Transformers 4 - L’era dell’estinzione (Transformers: Age of Extinction, 2014) di Michael Bay


by Barbara Rossi La voce della luna
Al cinema... Il regista Michael Bay, già autore del kolossal Pearl Harbor, firma con la produzione di Steven Spielberg l’ultimo, rutilante capitolo (che si conclude, però, in modalità aperta) dell’avventurosa saga dei Transformers, che - cinque anni dopo la carneficina di Chicago - la Cia ha deciso di eliminare dal suolo terrestre.
Un inventore abbastanza sui generis, però, Cade Yeager (Mark Wahlberg), ritrova casualmente il mitico Optimus Prime, capo degli Autobot, in un vecchio cinema abbandonato e riparandolo innesca 127 minuti serratissimi di un plot che si conferma - nonostante qualche banalità di troppo e molte cadute in una certa retorica filoamericana e sentimentalista - all’altezza delle aspettative di un pubblico di appassionati.
Lo stile è, ormai, quello cui ci ha abituato gran parte del cinema contemporaneo (soprattutto nelle narrazioni in cui è la dinamica della action, in grado di attraversare trasversalmente generi e sottogeneri, a prevalere): ipercinetico, magniloquente, fluidamente magmatico e spettacolare nel suo immergere lo spettatore - anche grazie alle possibilità offerte dalle nuove tecniche digitali - dentro un’immagine scomposta, parcellizzata, ma incredibilmente ‘viva’.
Il cinema diventa così, in questa come in altre pellicole, sempre di più un’esperienza multisensoriale; dove la distanza tra chi guarda e chi (o che cosa) viene guardato si riduce a una linea veramente sottile. Sino ad arrivare alle estreme propaggini della visione filmica, e mettendo
seriamente in crisi il concetto classicamente inteso di sguardo.
Il citazionismo e l’autoreferenzialità sono, in questo film, quasi scontati: inevitabili, e persino venati di una più o meno divertita patina di ironia, tipica di chi conosce e tiene ben salde le briglie di un mestiere perennemente in bilico tra disincantato pragmatismo e autentica creatività.
Senza negarsi neppure alcuni riferimenti pseudofilosofici, che nel movimentato Armageddon finale, tra rigenerati rapporti padri-figli/e, assumono la forma di domande su paternità e origini universali; in modo che, ciclicamente, la conclusione ci riporti, dentro gli abissi insondabili dell’universo, a un nuovo inizio. 
“Ci sono misteri nell’universo che non siamo destinati a risolvere. Ma chi siamo e perché siamo qui non sono tra quelli. Queste risposte ce le portiamo dentro. Io sono Optimus Prime…”. 

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