Concetti Fondamentali della Semiotica di Umberto Eco

Di Raoul Bianchini
1. La significazione e l’approccio semiotico alla comunicazione 
1.1 La semiotica: disciplina, campo o atteggiamento? 
Mia figlia, che ha nove anni, ha preso gusto da un po’ di tempo a coinvolgermi in un piccolo gioco. Si rivolge a me dicendomi una cosa tipo “babbo, qrustupusti?” e, al mio sguardo un po’ smarrito, mi rivolge una compiaciutissima linguaccia. Uno degli aspetti divertenti (ma anche un po’ inquietanti) di questo gioco sta nel fatto che la bambina mi sottrae per un momento e subito mi restituisce qualcosa: si tratta, potremmo dire, del senso, ovvero di quella particolare proprietà o qualità che rende la situazione che stiamo vivendo e quanto la abita spiegabile e affrontabile da parte di entrambi. La semiotica è la disciplina che studia le condizioni che rendono possibile la produzione, l’apparizione, la trasformazione e la trasmissione del senso; l’insieme di tali fenomeni è chiamato anche significazione. 
1.2 La semiotica contemporanea    
Una riflessione sui fenomeni di significazione è parte integrante del pensiero occidentale.Due progetti di semiotica in senso moderno (indipendenti l’uno dall’altro) vengono delineati verso l’inizio del Novecento dal linguista ginevrino Ferdinand de Saussure, che parla di sémiologie, e dal filosofo americano Charles Sander Peirce, che parla di semiotics2. Negli anni Sessanta del Novecento un gruppo di intellettuali francesi tra cui spiccano le figure di Roland Barthes e di Algirdas Julien Greimas, riprendono il progetto di una scienza semiotica e arricchiscono gli apporti linguistici e filosofici con quelli dell’antropologia culturale; uno dei principali obiettivi è quello di procurarsi strumenti per analizzare criticamente il sempre più invadente e totalizzante universo dei media. Il dibattito che ne deriva conduce al graduale precisarsi dei confini e delle articolazioni di una pratica di ricerca che incrocia strumenti linguistici, filosofici, antropologici, mediologici, filologici, di teoria e critica delle differenti arti. A partire dalla fine degli anni Sessanta La semiotica si istituzionalizza in attività convegnistiche, pubblicazioni, riviste, centri di ricerca; entra nelle Università e rinnova i metodi di studio in numerosi settori umanistici; moltiplica le proprie pratiche e i propri oggetti di studio e vede nascere differenti scuole e tendenze. La conseguenza di un simile sviluppo molto rapido ma poco controllabile è stata una estrema varietà
di studi e approcci che permane tuttora: «nonostante il moltiplicarsi d’introduzioni semplificate alla disciplina (o forse proprio per tale motivo), il paradigma semiotico è [attualmente] in piena deregulation»3; tanto da chiedersi se la semiotica possieda i caratteri della disciplina scientifica o non costituisca piuttosto un “campo” di discipline4, una “ragnatela” di discorsi, una “sfera” di teorie e pratiche, o ancora (più semplicemente) un’attitudine, un atteggiamento, 
1.3 Le coordinate di fondo della ricerca semiotica 
Sono gli ultimi giorni di vacanza in montagna, ho portato il computer per iniziare a lavorare un po’ e ogni sera guardo le previsioni metereologiche su alcuni siti Internet specializzati: la cartina indica puntualmente sole e bel tempo; guardo fuori dalla finestra e osservo radunarsi minacciose nubi temporalesche… Come analizzare i fenomeni di significazione che entrano in gioco in questa semplice esperienza? In primo luogo osserviamo che vengono coinvolti due tipi di fenomeni differenti: il senso è prodotto in un caso in forma mediata e artificiale, a partire dai materiali che appaiono sullo schermo del mio computer e quindi in base alla progettualità  di un soggetto “emittente”; nell’altro caso il senso viene prodotto invece in forma diretta e naturale, a partire dal mio rapporto con il mondo che mi circonda e in particolare con delle realissime quanto incombenti nubi temporalesche. Deriva da qui una prima polarità che orienta e articola la ricerca semiotica. Da un lato la semiotica studia fenomeni di significazione mediati: conversazioni, romanzi, film quadri, siti Internet, spot pubblicitari, ecc. Nell’altro caso essa si occupa di fenomeni di significazione diretti: in tal caso la semiotica diviene di fatto una filosofia della conoscenza. Anche il metodo della riflessione cambia perché nel primo caso il semiotico può in vari modi procurarsi una traccia registrata dei materiali che hanno sollecitato e guidato i processi di significazione in modo da procedere a una loro analisi (posso da semiotico rianalizzare il sito Internet che mi ha dato le informazioni sbagliate) mentre nel secondo caso dovrà affidarsi a una riflessione di tipo più astratto. Tuttavia sarebbe sbagliato pensare a una opposizione: si tratta piuttosto di una polarità che conosce vari gradi intermedi e meccanismi di scambio.  Spesso il semiotico svolge analisi di materiali incaricati di veicolare processi di significazione per interrogarsi su tali processi in chiave più generale, nella convinzione che in ogni caso la nostra esperienza non può prescindere dalla ricerca e dal conferimento di senso a quanto ci circonda e ci accade. La semiotica a seconda della vocazione più analitica o più speculativa: semiotica applicata, semiotiche specifiche, semiotica generale. A questa prima tensione se ne sovrappone un’altra. Se mi interrogo sulle condizioni che hanno permesso l’insorgere della mia vita (sia nel caso dei fenomeni diretti che in quello dei fenomeni mediati), individuo due ordini di entità differenti. Da un lato ci sono alcuni insiemi di conoscenze di cui sono in possesso: so riconoscere la cartina dell’Italia, so che un pallino contornato da segmenti che fuoriescono a raggiera indica il sole, ma so anche che “vere” nuvole dalla conformazione striata e dal colore grigiastro non promettono nulla di buono. Queste conoscenze sono relativamente indipendenti sia dalla particolare situazione in cui opero i processi di significazione, sia da me stesso: io le ho ricevute da e le condivido con il gruppo sociale e culturale cui appartengo. Dall’altro lato ci sono delle azioni che compio e dei processi che innesco e in cui sono coinvolto; questi sono sia di tipo pratico e percettivo (accendere il computer, aprire la finestra e guardare fuori) sia di tipo cognitivo (riconoscere il significato delle previsioni e quello del tempo reale), sia di tipo emotivo (sarà meglio avvisare mia moglie che domani non porti i bambini al parco o starò in ansia…). Tali processi sono vincolati al mio agire in una particolare situazione, anche se vengono guidati da competenze previe e più generali (ovvero da “sceneggiature” mentali  che uso per programmare, mettere in atto e controllare lo svolgimento dei miei comportamenti). La semiotica ha scelto in alcuni casi di privilegiare una riflessione sui sistemi di conoscenze e in altri casi quella sui processi responsabili della significazione; anche in questo caso però non si tratta di una opposizione netta quanto di una polarizzazione: i sistemi orientano i processi ma questi a loro volta determinano una ristrutturazione dei primi. Riassumiamo queste coordinate della ricerca semiotica disponendo i due assi di polarità in un unico quadrante:      
Sistemi di conoscenze 
Processi e azioni 
Significazione mediata e artificiale Significazione diretta  e naturale 
1.4 I modelli e lo sviluppo della ricerca semiotica 
Le due polarizzazioni che ho disegnato rappresentano i parametri o coordinate di fondo della ricerca semiotica e definiscono il quadrante all’interno del quale la disciplina si è mossa. Tale quadrante rappresenta dunque un criterio di ordinamento “sincronico”, o per essere più esatti “metacronico” della ricerca. Occorre tuttavia aggiungere che esso non è sufficiente per rendere ragione della varietà degli orientamenti e degli approcci semiotici: occorre integrarlo con un’analisi dei modelli e degli oggetti epistemologici che la semiotica ha costruito per spiegare i fenomeni di significazione. Questo secondo criterio di ordinamento implica una successione di proposte nel tempo: è dunque diacronico (o per meglio dire logico-diacronico7) in quanto permette di definire differenti fasi o momenti di sviluppo della disciplina. Distingueremo tre grandi oggetti epistemologici che hanno contraddistinto altrettanti momenti della semiotica: parleremo dunque nell’ordine di una semiotica del segno, del testo e dell’esperienza. I prossimi paragrafi sono dedicati a illustrare ciascuno dei tre momenti.  
1.5 La semiotica del segno 
Segni e sistemi di segni: Ferdinand de Saussure e lo strutturalismo semiolinguistico 
Il primo dei due padri della semiotica moderna è Ferdinand de Saussure (1857-1913). Le idee di Saussure  e dei continuatori del suo pensiero nel campo della linguistica si raccolgono sotto l’etichetta di “linguistica strutturalistica”8. Tra tali continuatori spicca il nome del danese Louis Hjelmslev (18991965). In base all’impostazione strutturalistica occorre porre una distinzione previa tra le occorrenze linguistiche singole, concrete e legate a scelte individuali, e le leggi linguistiche generali e diffuse a livello sociale complessivo; le occorrenze e gli usi particolari (denominati parole da Saussure e processo da Hjelmslev) non possono essere oggetto di spiegazione scientifica, mentre le leggi sociali (langue o sistema) possono esserlo. Questa distinzione si incrocia e almeno in parte si sovrappone a una seconda: quella tra diacronia, o sviluppo storico della lingua, e sincronia, o sua considerazione in un determinato momento e stato particolare. La scelta della linguistica strutturalistica è di studiare la langue in maniera sincronica: “a bocce ferme”, per così dire – un po’ come si guarda una partita di scacchi in una certa fase del suo svolgimento -. Queste due scelte di partenza, pur di carattere metodologico, hanno pesato nelle concezioni di base della ricerca. Le conoscenze previe, condizione del comunicare, sono state lette in maniera autonoma rispetto tanto rispetto ai loro usi quanto rispetto alla loro evoluzione; esse sono state così rappresentate come un sistema di relazioni statiche che si regge autonomamente. Questa impostazione ha implicato dunque (rifacendoci al nostro quadrante di orientamento)  che il peso della riflessione si spostasse decisamente sul versante dei sistemi di conoscenze, piuttosto che verso i processi della significazione. Tali sistemi vengono letti nell’ottica saussuriana in quanto riferiti al sistema artificiale della lingua e delle sue produzioni piuttosto che con riferimento all’esperienza diretta e “naturale” del mondo. All’interno dell’insieme di conoscenze che costituisce la langue viene individuata quale unità di base il segno; esso è costituito da due componenti: la traccia cognitiva di una componente sensibile, acustica (il significante o espressione), e la traccia cognitiva di un concetto (il significato o contenuto). Il legame tra le due   Le differenti proposte non sono sempre successive: spesso differenti modelli e paradigmi di studio sono sovrapposti, come vedremo strada facendo. 8 Per una introduzione generale cfr. G. Lepschy, La linguistica strutturale, nuova ed., Einaudi, Torino 1990; Id. La linguistica del Novecento, Il Mulino, Bologna 1992 (in part. pp. 39-81). 
1.6 Il progetto della translinguistica e il problema dell’iconismo: Umberto Eco insieme agli intellettuali Francesi
Alla metà degli anni Sessanta un gruppo di intellettuali francesi riprende il progetto saussuriano di una semiologia basata sulla linguistica; il loro scopo è quello sottoporre i messaggi della cultura e dei mezzi di comunicazione di massa ad un'analisi in grado di svelarne i contenuti ideologici sottesi. Nel 1964 Roland Barthes (1915 - 1980) pubblica un saggio che rappresenta il momento più chiaro di lancio di un simile progetto12. L’autore riprende i principali nodi concettuali della linguistica strutturalistica (Langue e Parole, Significato e Significante, Sintagma e Sistema, Denotazione e Connotazione) e cerca di mostrare la valenza e l’utilità delle nozioni linguistiche nella esplorazione di sistemi di segni differenti da quelli delle lingue naturali. Alla base del discorso c’è un (parziale) rovesciamento della tesi di Saussure secondo la quale la linguistica era destinata a divenire una parte di una più generale scienza semiotica: «...Il semiologo, anche se in partenza lavora su sostanze non linguistiche, incontrerà prima o poi sulla propria strada il linguaggio (quello “vero”), non solo a titolo di modello, ma anche a titolo di componente, di elemento mediatore o di significato. Tuttavia, tale linguaggio non è lo stesso dei linguisti: è un linguaggio secondo, le cui unità non sono più i monemi e i morfemi, ma frammenti più estesi del discorso che rinviano a oggetti o episodi, i quali significano sotto il linguaggio, ma mai senza di  esso. Pertanto, la semiologia è forse destinata a farsi assorbire da una trans-linguistica, la cui materia sarà costituita ora dal mito, dal racconto, dall’articolo giornalistico, ora dagli oggetti della nostra civiltà, nella misura in cui essi sono parlati»13. Per Barthes, insomma, esiste un “linguaggio secondo” (oggetto di studio della trans-linguistica): esso per un verso rappresenta, rispetto ai vari sistemi di segni sia naturali che iconici, un metalinguaggio, ma per altro verso rileva i propri andamenti dal linguaggio naturale; di qui appunto il ruolo guida della linguistica nell’informare il lavoro della trans-linguistica. L'invito barthesiano si scontra tuttavia contro quelle difficoltà di applicazione delle categorie linguistiche ai segni iconici già intraviste dallo stesso Saussure .Una lista di tali difficoltà è stilata da Christian Metz (1931- 1993) nel momento in cui si accinge alla fondazione di una semiologia del cinema14. Attraverso un confronto con alcune teorie del cinema, Metz sottolinea come il cinema, nel momento in cui viene confrontato con la lingua verbale, mostra un netto distacco rispetto a tutti gli elementi che la linguistica considera caratteristici della lingua: non sussiste una distinzione tra langue e parole, vuoi perché non è possibile individuare un sistema previo di segni codificati, vuoi perché il cinema si esprime non per segni isolati, ma per frasi, enunciati, grandi unità significanti. Inoltre il legame tra contenuti ed espressioni non è arbitrario: l’espressione non “significa”, ma “esprime” direttamente un certo contenuto mediante una pseudo-presenza della cosa significata. In sintesi il cinema (ma lo stesso può dirsi per altri linguaggi iconici) è caratterizzato, rispetto alla lingua naturale, da un eccesso di presenza delle cose significate: una sorta di tirannia della presenza15. «Il cinema [...] si rivela insomma come un linguaggio senza lingua e, quindi senza sistema dominante tutte le sue manifestazioni»16. Questo non toglie che «bisogna fare la semiologia del cinema»17; ma non toglie neppure la necessità di ripensare l’apparato concettuale della semiologia distaccandolo da quello della linguistica strutturalistica. Il saggio di Metz fa peraltro affiorare una contraddizione interna alla riflessione semiologica. Per Saussure e i semiologi era importate salvaguardare la convenzionalità di tutti i differenti sistemi di segni. Tuttavia l’applicazione dei concetti linguistici a tipi di segni iconici portava a scindere il campo tra tipi di segni arbitrari e convenzionali quali quelli verbali; e tipi di segni in cui, all’opposto, il legame tra significante e significato non è regolato da una convenzione arbitraria ma è piuttosto diretto e privo di mediazioni: tale in particolare il caso della fotografia e del cinema18. Nasce, a partire dalla contestazione  di questi assunti, uno specifico dibattito sull’ “iconismo”19.  La prosecuzione delle discussioni segue sostanzialmente le due vie indicate dagli autori citati. Da un lato si ammette un ruolo-guida del linguaggio verbale rispetto agli altri e dunque si assumono categorie e strumenti linguistici anche per interpretare altri tipi di segni (posizione di Barthes); il risultato è la individuazione di sistemi di segni differenti e correlati, caratterizzati da un diverso grado di convenzionalità. Dall’altro lato si ritiene che, di fronte alla inadeguatezza delle categorie della linguistica nell’approccio ad altre categorie di segni, occorre cercare “dall’interno” dei linguaggi differenti 
1.7 Il segno in prospettiva pragmatica: Charles Sanders Peirce e Umberto Eco 
Dietro questa trasformazione dello statuto della semiotica sta il recupero all’interno della riflessione moderna del secondo dei padri fondatori della semiotica moderna: il filosofo americano Charles Sanders Peirce (1839-1914). Il concetto di segno è ben presente anche nella riflessione peirciana, ma l’accezione del filosofo americano è molto differente da quella di Saussure. Per Peirce (che riprende su questo punto la filosofia Scolastica) il segno è «qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche rispetto o capacità»27. Le componenti del segno sono quindi tre: il segno in sé, o representamen, ciò che viene prodotto nella mente di chi fruisce il segno, o interpretante, e la cosa cui il segno si riferisce, o oggetto. Il passaggio dalla definizione diadica di Saussure a una definizione triadica di segno implica l’introduzione di una visione dinamica e processuale: il segno prende corpo e vive solo all’interno del processo di semiosi. L’intera costruzione semiotica di Peirce riposa sul concetto di semiosi. A ciò non sfugge neppure la classificazione dei segni che Peirce effettua, e in particolare quella relativa ai rapporti tra il representamen e l’oggetto. In base a tale criterio i segni vengono distinti in icone, indici e simboli: «le tre diverse relazioni con l’oggetto sono [...] nel primo caso di somiglianza, nel secondo una qualche relazione effettuale, esistenziale, di modificazione, nel terzo una relazione generale che può essere  convenzionale».  
L’approccio di Eco  dunque si distacca da quello di Saussure su due punti fondamentali, che si colgono agevolmente facendo nuovamente riferimento al nostro quadrante guida: per il filosofo italiano la semiotica è una teoria della conoscenza in quanto riguarda indifferentemente segni artificiali e segni naturali; inoltre al centro dell’interesse non ci sono più i sistemi di conoscenze necessari perché i fenomeni i significazione abbiamo luogo, quanto piuttosto i processi che descrivono l’accadere della significazione (ovvero esattamente quell’ambito di studio che lo strutturalismo respingeva in quanto ambito della parole). Si parla a questo proposito di una svolta pragmatica della semiotica: i processi di conoscenza non sono più visti come un “passaggio” di conoscenze; viene piuttosto assunta  « una concezione interazionale e dinamica della conoscenza, la quale non è intuizione immediata, bensì è un processo interpretativo che [...] “manipola” l’esperienza producendo e trasformando i fatti attraverso le idee». E’ soprattutto Umberto Eco a tentare una sintesi tra la lezione peirciana e l’impianto strutturalista della semiotica. Nella seconda parte della sua vita  Umberto Eco , rileva che le tipologie di segni elaborate dalla semiotica strutturalista si sono rivelate fallimentari; resta tuttavia possibile e opportuno tracciare una tipologia dei modi di produzione dei segni, basata sui quattro parametri (a) del lavoro fisico necessario, (b) del rapporto tipo-occorrenza, (c) del continuum da formare, (d) del modo e la complessità dell’articolazione. In particolare, tenendo presente in particolare il criterio (a), è possibile individuare una tipologia di segni che va da un lavoro fisico massimamente passivo (riconoscimento, ostensione), fino a uno massimamente attivo (replica, invenzione): impronte, sintomi, indizi, esempi, campioni, campioni fittizi, vettori, stilizzazioni, unità combinatorie. pseudounità combinatorie, stimoli programmati, fino ai casi di trasformazione  che rappresentano appunto casi le sue ultime ricerche.
Raoul Bianchini 27/02/2016

Diritti Riservati

Commenti

Post più popolari