Opinioni sul voto: Dai risultati per le europee, o l’Europa o il caos
Agostino Pietrasanta Appunti Alessandrini
I commenti a caldo si espongono, inevitabilmente al rischio di un largo margine di smentita; nel nostro caso però alcune valutazioni analitiche sono o incontestabili o difficilmente passibili di specifici distinguo.
Ovviamente parliamo di elezioni europee ed il quadro non può limitarsi al livello nazionale, ma da esso conviene partire e di esso conviene tener conto; se non altro, ma non solo, per facilitare l’approccio.
Intanto il risultato del voto italiano; nessuno poteva prevedere e nessuno aveva previsto un successo tanto ampio da evocare un vero e proprio “trionfo” del PD di Matteo Renzi. C’era chi temeva un pareggio col Movimento 5stelle; c’era chi sperava che il PD superasse il 30% ed i grillini non aumentassero i voti ottenuti alle ultime politiche. Sarebbe stato un insperato successo se Renzi avesse ottenuto, ad esempio, il 35% ed invece avanza significativamente oltre il 40% e doppia semplicemente la marea populista del Grillo urlante. Solo la Democrazia Cristiana raggiungeva certe percentuali, quando vinceva le elezioni; è vero che in quegli anni, che non seguo con malinconia, ma con attento ricordo, l’affluenza alle urne superava l’80% ed oggi sfiora appena il 60%, ma l’impressione di una vittoria assolutamente insperata e al di sopra delle più ottimistiche previsioni, rimane forte e netta. Saranno stati gli ottanta euro che alcuni milioni di persone hanno ricevuto in busta paga, sarà stato il segnale, per la prima volta
concreto, che si vuole procedere sulle riforme a cominciare dal fisco, riducendo le tasse, invece di cambiare il loro nome, ma tant’è, il risultato non cambia.
Non cambia, ma avverte sulla necessità di procedere spediti anziché dare l’impressione di attardarsi nei proclami; e per procedere spediti non c’è alternativa : alleggerire la burocrazia, tagliare l’evasione, colpire la corruzione.
Sta di fatto che se allarghiamo, sia pure fugacemente, lo sguardo all’Europa il ragionamento risulta parecchio complesso. A questo livello si constata l’indubbio successo delle forze e dei movimenti “euroscettici”; nel loro insieme e, soprattutto in singoli Stati. Va precisato che nel futuro Parlamento europeo i partiti che li rappresentano raddoppiano più o meno i loro rappresentanti; e tuttavia non raggiungono quel terzo dei seggi che, da parte di qualcuno, si temeva.
Il problema tuttavia non sta, almeno esclusivamente e neppure prevalentemente nella valutazione del risultato elettorale complessivo; va visto nella situazione degli Stati nazionali di maggiore rilevanza e di maggiore responsabilità nella tradizione dei processi, più che travagliati, troppo travagliati, dell’unificazione europea. Intanto l’autentico shock francese. La Francia è stato un Paese fondatore del processo; la leadership politica dello Stato aveva capito la necessità della pace sul continente, aveva validi motivi per un confronto privilegiato con la Germania, ma tuttavia di un confronto dialettico e lo ha perso, nonostante partisse avvantaggiato ed abbia fruito di passaggi, a mio avviso favorevoli, sia pure nelle contraddizioni. Non posso richiamare tutte le tappe dei due percorsi paralleli (Francia e Germania), sta di fatto che, da ultimo, e nel corso di un ventennio la Germania ha tracciato la via di importanti riforme, la Francia molto meno.
Ora il bivio deriva da una semplice constatazione. Per ora le politiche europee sono nelle mani dei singoli Stati e se in uno o più di loro la spinta antieuropeista è forte, anche le maggioranze del Parlamento europeo ne viene condizionata. Questo diventa tanto più vero e preoccupante se oltre alla Francia anche il Regno Unito marca una trascinante vittoria delle forze euroscettiche. E di un partito l’Ukip che, “nato di bel nuovo” sembra superare il Labour e distanziare i Tory; in buona sostanza il fondamento dialettico di una tra le più consolidate tradizioni democratiche del mondo.
Difficile fare previsioni, ma una cosa è certa e frau Merkel, che continua a vincere grazie ad una politica accorta, ma anche alle riforme fatte da chi l’ha preceduta, sconfitto dal suo stesso coraggio riformista; la Merkel dicevo è troppo accorta per non rendersene conto: la politica del rigore non può essere procrastinata pena l’esistenza dell’Europa; la svolta però, a me pare, può avvenire solo con un coraggioso salto nel processo di integrazione europea. L’euroscetticismo non viene sconfitto dai singoli Stati e dai loro interminabili riti di accordi confederali, ma solo da una vera federazione. Basti per tutti l’esempio del debito e dei debiti sovrani : sarebbe una pia illusione sperare che gli Stati più forti prendano iniziative volte a condividere il debito dei più deboli sul piani finanziario; questo lo può fare solo una federazione. Eppure fin che alcuni Paesi soffrono di un debito pubblico, come quello italiano, difficilmente potranno avere risorse sufficienti per la crescita. E se certe parti dell’eurozona non crescono, non cresce l’economia europea; lo squilibrio non paga per le ovvie condizioni di interdipendenza poste in essere. L’Italia potrà abbattere la corruzione e lo dovrà fare; potrà incidere sull’evasione scandalosa di cui soffre e sarà suo compito intervenire. Tutto ciò però non basta; un debito pubblico in carico ad una federazione sarebbe probabilmente risolutivo.
Siamo alla prova degli egoismi nazionali; paradossalmente, ma anche emblematicamente la più orgogliosa delle nazioni, la Francia, rimane vittima del suo nazionalismo.
A me pare difficile uscirne diversamente: o l’Europa o il caos.
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