Il dieci per cento degli incassi del ristorante piemontese a New York alla lotta contro l’Ebola

Laura Maioglio col marito Gunter Blobel a Fubine

La decisione della proprietaria del celebre “Barbetta”, sulla 46ª strada, italiana originaria di Alessandria e moglie di un Nobel: i fondi a Medici senza Frontiere
BRUNELLO VESCOVI
FUBINE
Il 10 per cento degli incassi di «Barbetta», il celebre ristorante piemontese sulla quaranteseiesima strada di New York - quello che fu il primo a servire tartufi negli Anni 60 -, a Medici senza Frontiere, per la lotta contro l’Ebola. E a tempo indeterminato, finché non ci sarà una schiarita. Ad annunciarlo è Laura Maioglio, la proprietaria, dalla sua splendida casa di Fubine (Alessandria), il paese di cui la sua famiglia è originaria: «Siamo partiti già una settimana fa - spiega -, dovevamo fare qualcosa. E per questo abbiamo puntato su un’organizzazione che anche in America è conosciutissima. Gente fantastica, volontari che rischiano la loro
vita per salvare quella degli altri - e mentre lo dice la sua voce sale di tono -. Quanti farebbero altrettanto?». Il giorno dopo si saprà che uno di loro, Craig Spencer, reduce da una missione in Guinea, è il primo contagiato di New York.

«Avevamo fatto altrettanto al tempo della guerra in Serbia - prosegue Laura Maioglio -. Vedevo in tv quei profughi disperati, senza cibo, che morivano come mosche. Ma quella fu una situazione che durò poco, mentre questa nessuno può sapere quanto durerà. L’Ebola non sarà sconfitto tanto presto».  
Il pensiero corre a quando lo spauracchio si chiamava Aids e nella Maioglio risveglia ricordi struggenti: «Abbiamo avuto avuto sette dipendenti colpiti dal virus Hiv, ma non c’era una simile facilità di contagio. E infatti continuammo a farli lavorare, finchè poterono. E mi sono occupata di loro ancora dopo. Ma alla fine morirono tutti, non avevano ancora messo a punto il cocktail di farmaci che rallentò i decessi. Ma questo è un virus talmente contagioso...». 
Poche sere fa un cliente di Barbetta ha letto il manifestino sul tavolo e ha sorriso: «Ho lavorato con Medici senza Frontiere - ha detto al maitre - , mi porti la bottiglia più costosa. Almeno li aiuterò». Al momento, a parte i 25 milioni di dollari messi a disposizione per la lotta alla malattia da Mark Zuckerberg, «mister Facebook», non si ha riscontro di iniziative come quella di Barbetta.  

Il marito di Laura Maioglio è Gunter Blobel, premio Nobel per la Medicina nel ’99. Si apre un porta e compare lui, capelli bianchi e la sagoma imponente.  
Professore, da un uomo di scienza può arrivare una voce di speranza? «Non credo a un’epidemia grande come a quella dell’Aids - dice con il suo italkiano scandito, dopo aver meditato un attimo -, anche se i problemi in certe aree dell’Africa sono particolarmente complicati. Anche da questioni religiose, se si pensa che in passato certi paesi avevano rifiutato vaccini come l’antipolio. Come lo chiamate voi? Lavaggio del cervello». Interviene la moglie: «Un grosso errore è stato quello di non muoversi prima alla ricerca di un vaccino. Ma si sa, queste sono malattie “orfane”, come si dice negli Stati Uniti. Quando ci sono pochi casi non rendono all’industria farmaceutica e lo stato non è motivato a intervenire. E quando scoppia l’epidemia si è costretti ad inseguire».  
Ha collaborato Giorgio Longo.  

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