In piazza con i lavoratori e con la CGIL, by Renzo Penna
by Renzo Penna
Sbucato dalla Metro a Piazza della Repubblica la fontana delle Naiadi che vi campeggia al centro quasi non si vedeva, sommersa e circondata da una folla vociante nella quale a predominare era il rosso dei vestiti e delle bandiere. Da poco erano passate le nove e già si poteva prevedere che la manifestazione indetta di sabato dalla Cgil per contrastare il progetto del Jobs Act e le politiche del governo Renzi sarebbe stata un successo. A rispondere alla chiamata indirizzata agli iscritti da Susanna Camusso - la segretaria generale di quello che da quarant’anni è il mio sindacato - mi sono convinto negli ultimi giorni e così sono sceso a Roma con il pullman messo a disposizione dai compagni dello Spi-Cgil di Alessandria. Ero stato nella capitale solo qualche giorno prima per presentare al Senato un libro dedicato a Fausto Vigevani, una pubblicazione che ricorda, a undici anni dalla scomparsa, la figura e l’attualità del pensiero politico e sindacale di un originale e importante dirigente della Cgil e della sinistra socialista.[1] Ho così ritenuto fosse necessario essere presente e partecipare in una fase nella quale tutto il sindacato è in difficoltà per motivi oggettivi: la presenza di una gravissima crisi economica che dura da anni, la
mancanza di lavoro e la crescita delle diseguaglianze sociali e territoriali, nella quale, in particolare, la Cgil viene accusata di rappresentare il “vecchio”, la “conservazione” e di difendere solo i pensionati, i lavoratori “garantiti e di non occuparsi dei giovani e dei precari. Il pensiero non può che tornate indietro nel tempo, al marzo del 2002, quando, con analoghe accuse generiche e un attacco diretto all’articolo simbolo dello Statuto dei Lavoratori, era toccato a Sergio Cofferati chiamare a raccolta il mondo del lavoro al Circo Massimo in quella che sarà ricordata come la manifestazione in assoluto più grande e partecipata del sindacato.
Ma se il segretario della Cgil di allora aveva dovuto reagire e con successo ad una offensiva condotta da un governo di destra, oggi quella portata avanti dall’attuale governo è sostenuta con baldanza e sfrontatezza da un presidente del Consiglio che è contemporaneamente segretario del principale partito del centro sinistra: il Partito Democratico. Quindi fuori dai tradizionali canoni e, anche per questo, più insidiosa e difficile da contrastare. Un indirizzo politico che Matteo Renzi ha con nettezza riaffermato nei giorni seguenti la manifestazione chiudendo ogni possibilità di trattativa con il sindacato sulla legge di stabilità. Una posizione che il filosofo Massimo Cacciari[2] ritiene funzionale ad un preciso disegno politico dell’attuale leader del Pd volto a conquistare consensi nel centrodestra con il progetto di un non meglio precisato partito della Nazione.
Per diretta esperienza so che quando le manifestazioni sono grandi e partecipate se si sta disciplinatamente incolonnati nel proprio settore il rischio è di arrivare nella piazza principale dove si svolgono gli interventi e il comizio finale - nel caso di sabato Piazza San Giovanni - quando tutto è già finito. Mi è capitato numerose volte, ma tali mancanze sono sempre state compensate dalla soddisfazione della riuscita dell’evento al quale si era concorso. Questa volta però ho deciso diversamente e mi sono messo a risalire il corteo che, in anticipo sul programma, da tempo si era già mosso lungo il tradizionale tracciato. Questa volta mi interessava vedere le presenze, indagare la composizione e ascoltare il clima e le voci dei partecipanti. Muoversi da Piazza della Repubblica, tanta era la ressa, non è stato semplice anche perché in direzione opposta venivano i manifestanti scesi alla stazione di Roma Termini. In questo primo tratto mi è capitato di incrociare un gruppo di metalmeccanici della Fiom - riconoscibili per la scritta del sindacato sulle bluse - con al centro il segretario Maurizio Landini. I metalmeccanici della Cgil sono certamente la categoria che più si è spesa per decidere la manifestazione del 25, facendola anche precedere in diverse regioni - tra le quali il Piemonte - da mobilitazioni e riusciti scioperi. Una decisione importante che consolida l’unità del maggiore sindacato e auspico superi le divisioni e le polemiche dell’ultimo Congresso. E la presenza dei lavoratori metalmeccanici, con gli striscioni delle numerose e conosciute fabbriche in lotta per difendere l’occupazione si è notata con evidenza lungo tutto il corteo che gradualmente ho deciso di risalire. Tra queste realtà, in particolare, i lavoratori delle acciaierie della ThyssenKrupp di Terni interverranno anche dal palco annunciando l’intenzione di recarsi il di seguente alla “Leopolda” per incontrare Renzi e chiedere un maggiore impegno del governo nella loro vertenza. Questa volta la presenza nei due cortei delle categorie dei lavoratori attivi è nettamente prevalente, mentre i pensionati, comunque numerosi - con vivaci pettorine che annunciano “Largo ai Giovani” - sono disposti, in prevalenza, sui lati e in chiusura del corteo.
Quando, dopo una mezzora di buona camminata, sono prossimo alla Piazza del comizio un messaggio dei compagni di Alessandria mi informa che si trovano ancora nella zona della stazione, nelle vicinanze della contestata statua di papa Wojtyla. Piazza San Giovanni non è precisamente delimitata nei quattro lati, ma si presenta come un enorme slargo con la forma di un pentagono irregolare che, sui lati opposti alla Basilica, prosegue e si dirama in larghi viali e giardini. E’ stata per anni la piazza simbolo del sindacato e della sinistra e dove si svolge, tuttora, il concerto del primo maggio organizzato da Cgil, Cisl e Uil. Una piazza difficile da riempire e nella quale le decine di migliaia di persone si perdono e lasciano grandi spazi vuoti. Quando arrivo e mi inoltro a fatica sin verso la metà la piazza questa è già piena. Mi fermo nei pressi di un grande schermo che rilancia ciò che avviene sul palco e, giratomi, vedo sullo sfondo e nella parte bassa della piazza l’ingresso distinto dei due cortei che ormai ha occupato ogni spazio.
La presentazione dei numerosi interventi, inframmezzata con brevi filmati, è gestita con freschezza ed efficacia da tre giovani dirigenti sindacali della Confederazione. Con uno spazio maggiore, nell’occasione voluto, assegnato a delegati sindacali di base che rappresentano le difficili condizioni dei lavori precari, delle molte crisi industriali aperte, delle discriminazioni sul lavoro subite, in particolare, dalle donne e alle rivendicazioni del movimento degli studenti per un diritto allo studio pieno, in una scuola e una università pubblica maggiormente sostenuta e finanziata dal governo. Prima del comizio finale sono i coristi e gli orchestrali licenziati del Teatro dell’Opera di Roma che con il “nessun dorma” della celebre romanza della Turandot di Puccini, suscitano il consenso e sollecitano la passione in una piazza molto consapevole ed unita. Non solo nessun incidente, ma nessuna contestazione per una manifestazione che con un milione di persone ha bloccato Roma per buona parte della giornata. L’intervento di Susanna Camusso, puntuale e di merito, si rivolge direttamente al Presidente del Consiglio contestando il generico progetto del Jobs Act, la dubbia efficacia delle politiche del governo per superare la crisi, ridurre povertà, diseguaglianze e creare nuova occupazione. E il poco coraggio dimostrato nel contrastare l’indirizzo liberista delle misure imposte dalla Commissione Europea, incentrate unicamente sul rigore, che continuano con ossessione a pretendere di rendere più facili i licenziamenti e a ridurre il costo del lavoro, mentre a mancare è propriamente il lavoro e continua la recessione. Insieme ad una orgogliosa difesa della dignità del lavoro e dei diritti presenti nello Statuto dei lavoratori, ad iniziare dall’Articolo 18, tutt’ora moderni ed attualissimi.
Sono da poco passate le 14 quando termina l’intervento della Segretaria generale della Cgil con un voluto e tradizionale richiamo “al lavoro e alla lotta”. Mentre dal palco partono le note in versione rock di “Bella Ciao” e una splendida ottobrata romana offre temperature da piena estate è tempo di tornare da dove si è partiti. C’è, tra chi ha partecipato, la soddisfazione per una sfida ancora una volta vinta, ma non la serenità e la gioia di altre occasioni. In una fase tra le più difficili degli ultimi anni per la gente che rappresenta, la Cgil - il sindacato italiano più grande e con più storia - sa che dovrà combattere una partita lunga e piena di ostacoli potendo contare solo sulle proprie forze. Per confermare le ragioni dei lavoratori, difendere i principi democratici e costituzionali del Paese e, insieme, affermare l’autorevolezza e la forza di un sindacato generale, unito e autonomo, naturalmente, di sinistra.
Nel frattempo, non sarebbe male, se qualcuno nel Partito Democratico ricordasse al proprio Segretario che attaccare, non riconoscerne il ruolo e puntare a ridimensionare il sindacato è un compito che, da sempre, ha assolto la destra. O, come ricorda Luciano Gallino[3] a proposito di partito della Nazione, che le parola “nazione” o “nazionale” sono già state usate per il nome di un paio di partiti che hanno procurato diversi guai all’Italia e all’Europa.
Alessandria, 29 ottobre 2014
[1] “Fausto Vigevani il sindacato, la politica” - di E. Montali e S. Negri, Ediesse 2014
[2] Massimo Cacciari: “Matteo abbatte i simboli della socialdemocrazia per sedurre il centro destra con il Partito della Nazione”, la Repubblica 28/10/2014
[3] Luciano Gallino: “La differenza visibile tra destra e sinistra”, la Repubblica 29/10/2014
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