Beppe Sardi: lo chef musicista, i suoi 104 risotti, il bollito e le specialità piemontesi
ott 27, 2015
Piemontese di Rocchetta Tanaro, in provincia di Asti, il paese del Barbera, Beppe Sardi è lo chef del ristorante “Il Grappolo” di Alessandria. Al suo attivo ci sono alcuni primati, come il maggior numero di risotti serviti (3200), 104 ricette diverse per prepararlo e anche il piatto più piccolo che, però, non è entrato nel libro dei guinness.
“Un risotto non può avere meno di 40 chicchi di riso, l’abbiamo sperimentato – spiega Beppe Sardi, il “mago” dei risotti – altrimenti non c’è amido sufficiente”.
Come nasce la sua passione per la cucina?
“Avevo 14 anni, mi iscrissi all’istituto Alberghiero di Genova, ma con l’indirizzo Sala. Volevo fare il cameriere di bordo per girare il mondo. Dopo la scuola, ho fatto il servizio militare e lì serviva un cuoco. Così è iniziata la mia passione per i fornelli, con un’attenzione particolare per la cucina piemontese”.
Chef e patron del ristorante “Il Grappolo” di Alessandria. Quali sono le specialità piemontesi che preparate?
“Noi prepariamo innanzitutto piatti della cucina tradizionale del Piemonte, ma in particolare il carrello dei bolliti misti. Per 9 mesi all’anno, al Grappolo vengono clienti da tutto il nord Italia per degustare i nostri 7 tagli di carni, tra cui il Fassone, la gallina e il cotechino. Le salse con cui si accompagnano le
carni fanno la differenza e ne sono particolarmente soddisfatto: finora erano 14, da oggi invece sono 15, grazie ad una accurata ricerca fatta sull’Astigiano e l’Alessandrino. Non si tratta di salse inventate, bensì quelle che si usavano nella tradizione piemontese e quest’anno frutta e verdura hanno colore, profumi e sapore davvero eccezionali”.
Ma torniamo al risotto: qual è il migliore?
“Io sono un patito del risotto, ho al mio attivo 104 ricette, ma il migliore è senz’altro lo “sbriga frigo”, cioè quello che si preparare con gli ultimi ingredienti che sono rimasti in frigorifero di cui uno deve disfarsi. Ogni giorno si scoprono gusti e profumi nuovi e inaspettati, direi meravigliosi”.
Tra un risotto e un bollito, però, nella sua vita c’è anche un’altra passione.
“Sì, la musica. Non riesco a stare senza. Faccio parte della banda musicale del mio paese, suono il bombardino, uno strumento bellissimo. Suonare mi aiuta a rilassarmi e a creare in cucina”.
La sua, però, è una battaglia per la tutela della tradizione, ma anche per la buona cucina.
“Sono convinto che la qualità del cibo vada insegnata e divulgata alla gente, ai clienti di un ristorante come alla casalinga che va semplicemente a fare la spesa. Ultimamente sto facendo tanti corsi serali di cucina, durante i quali spieghiamo come preparare piatti con prodotti di qualità, a gente normale, a professionisti che di giorno lavorano e di sera si dedicano ai fornelli. La gente si accorge della differenza, in tanti mi mandano messaggi di ringraziamento. Mi scrivono “grazie, mi hai insegnato a far la spesa”, e ciò mi fa capire che bisogna parlarne sempre, educare la gente a fare attenzione a cosa compra. Ad esempio, se una scatola di pelati 3,20 euro non 1,20, il motivo c’è ed è da ritrovare nella qualità”.
Stesso discorso si può fare con i ristoranti.
“In molti mi chiedono un pranzo completo a 20-25 euro, un prezzo insostenibile. Preferisco perdere il cliente che mi fa discorsi sul prezzo, anziché spiegargli che qualità e che lavoro ci sono dietro. È normale che se vanno in un altro locale, riescono a strappare un pranzo anche a meno, ma bisogna vedere cosa si ritrovano nel piatto. E questo non è un discorso di crisi economica. Io comunque non scendo a compromessi: scelgo la qualità, anche se faccio incassi inferiori”.
d.s.
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