Nel borgo del fantasy: La guerra dei sauri ( ultima parte)




Continuarono in silenzio. I bambini si erano zittiti, quasi che avvertissero le sensazioni negative provate dagli adulti.
E il dramma calò improvviso dal cielo sul piccolo convoglio.
All’inizio giunse solo un sibilo lontano e sinistro, ma prima ancora di distinguere le ali grigie e membranose degli spectrodattili, i fuggitivi ebbero la netta percezione che si trattava di uno stormo nemico in avvicinamento.
I dragon-sauri si allargarono a cerchio formando una corona difensiva intorno alla zona, ma il loro numero esiguo non poteva coprire l’intero corteo di canoe in modo adeguato e un paio di mostri cannibali riuscì a trovare un varco e a passarvi in mezzo indenne.
I bambini lanciarono grida terrorizzate e, purtroppo, uno tra i più piccoli, dalla bionda capigliatura attirò l’attenzione del capo stormo sollecitando la sua avidità. Lo spectrodattilo si lanciò a capofitto sul cucciolo d’uomo, calando sulla piroga come un macigno e, con il rostro dentato, riuscì a strapparlo dall’imbarcazione afferrandolo per la tunica.
L’attacco fu talmente fulmineo e improvviso, che nulla poterono né i sauri alati, né i loro cavalieri.
Ma l’aggressore si era appena alzato di qualche metro sul pelo dell’acqua, con la sua preda terrorizzata appesa al rostro, che già due dei cavalieri gli avevano lanciato contro i loro draghi. Vistosi preso tra due fuochi lo spectrodattilo si diede alla fuga, portandosi via il piccolo. Una parte della pattuglia si buttò all’inseguimento, mentre il resto rimaneva a difesa.
Sulla canoa scese la disperazione.
Kim si disse che non doveva lasciarsi andare allo sconforto, bensì reagire. C’erano ancora molti bambini e molti feriti da salvaguardare.
Diede ordini precisi di far accostare le piroghe alla riva e, in pochi minuti, riuscirono a mettere al riparo tra la fitta vegetazione tutti gli occupanti delle snelle imbarcazioni.
Gli stregon-sauri a terra e i loro guidatori si strinsero in cerchio a difesa dei fuggitivi.





13

La matriarca dei pachidermi ammirati poco prima dal convoglio, aveva assistito al passaggio delle grandi imbarcazioni, con il loro carico umano. Alla femmina di mammut non era sfuggito il fatto che la maggior parte degli occupanti erano cuccioli d’uomo e feriti. Aveva osservato con preoccupazione il transito delle piroghe e il grande istinto materno che contraddistingueva la sua specie le aveva procurato una pena infinita. In genere non si preoccupava per le problematiche della specie umana, ma le notizie della grande battaglia avvenuta a nord del grande fiume, aveva percorso l’immensa savana fino ad arrivare a lei e al suo branco.
Sin dalla tenera età le era stato insegnato ad aver rispetto per l’essere umano, anche se col passare del tempo si era resa conto che, per motivi vari, era sempre meglio vivere lontano da quella specie particolare.
Però per la sua indole, come del resto per tutti quelli della sua razza, i cuccioli erano da considerarsi sacri e intoccabili, un patrimonio per il futuro da conservare, crescere e accudire come un bene molto prezioso. Era un principio che valeva per i cuccioli di ogni specie.
Per questo motivo, quando aveva visto passare le piroghe cariche di bimbi, aveva tremato. L’istinto materno, aveva prevalso sui buoni propositi di tenersi alla larga, e aveva ordinato alle altre femmine del branco di seguire il convoglio, in modo discreto, lungo le sponde del fiume.
Gli stregon-sauri e i loro guidatori avevano percepito la presenza del branco di mammut, ma l’avevano accettata, grati per quell’aiuto inaspettato.  
Poi, all’improvviso era avvenuto l’attacco e subito dopo il rapimento di uno dei cuccioli.  In quel momento la matriarca decise di agire.
I suoi barriti di richiamo si levarono alti nella palude, seguiti all’istante da tanti altri in risposta.
 E mentre tre femmine mammut   si catapultavano   all’inseguimento dello spectrodattilo vorace, un’altra decina di esemplari   si diresse con determinazione verso i cuccioli umani.
Si disposero formando un cerchio e attorniando l’altro cerchio difensivo composto dagli stregon-sauri. Il risultato di quella strategia fu una palizzata difficilmente oltrepassabile dai nemici.
Gli enormi animali diedero segno di grande nervosismo. Le orecchie avevano preso a sventolare senza sosta, mentre le zampe battevano nervosamente avanti e indietro sul terreno, sollevando grandi sbuffi di polvere. Le proboscidi tese verso l’alto, cominciarono a spandere nei dintorni profondi barriti di sfida ai feroci aggressori alati.  
Davanti alla montagna di muscoli e zanne minacciose, i grandi mostri cannibali esitarono sconcertati e sospesero momentaneamente l’attacco sostando come gigantesche libellule che frullano l’aria con le ali per tenersi sospese. Evidentemente non si aspettavano una simile reazione.   Nemmeno per una specie feroce come la loro, con artigli adunchi e terribili rostri dentati a disposizione, era consigliabile sfidare un pachiderma infuriato.  Riuscire a prevalere contro un intero branco di quei colossi indemoniati era impossibile.
Tutto ciò convinse il piccolo stormo di spectrodattili a rinunciare, e a dileguarsi nel cielo azzurro.
Kim e i suoi protetti poterono tirare un respiro di sollievo.
Nel mentre, la matriarca e le altre due femmine solcavano la verde prateria con veloci falcate senza mai perdere di vista il grande volatile con la sua preda. I due dragon-sauri lo tallonavano da vicino.
La tattica difensiva della coppia inseguitrice aveva impedito che la belva cannibale si alzasse in quota e che si dileguasse tra le nuvole.  Lo spectrodattilo era costretto a volare a pochi metri dal suolo, senza riuscire ad alzarsi, perché la mole dei due draghi glielo impediva.
Tuttavia, l’enorme cannibale, pressato dalla grande ingordigia, diede fondo a tutta la sua energia aumentando il battito delle ali. Evidentemente non vedeva l’ora di cominciare il tragico banchetto.                
        

Anche le femmine di mammut aumentarono l’andatura, spinte dal timore di distanziare troppo il volatile e vederlo poi sparire tra le nuvole. 
Il mostro, invece, si rese conto che la piccola preda gli stava costando troppo cara e forse di non avere che poche alternative. O fermarsi e combattere, e ciò non era possibile con la vittima ancora appesa al rostro, o rinunciare, lasciandola cadere e sperare così di fuggire lui stesso alla cattura.  Vistosi ormai perduto lo spectrodattilo decise per la seconda opzione e, spalancate le fauci, lasciò precipitare il piccolo.
Nessuno tra gli inseguitori si aspettava quel tragico epilogo. In quel momento, un silenzio terrificante scese sulla prateria.
Nella folle rincorsa, sia i draghi che i cavalieri rimasero sconcertati da quella mossa imprevista. Il bambino stava precipitando urlando tutto il suo terrore, e loro erano troppo lontani per riuscire ad afferrarlo al volo.
Furono i grandi pachidermi che reagirono d’istinto alla nuova situazione di pericolo e quello che avvenne subito dopo lasciò letteralmente basiti gli altri difensori. 
Dimostrando una grande intelligenza e un intuito straordinario, le femmine di mammut individuarono all’istante la zona della caduta e si disposero in cerchio. Quindi, infilzarono   le gigantesche zanne nel terreno sollevando grosse zolle di terreno erboso, che vi rimase incastrato. Poi, le femmine incrociarono le zanne, formando una sorta di culla soffice che avrebbe attutito l’impatto del corpicino in caduta.
Certo, sussisteva sempre il rischio che il piccolo rimanesse infilzato, ma in quel momento, non vi era valida alternativa.  I Guerrieri Alati seguirono il breve volo del corpicino con apprensione, e furono proprio le zanne della femmina dominante ad accogliere, come in un abbraccio affettuoso, il corpicino del bimbo svenuto.
I barriti, i ruggiti e le urla umane, che si alzarono a salutare il grande gesto, furono di gioia immensa.


14


Nella zona del raduno, l’inferno di fuoco e di sangue durò per alcune ore.
I nemici sembravano imbattibili con i spectrodattili che davano del filo da torcere ai pur valorosi sauri alati.
Ci furono momenti in cui il Comandante Supremo temette per la sorte del suo esercito. In modo particolare quando Gorn rimase ferito dagli artigli di un mostro alato e mancò solo un soffio che venisse strappato via dalla sella. In quell’attimo le sue truppe, privi della guida e dell’esempio del capo, sbandarono e mancò davvero poco che venissero sopraffatti.
Tuttavia, i guerrieri erano addestrati in modo egregio e grazie al luogotenente di Gorn, che subentrò al comando, le file si ricompattarono, il generale venne soccorso e poté poi ristabilire il giusto equilibrio per continuare lo scontro.
Poi, così com’era cominciato, lo sterminio di uomini e di animali terminò.
L’esercito del comandante Nehk quel giorno aveva prevalso. Ma a quale prezzo? I nemici ormai decimati fuggivano svanendo dalla visuale nel cielo. Quella vista rallegrò tutti, ma poi, i superstiti si guardarono sbigottiti intorno e   una scena apocalittica si presentò ai loro occhi. Quanti morti, quanti feriti! Innumerevoli volute di fumo si alzavano dai piccoli incendi scoppiati nella pianura, mentre una montagna di corpi giganteschi era disseminata su tutta la radura. Tra loro anche i corpi esanimi dei cavalieri caduti durante la cruenta battaglia.



Nehk e Gorn sostavano fianco a fianco, mentre esaminavano il risultato di quella guerra di cui non erano chiari nemmeno gli esatti motivi.
«Ma esiste una reale motivazione che giustifichi un simile scempio?» domandò Nehk all’amico fidato.
Gorn osservò il pallore estremo e la tensione del viso del suo comandante. Si era trattato di una prova estenuante per ognuno di loro, ma forse sulle spalle del loro capo gravava ancor di più la responsabilità di quella tragedia.
«La libertà, Nehk! Pensa al rischio che avrebbe corso la nostra gente se non avessimo combattuto e vinto. Il fatto che abbiamo lottato per la libertà del nostro popolo, forse, ci potrà essere di conforto.»
Nehk sospirò e fu grato a quel guerriero forte e fiero che dimostrava sempre enorme saggezza.
«Forse hai ragione, amico mio. Ma questo non allevia l’enorme rammarico per le perdite subite. Ora non rimane altro che il triste compito di rendere onore alle vittime»
Non c’era tempo di comporre le salme a una a una, ma sicuramente, al suo ritorno, la Grande Sharez avrebbe officiato un rito onorevole per gli eroi che avevano sacrificato la vita per il loro popolo.
E di gesti eroici, quel giorno i guerrieri ne avevano visti molti, anche da parte dei loro animali.
I dragon-sauri, e gli stregon-sauri si erano battuti valorosamente, a volte mettendo a repentaglio anche la propria vita per salvare quella del loro cavaliere o condottiero, dalle fauci cannibali.
E ora, per il momento, era finita. Avevano vinto la grande battaglia. Ancora non sapevano quale sarebbe stato il loro destino. Non sapevano se ci sarebbe stato un nuovo scontro, e quando questo sarebbe avvenuto, ma di sicuro il nemico li avrebbe trovati di nuovo pronti e determinati a difendere con tutte le loro energie il futuro dei loro figli e la pace.
Nehk ricevette la richiesta di soccorso della Sharez mentre era occupato con i luogotenenti a preparare nuove strategie difensive anche se le sorti della guerra si erano rivolte a favore dei popoli pacifici e ormai erano più da considerarsi scaramucce, poiché il nemico sembrava aver perso la risolutezza iniziale.
Ascoltò il messaggero, quindi dispose la partenza immediata, e dati ordini precisi al Comandante Gorn, con una ventina di Guerrieri Alati si alzò in volo.
Erano tutti animati da una grande smania di arrivare al più presto sul luogo dell’attacco e sollecitati da una collera profonda verso quegli orripilanti volatili.
Kildover guidava lo stormo dei soccorritori con una lena incredibile.
Ci misero pochissimo a coprire la distanza che li separava dal gruppo sulle piroghe, e quando arrivarono, una scena incredibile apparve ai loro occhi.
Nella radura che si estendeva lungo le sponde del fiume, c’era un branco di mammut che attorniavano il cerchio formato dagli stregon-sauri, a difesa del numeroso gruppo di fuggitivi.
Nehk riconobbe dall’alto i lunghi capelli neri della Sharez e col suo drago si apprestò a scendere.
La femmina di mammut, invece, aveva seguito con apprensione la comparsa dei nuovi arrivati, stagliatisi improvvisamente nell’azzurro del cielo, ma quando riconobbe il nobile Kildover, un alto barrito di saluto si alzò sulla prateria.
Tra le due specie correvano buoni rapporti di amicizia e il drago rispose al saluto della matriarca muovendo le grandi ali.
Nehk si liberò dell’imbragatura e s’affrettò a raggiungere la donna sciamano.
Il viso di Kim era stanco e tirato e dimostrava tutta la tensione dovuta al difficoltoso viaggio, ma s’illuminò di una luce particolare quando riconobbe il giovane comandante.
«Sono con te Sharez!» la salutarono riverenti Nehk e Kildover.
«Sono con te guerriero! E con te, Saggio Alato! Felice di rivedervi. Mi dispiace soltanto di avervi fatto preoccupare senza motivo. Come puoi constatare il pericolo ormai è passato.»
«Ne sono felice! Del resto, ora potete far ritorno all’accampamento. L’esercito è riuscito a sventare l’attacco del nemico e come puoi ben intuire, in infermeria c’è molto bisogno del tuo intervento. Volerai con me, e durante il viaggio avrai modo di rivelarmi tutti i particolari di quanto è avvenuto.»
«Farò come tu desideri, comandante! Ma lascia che saluti la matriarca e il suo branco, senza il loro aiuto non ce l’avremmo mai fatta. Dobbiamo essere grati a quella specie amica, e appena torneremo, offriremo in loro nome il grande rito di Ringraziamento.»
«E così sarà!» le promise lui con determinazione, mentre si avvicinavano ai mammut per il commiato.                                                                       

15

La sera dopo, al   raduno, vennero approntati dei grandi falò nel centro dell’accampamento.
Furono raggruppati i tamburi e i corni che avrebbero rallegrato l’atmosfera con ritmi e melodie gli animi dei presenti.
La gente avrebbe intonato i canti di guerra e della vittoria. E avrebbe danzato attorno ai fuochi, guidati dalla Grande Sharez in persona. La giovane sacerdotessa avrebbe compiuto un rito propiziatorio, pregando gli dei di volgere i loro occhi benevoli sui popoli costretti alla difesa.
Si preannunciava fosse una grande festa che avrebbe visto riuniti tutti, grandi e piccoli.  Il nemico, se fosse stato in ascolto, avrebbe avvertito l’unione e la forza dei popoli pacifici, e ne sarebbe rimasto intimidito.
Appena il sole scese sulla linea dell’orizzonte si accesero i falò, e i corni suonarono, dando il segnale che dava inizio alla serata.
Kim aveva indossato le Sacre Vesti.  Aiutata dalle donne, aveva acconciato i lunghi capelli con una pettinatura particolare che metteva in risalto la sua avvenenza. Le cingeva la fronte, la Sacra Fusciacca, con i simboli della pace, dipinti con polvere dorata. Il viso, leggermente truccato con pigmenti naturali e con il rosso del papavero sulle labbra, splendeva delicato come una miniatura. Era bellissima e fece il suo ingresso con grazia al centro dell’accampamento in un silenzio irreale.
Uomini, donne e bambini, mostrarono una grande deferenza nei confronti della donna sciamano inchinandosi al suo passaggio.
Ma sul viso della giovane aleggiava una leggera ombra di malinconia. Quella sera Kim avrebbe dovuto conoscere il suo promesso sposo.
I tamburi ripresero a rullare e i corni lanciarono i loro suoni cupi e profondi, mentre faceva il suo ingresso posizionandosi accanto alla Sharez, il Comandante Supremo, il quale, in modo solenne, prese subito la parola:
«Popoli pacifici. Ci siamo riuniti per far salire al cielo le nostre preghiere, i nostri canti e le nostre danze. Ci siamo battuti perché la pace possa tornare a regnare sovrana su queste terre benvolute dagli dei. Alziamo alte le nostre voci, e che il suono dei sacri corni salga nel cielo. Che risuoni a grande distanza   la voce possente dei nostri tamburi, e che si espanda nell’aria su tutta la pianura, fino ad arrivare al nemico, in modo che egli possa avvertire la forza che ci tiene uniti, e che ci accomuna rendendoci fratelli.»
Lo sguardo del Capo Supremo percorse fieramente i visi della sua gente, e dopo pochi attimi di pausa, riprese gravemente:
«Questa è una sera speciale per tutti noi e per me in modo particolare, poiché gli dei mi sono apparsi in sogno e mi hanno indicato la via, suggerendomi il nome della mia dolce sposa!» fece solo una pausa d’effetto, facendo scorrere lo sguardo severo e attento sulla gente che ascoltava, fino a fermarsi con cipiglio e con sfida sul promesso sposo della donna sciamano.
«Ebbene, gli dei mi hanno suggerito il nome della Grande Sharez!»
A quelle ultime parole si alzò un brusio generale, ma il giovane facendo un gesto autoritario, impose il silenzio a tutti gli astanti.
«So bene di contravvenire le leggi del nostro popolo. So bene, che recherei un’offesa grave alle tribù interessate. Tuttavia, so anche bene come voi tutti, che non si può ignorare la volontà degli dei. E sempre che la Sharez acconsenti, mi presento qui davanti a voi tutti, per conquistarmi di diritto la sua mano.»
Nehk si prese un’altra pausa, mentre lanciava uno sguardo interrogativo alla giovane donna.                                                   
                                                         
Lei arrossì e d’istinto fece un passo indietro come se fosse spaventata. Nehk prese quel gesto come un rifiuto e amareggiato e deluso fece per abbandonare il raduno.
Ma la voce limpida e dolcissima di Kim, lo dissuase:
«Se questo è quanto desiderano gli dei, sono pronta a seguire il mio destino.» disse, trattenendo a stento un lieve sorriso.
Nehk riprese coraggio e continuò guardando fisso il suo rivale:
«Lancio perciò la sfida al suo promesso, come esigono le nostre leggi. Se egli raccoglierà la sfida ci batteremo davanti al popolo e davanti agli dei. Il vincitore sarà lo sposo della Sharez.»
La rabbia e l’indignazione erano evidenti nel guerriero appena menzionato. Nehk lo studiò con attenzione, mentre questi stringeva i pugni con tutte le sue forze. I muscoli delle mascelle si contrassero e negli occhi brillò un lampo malvagio mentre, in risposta, proclamava:
«Non importa se sei il Comandante Supremo! Accetto la tua sfida per difendere un mio diritto e il mio onore. Ma a una sola condizione! Il vincitore, oltre alla mano della Sharez.  diventerà il nuovo capo dei popoli pacifici, mentre il perdente si ritirerà in buon ordine senza null’altro pretendere. Accetti?»
Per un attimo, il giovane cavaliere pensò di rifiutare. Che diritto aveva quel guerriero di porre condizioni? Ma poi, Nehk incrociò lo sguardo della ragazza e avvertì il peso di quello di migliaia di persone assiepate intorno a lui.
Non se la sentì di deludere le aspettative della sua gente e, seppur a malincuore, allora acconsentì.
L’altro, forse presagendo la sua vittoria, sogghignò:
«Questa sera il tuo destino si compirà, Nehk dei Guerrieri Alati e i popoli pacifici eleggeranno il loro nuovo condottiero.»
Nehk non si degnò nemmeno di rispondere, ma il pensiero di Kildover lo raggiunse: Stai attento, giovane Nehk. Ho letto una grande determinazione e la malvagità nel cuore di questo guerriero. Costui ricorrerà a ogni trucco per raggiungere i suoi scopi.
“Presterò la massima attenzione. Grazie, Kil.” rispose grato.
Immediatamente gli uomini provvidero a fare largo davanti al grande falò e furono tracciate le righe oltre le quali i due sfidanti non dovevano andare, pena la sconfitta. Furono poi legati loro i polsi sinistri, in modo da non potersi allontanare l’uno dall’altro. Un guerriero gettò alla destra di ognuno un coltello e subito dopo si diede inizio alla sfida.
I due giovani si lanciarono in tuffo contrastandosi entrambi nell’afferrare l’arma. E nessuno dei due riuscì ad appropriarsene.   
Seguì un furioso corpo a corpo, che vide il rivale di Nehk ricorrere ai trucchi più impensati e più vili.
Ci fu un attimo che Nehk rimase persino accecato dalla polvere che l’altro gli aveva gettato all’improvviso negli occhi. Approfittando dell’attimo favorevole, il   guerriero si gettò sul coltello, trascinando l’altro nella caduta. Ma, presentendo il grave pericolo, Nehk scartò di lato con violenza facendo rotolare nella polvere l’avversario. Un bruciore lancinante gli attraversò il fianco destro, seppur di striscio, era stato ferito. L’istinto di sopravvivenza gli diede la forza necessaria per reagire. Grazie agli anni di addestramento, Nehk ignorò il dolore e si rigirò contro l’altro colpendolo ripetutamente con la testa e coi pugni.
Seguirono lunghi minuti di un corpo a corpo furibondo. Essendo le forze dei due guerrieri equivalenti, le sorti del combattimento si alternavano a volte a favore di uno, a volte dell’altro sfidante.
Nehk, a causa della ferita, si trovò in difficoltà, ma, grazie al lungo addestramento seppe superare i momenti difficili.
Infine, grazie a un colpo preciso inferto in punto delicato, l’avversario cadde tramortito.
Un grido di giubilo salutò la vittoria del Comandante Supremo.
Il giovane guardò l’avversario disteso per terra: «Hai due possibilità: andartene e dimenticare di aver fatto parte di questo popolo per sempre o rimanere ma mettendo da parte ogni avversione e proposito di rivalsa.»
L’altro lo guardò fisso negli occhi sollevandosi lentamente da terra. Nehk gli tese una mano e per qualche lungo istante la scena si cristallizzò su quel gesto di pace.
Poi, lo sconfitto accettò l’aiuto e afferrata la mano si sollevò rendendo omaggio con un inchino al Comandante Supremo, tra un grande mormorio di approvazione della folla intorno.
Era stata dura, ma il guerriero aveva vinto la sua sfida. Ora poteva dedicare tutte le attenzioni necessarie alla sua promessa sposa.
Nehk si avvicinò alla giovane guaritrice e lei gli andò incontro porgendogli le mani.  In quel momento il viso dai lineamenti incantevoli era soffuso di un colore rosato. Nehk prese il volto tra le mani e pose un lieve bacio sulla fronte di Kim.
Subito dopo lui la prese per mano e in sella al loro drago si librarono in volo.
In quel momento risuonarono alte le urla d’esultanza dei popoli pacifici.

                                               Fine



                                                                                 

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