GRUPPO DI.VERSI E POETI - LA SIGNORA LEA by Piera Pacucci
GRUPPO DI.VERSI E
POETI INSOMNIA
Da un’idea di Giuseppe Guaragna & Silvia Cozzi. Poesie, prosa e
racconti a tema di 35 autori.
LA
SIGNORA LEA – PIERA PACUCCI
Le lenzuola bollenti mi scacciano
fuori dal letto. Prendo dal frigo una mezza di acqua minerale ghiacciata e vado
sul balcone.
Mi appoggio al muro, che è meno
caldo delle lenzuola e mi accendo una sigaretta. Che quiete! Quelli del terzo
piano stasera non si sentono. Lea, almeno per stasera non avrà un nuovo occhio
nero. Quante urla ho sentito da questo balcone; quella pattumiera di alluminio
lì fuori presa a calci suonare come una campana, e la voce di Lia un sommesso e
doloroso lamento. E’ capitato anche che urlassi contro quel nano corpulento del
marito:
- La smetti stronzo? Guarda che
chiamo i carabinieri!
- Fatte i cazzi to’! Strunsa! –
un urlo strozzato e un ghigno animalesco d’ubriaco.
Ma poi smetteva e io i
carabinieri non li chiamavo. Lea,la incontravo poi il mattino dopo mentre andavo
al lavoro e immancabilmente sul suo viso un ombra viola.
Finalmente stracci di nuvole
coprono la luna; il meteo promette pioggia. Io resto qui in attesa delle prime
gocce. Mi lascerò inzuppare, come un vecchio giornale appallottolato. In
lontananza il suono di una sirena interrompe il silenzio consolatorio della
notte.
Metto gli auricolari mentre mi
siedo per terra; l’acqua tracimata in abbondanza dai vasi mi inzuppa
piacevolmente il pigiama e gli Yardbirds risuonano nella mia testa e nel mio
cuore. Forse per questa notte sopravvivrò. Sento che sto per riaddormentarmi.
In fondo sono le tre e mezza del mattino.
Un cigolio insolito e poi il
familiare suono di campana della vecchia pattumiera. Allungo lo sguardo
stropicciato dal sonno. Non riesco a distinguere le sagome sul balcone del
terzo. Sembra sia Lea con un grosso sacco tra le braccia. Cazzo farà una di
settant’anni a quest’ora con un sacco così? Appoggia con un grande sforzo il
sacco sulla ringhiera che per un attimo resta fermo sulle corde da stendere; ma
poi lo spinge e vola giù, con una velocità inaspettata. Mi metto gattoni col
viso contro la ringhiera; giusto in tempo per sentire un tonfo sordo. Il sacco
è finito proprio sotto il lampione del cortile. La luce gialla, scopre la
sagoma di un corpo. Quello del nano corpulento. Da qui, riesco a vedere la
pozza scura del sangue spargersi sul cemento. Do un’occhiata veloce al balcone
di Lea, ma dalla finestra spalancata volano silenziose solo le tendine bianche.
Sempre a gattoni prontamente torno dentro. Una tachicardia incontrollata mi
impedisce di respirare bene. Bevo d’un fiato tutta la bottiglietta d’acqua, ma
non riesco a calmarmi. Mi sdraio sul letto ormai gelata. Benny dorme tranquillo
sul cuscino; mi concentro sul suo lieve movimento respiratorio ipnotizzata;
cercando di calmarmi.
Continuo a ripetermi “ Non hai
visto niente, non hai visto niente”, ma non è così. Ma dovrà essere così mi
dico.
La pioggia di colpo scroscia
violenta accartocciando questa notte feroce; senza portare pace.
Sarebbe inutile anche solo
provare a dormire. Allora sto al buio, fissando il soffitto. Allungo una mano
ancora tremante tra i ciuffi di pelo rosso. Muove la punta della coda e
continua a dormire. Ormai conto le ore per arrivare all’alba. Nello spazio tra
due case di fronte appare la sagoma appena rischiarata del Monviso, sgombra
dalle nubi ormai ruzzolate a terra nella notte. Aspetto con ansia un urlo
sommesso dal primo vicino che andrà in cortile a prendere l’auto. Ma invano.
Passano ancora lentamente i
minuti; manca un’ora al suono della sveglia. Poi dalla finestra aperta arriva
improvvisamente l’urlo di una donna. Con uno scatto che non mi appartiene volo
sul balcone. Lea appoggiata alla ringhiera sta gridando aiuto. Si aprono le
persiane una dopo l’altra, espellendo corpi seminudi e addormentati. Esco anche
io, e inaspettatamente sento la mia voce che sovrasta le altre dire:
- Lea, Lea cosa è successo?
- Aiutami ti prego – mi dice
piangendo
- Arrivo! – rispondo
precipitandomi dentro a cercare una vestaglia.
Scendo le scale dimenticando
l’ascensore; busso e ribusso con violenza sulla porta. Finalmente mi apre.
Gli occhi gonfi e rossi
continuano a perdere lacrime senza sosta. I capelli arruffati sopra la
ricrescita bianca di almeno due dita. E’ invecchiata di dieci anni forse quelli
che le restavano; forse quelli che ora non avrà più. L’abbraccio con forza e
piango con lei, senza profferire parola. Ormai nelle scale scendono e salgono i
vicini, ma restano fuori dalla porta aperta ad ascoltare i singhiozzi di Lea in
un silenzio agghiacciante. Qualcuno dice di aver chiamato l’ambulanza. Io dico
a Lea che voglio scendere ad aspettarla. Lei non vuole. Qualcuno ha aperto il
portone e sento la sirena silenziarsi mentre entra nel cortile. Lascio Lea
abbandonata sulla sedia della cucina e scendo. Mi rendo conto appena nel
cortile che con i soccorsi sono arrivati anche i carabinieri. Ho un tuffo al
cuore.
Un infermiere tocca con due dita
il collo dell’uomo e scuote la testa. Un brivido come un coltello gelato mi
attraversa la schiena. Stringo i baveri della vestaglia. Tutto il palazzo
radunato in cerchio attorno al morto; scuotiamo tutti la testa
contemporaneamente come a un Open di Tennis. Grottesco.
I carabinieri si avvicinano e
chiedono:
- Qualcuno di voi ha visto o
sentito qualche cosa?
Un altro diniego collettivo
- Abbiamo bisogno dei vostri nomi
– dice uno di loro.
Ci lasciamo avvicinare,
impossibilitati a scappare e decliniamo nome e cognome. Poi chiedo se posso
andarmene, non mi sento molto bene. Il carabiniere acconsente; tanto ha già i
mie dati e il numero di cellulare; dice. Questa volta per salire prendo
l’ascensore. La porta di Lea è ancora aperta. Un carabiniere e un infermiere le
stanno attorno e la consolano, ma lei continua a piangere; come il Po in piena.
Sto per girare sui tacchi e andarmene, quando un conato di vomito agita il mio
stomaco. I due uomini si voltano e mi soccorrono e continuo a vomitare e lei a
piangere.
Mi appoggio all’infermiere
spossata; mi fa sedere su una sedia di fronte a Lea e mi dice di fare profondi
respiri che così passerà.
Sulla mia mano appoggiata sul
tavolo, soffice e bagnata si posa la mano di Lea. La guardo negli occhi e lei
me la stringe. Io le sorrido facendo un cenno di assenso. Magari non
intendevamo dire la stessa cosa.
Complimenti, Piera. Bella scrittura, idea efficace. Mi piacerebbe leggere altri tuoi racconti
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