Anche sui pentiti di mafia Pomicino dice la sua, per difendere con orgoglio Giulio Andreotti: «...Il processo di Palermo fonda la propria accusa in merito alla trattativa Stato-mafia, sulla revoca del carcere duro a oltre 300 mafiosi nel novembre 1993, decisa dal ministro della Giustizia Giovanni Conso, il quale non è mai stato imputato nel processo (a eccezione di un avviso di garanzia per false dichiarazioni al pubblico ministero). In altre parole Conso avrebbe firmato «a sua insaputa». La dimenticanza è poca cosa rispetto ad altre questioni. Se trattativa c'è stata, la richiesta non riguardava solo la revoca o l'ammorbidimento del carcere duro a quanti più mafiosi possibili, ma l'accelerazione della scarcerazione di un numero enorme di pentiti di mafia e camorra. E infatti tra il 1995 e il 2007 sono stati scarcerati ai sensi della legge 83/1991, quella sulla premialità per i pentiti, ben 4500 detenuti, ammessi a misure alternative al carcere, e altri 6500 rimessi in libertà. Di questi ultimi il ministero dell'Interno non dice quanti abbiano deciso di collaborare trovandosi in libertà (ritengo davvero pochi)....

Ah dimenticavo... che fine ha fatto la bombastica anestesista? L'ho incontrata proprio a Capri, con Pomicino, ovviamente prima che si sposasse con quella che chiamo «santa Lucia».

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