BLOG - LUCIANO DE CRESCENZO (E IL CAFFE') - di PAOLA CINGOLANI


Mi sono tormentata tutto il giorno pensando che, nel primo anniversario dalla morte di Luciano De Crescenzo, avrei voluto citarne almeno un brano simpatico. Credo meriti – per me era particolarmente gradevole – ma, fra le tante cose pregne di grande intelletto e di sottile ironia che ci ha lasciato, ho avuto l'imbarazzo della scelta.
Così mi sono crogiolata, fra una lettura e l'altra, senza riuscire a decidere.
Solo stasera non ho avuto dubbi, grazie a Luciana Del Grande, amica a me cara, la quale ha scovato una delle cose che – personalmente – amo moltissimo: il caffè.
Sì, perché il caffè è un rito e io mi definisco una grandissima caffettiera vivente, un modo auto ironico per dire che lo adoro.

Quando un cristiano sente il desiderio di prendere un caffè, non è perché vuole bere un caffè, ma perché ha avvertito il bisogno di entrare di nuovo in contatto con l'umanità, e quindi deve interrompere il lavoro che sta facendo, invitare uno o più colleghi ad andare a prendersi il caffè insieme, camminare al sole fino al bar preferito, vincere una piccola gara con annessa colluttazione per chi offre i suddetti caffè, fare un complimento alla cassiera, due chiacchiere sportive con il barista ed il tutto senza dare alcuna istruzione sul tipo di caffè preferito, dal momento che un vero barista deve già conoscere il gusto del suo cliente. Tutto ciò è rito, è religione, e lei non me lo può sostituire con una macchinetta che da una parte si ingoia le cento lire e dall'altra mi versa un liquido anonimo e inodore!”
(Luciano De Crescenzo - Così parlò Bellavista, 1977)

“Il caffè è una scusa. Una scusa per dire a un amico che gli vuoi bene.”

(Ibid)

Potrei digiunare - mi capita spesso di dimenticare la cena – ma il caffè lo devo bere,
corto, forte, robusto, senza zucchero: per sentirne meglio l'aroma.
Potrei lavarmi il viso con il ghiaccio – anche se dormo poco – ma senza la mia dose massiccia di caffè non sarei mai sufficientemente sveglia.

Se passa qualcuno qui a casa, non evito mai di accendere la mia macchinetta espresso: è un po' come gli stessi dicendo che sono felice della sua presenza.
Se viene la nostra tata, poi, prima si passa dal caffè insieme, dopo ognuna di noi si applica nel fare le sue cose.
Ciò che più diverte è sapere che – prima – non beveva caffè e, se non sono io a farlo, prende un frutto o una bibita.

Le persone vanno ricordate anche per quelle che sono state le loro grandi passioni, soprattutto se raccontandocele sono riuscite a strapparci dei sorrisi. 


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