RACCONTO:AGNESE E LA SCATOLA, DI STEFANIA PELLEGRINI

 

Non ha mai visto quel mare fino ad oggi. Su altre acque ha posato il passo, su altre spiagge ha sognato, ma quel mare immenso, silenzioso, lungo e azzurro, l’oceano, non l’ha conosciuto. 
Il cielo annega in quell’azzurro e il sole dall’alto bacia lo sguardo suo e di Guido, vicini, intenti a rimirare l’infinito.
Il momento dolce e meraviglioso le entra dentro come tessitura di luce argentea, invade, parla al cuore, rallentandone il battito.

C’è qualcosa di magico tra quelle acque, un’attrattiva che prova a interpretare.
Le scruta, le indaga alla ricerca di un contatto, una linea che segni il confine, un orizzonte da decifrare, un movimento che ne tradisca l’umore, ma l’oceano non dà cenni d’inquietudine, piatto e silenzioso guarda sornione di là dalla sua grandezza.

La vastità per un attimo la fa smarrire, ma la presenza di Guido rassicura, e la mente torna quieta.
Come ad avvertire il suo turbamento, lui l’avvicina a sé protettivo e l’avvolge in un abbraccio.

Una brezza leggera sale dal mare, delicata smuove i loro vestiti, si sofferma tra i capelli, carezza le guance, il viso, poi attratta dalla sabbia, da certe alghe depositate dall’onde, si allontana.
Agnese sente di doversi lasciar andare, godere del momento… non ce ne sarà un altro uguale… sempre unico nel suo essere, e quell’uomo accanto è ciò che di più bello poteva regalarle la vita.
Il suo portamento è ancora giovanile malgrado gli anni, che si sa non risparmiano nessuno; lo osserva mentre si allontana per scattare una foto e sente di amarlo ancora con la stessa intensità di un tempo.
 
Sulla scia di un gabbiano i pensieri prendono il volo. Il respiro del mare, eccolo, lo sente, ha suono avvolgente in quella risacca che bagna la riva, e il piacere irrompe dentro di lei.

Una ninna nanna la culla dolcemente… la rapisce… la porta lontano.

Si ritrova su una barca con Guido. Navigano… verso non sa… forse una linea d’orizzonte che non intravedano, in cerca di qualcosa… in cerca dell’origine di quella risacca. C’è voglia di scoperta, di conoscenza, dell’ignoto mondo che si trovano attorno.

Guido le sussurra qualcosa, la donna non capisce, ma coglie tra le parole del marito il benessere, forse il suo stesso piacere, si sente leggera; è di nuovo sulla spiaggia e corre.
L’uomo sta al gioco e la insegue. L’afferra, poi felici si lasciano cadere, come due bambini, distesi là sulle bianche e compatte sabbie, dimentichi di ciò che è stato e sarà.

Hanno tanto desiderato quella pausa, dopo anni di lavoro e di sacrifici: i figli da crescere, guidarli alla ricerca della loro strada con lo studio prima, verso un impiego dopo, ora finalmente possono permettersi di pensare un po’ a sé stessi, di dare ascolto ai loro desideri, e godersi quella vacanza in Francia.

 ***


Il mare d’inverno ha un’atmosfera intima e impenetrabile, un’attrazione silenziosa a cui Agnese non sa dar voce. La spiaggia è deserta, cumuli di nubi grigie all’orizzonte muovono veloci sotto la spinta di un vento capriccioso e turbolento.

Ha messo un maglione di lana blu e una gonna, è febbraio e certamente non ha scelto l’abbigliamento più adatto, ma l’idea della gita è nata improvvisa, così dal niente, in un momento di nostalgia.

Savona non è distante da dove vivono, centoquaranta chilometri in autostrada, andata e ritorno in giornata per un saluto al mare.

Sono sposati da un paio di anni, Il lavoro di Guido li ha portati lontano, ma vengono da un luogo di mare e là hanno idea di tornare un giorno.

Il sapore di sale sulle labbra… la sabbia tra i capelli, entrambi respirano a larghi polmoni l’aria fredda, penetrante del vento.

La rena bagnata della battigia, sotto le loro dita, è contatto, rimanda ad Agnese la consapevolezza di qualcosa che si sta risvegliando in lei e si fa struggimento.

Sorride nel ricordarsi bambina in certe giornate dietro i vetri della finestra di casa.

Il vento di libeccio ululava per giorni litigando con il mare, in una gara di lotta estenuante, quasi a voler dimostrare chi era il più forte. Le onde alte e impazzite oltre gli scogli a raggiungere la strada, i lucernai rotti… le porte serrate sul lungomare… i turisti … i villeggianti come li chiamava la madre, che sarebbero arrivati solo per la stagione estiva… e il vuoto, la solitudine, che causavano smarrimento.

Non amava quelle giornate, la intristivano, portavano con sé ansia. Adesso la sensazione è ben diversa, il vento è diverso. Sarà anche la presenza di Guido, o la presa di un contatto con un mare che le è mancato, ma le acque pare le siano vicine, salutando la sua presenza, e raccontandole storie.

Voci lontane si rincorrono, e le orecchie si fanno più attente tentando di raggiungere, di cogliere, il senso delle parole. Ma sono sonorità confuse che vanno… vengono… sulla spinta del vento, e portano umori torbidi, odori pungenti d’alghe tra misti a quelli della ragia dei pini.

Guido la chiama, la distoglie dai pensieri. Vuol farle una fotografia ricordo.

L’aria è ancora fredda, Agnese ha il volto arrossato dalle sferzate di vento. I capelli castano scuri, che non ha legato e ricadono fino oltre le orecchie, paiono matasse di paglia in balia delle forti raffiche eppure, non la disturba quasi non sente quel vento fastidioso, non sente niente.

È felice, è felice per l’improvvisata, è felice di quel breve contatto che porterà con sé per i giorni a venire.

All’orizzonte il sole si fa spazio tra le nubi, Agnese immagina e fa propositi sul loro futuro insieme.

***

La foto della gita a Savona è ancora lì, da qualche parte. Agnese la cerca in una scatola tra migliaia di altre fotografie. È passato così tanto tempo. Sfoglia, sposta, alla fine la trova e la estrae dal fondo della pila dove è infilata.

Sua figlia la coglie così, con quella foto ingiallita in mano e storce la bocca.

“Che fai mamma, sei ancora in vestaglia? Non hai visto che sono le 11,00? Coglie un peggioramento nella madre in ogni giorno che passa ed è seriamente preoccupata. Sarà irrecuperabile se non la smuove da lì, da quel passato che la sta allontanando dalla vita.

“Ancora con quella scatola! Non riesci a metterla via per un po’?”

“Dai, vestiti! Ti accompagno a fare la spesa.”

Agnese guarda la figlia con sguardo contrariato. Non ha voglia di uscire, né tantomeno di vestirsi, prende la scatola, la sposta, ma non si alza dal divano.

“Dai mamma, ti aiuto.” Si allontana per prenderle dei vestiti, dopo le sfila la vestaglia e le dà una mano a mettere la maglia e una gonna.

“Lo sai che quel tempo che stavi guardando è passato, non c’è più? Lo sai questo?” Le parla guardandola direttamente in faccia, una morsa le stringe lo stomaco: sua madre ha lo sguardo assente e gli occhi… gli occhi sono spenti, hanno perso tutta la vivacità di un tempo.

Agnese distoglie gli occhi, non vorrebbe sentire.

“Guardami mamma, ti prego!”

Cosa dirle, come fare per tirarla fuori da quel circolo vizioso? Ha le spalle curve, il passo più lento, e parla sempre meno. Deve fare qualcosa!

Non potrà restituirle suo padre, e non vuole neanche che cancelli i suoi ricordi. No, questo non sarebbe giusto, ma non può neanche lasciarla logorare dal suo passato. Deve tirarla fuori! Altrimenti finirà per fare confusione, per non distinguerlo più dal presente.

L’unica soluzione sarebbe portarla via da quella casa, allontanarla dalla scatola, per qualche giorno almeno, ma ci ha già provato, ed è stata irremovibile.

L’abbraccia e la stringe a sé teneramente.

La fa sedere di nuovo sul divano e le si siede accanto.

“Ascoltami! Una buona volta”.

“Io voglio che ricordi quello che è stato, soprattutto papà. Ma ci sono altri modi per farlo.”

“Così stai gettando il resto della tua vita.”

“Il tempo non è altro che il presente, quello dell’istante e devi affrontarlo per viverlo”

“Questo lo capisci?”

“Tu questo tempo invece, lo stai scambiando ogni giorno con il passato.” Guardami! Io sono qui ora, le tue nipotine anche. Noi… noi siamo il tuo tempo ora.”

Agnese si guarda attorno, vorrebbe replicare, ma non trova le parole. È da così tanto tempo… che non lo fa. Non sa spiegarselo, sembra che le parole se le sia prese tutte Guido, andandosene. 
 
Stefania Pellegrini ©
 
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