Dal Libro RACCONTI E FIABE di Maura Mantellino – Rupe Mutevole Edizioni un dolcissimo racconto

by Anna Maura Mantellino
ARLECCHINA

Arlecchina era una gattina brutta: aveva il mantello che sembrava la tavolozza di un pittore: una macchia nera qua, una macchia rossa là, una macchiolina bianca intorno all’occhio destro, una macchiolina grigia vicino all’orecchio sinistro. Vista dall’alto , quando zampettava per il cortile, sembrava una gatta a strisce, panciuta e un po’ storta. Aveva anche un occhietto chiuso per cui ogni volta che si guardava intorno sembrava che facesse l’occhiolino ed il suo musino assumeva un atteggiamento comico. 
Aveva un’andatura bizzarra: sbandava sempre un po’ a destra e quando correva assomigliava più ad un leprotto ubriaco che ad un gatto. La prima volta che la vecchia signora la vide era febbraio inoltrato; quell’anno aveva fatto molto freddo e la povera gattina avanzava adagio adagio tra la neve per raggiungere il cortile della casa della signora. 
Era molto magra ed affamata, avanzava tra i cumuli di neve in cerca di cibo; dopo aver fatto il giro del cortile si accovacciò ed alzò la testina in cerca di qualche viso o figura umana affacciata al balcone. Ma non c’era nessuno , il freddo era intenso e nessuno si attardava sul balcone. Passarono due o tre giorni ed una mattina , disperata cominciò a miagolare debolmente. 
Aveva notato che verso una certa ora una finestra si apriva e frettolosamente ne usciva una vecchietta. Quella mattina tentò il tutto per tutto e cominciò a miagolare:-“Ehi, io sono qui e fa un freddo gatto!”-. Un pallido viso si affacciò ed un paio d’occhi scrutarono la neve alla ricerca del punto da cui proveniva quel lamento; indugiarono su di lei ed un’esclamazione giunse fino alle sue orecchie:-“Toh! Ma sei proprio brutta!”- Il viso scomparve e per Arlecchina quella frase fu uno
sgarbo bello e buono. -“Bella sarai tu! Ma chi credi di essere! Questi umani! La prima cosa che dicono è ma come sei brutto, come sei strano! E loro non si vedono quanto sono ridicoli?”- Dopo quello sfogo, la gattina decise che in quel cortile non avrebbe messo più zampa. Cosa credevano gli umani , anche se il suo pelo era di tutti i colori, lei discendeva da un’importante famiglia di gatti o almeno così credeva. Fece pochi passi quando sentì un richiamo, alzò la testa e vide di nuovo il viso di quell’antipatica. -“E adesso cosa vuole? Prendermi ancora in giro?”- si domandò. Intanto una pallottolina color rosso scuro volò ed si fermò vicino alla sua zampetta. La gattina annusò, ed esclamò :-“Mica male, mmm”-. Ed effettivamente era un gustosissimo pezzetto di carne cruda. Slurp che festa! Finito il boccone, leccandosi i baffi, piroettò su se stessa e si accoccolò fissando la tipa. Arrivarono altri quattro o cinque pezzetti e Arlecchina dopo un doveroso “Miao” di ringraziamento , si mise a mangiare tranquillamente. Appena finito alzò il musetto goloso, ma non vide più nessuno. Pensò “ Beh , per adesso è andata bene! Almeno un po’ di fame è passata!”. E così si mise in un cantuccio del cortile a dormire. Passarono alcune ore, dovevano essere le due o le tre del pomeriggio quando lo stesso richiamo risuonò nell’aria e lo stesso viso apparve.  Arrivarono altri bocconcini e la gattina dovette ricredersi, va bene quella mattina la Signora era stata poco carina a dirle quella frase , ma poi si era dimostrata molto buona ad uscire con quel freddo per darle da mangiare. Per tutta la settimana , ricevette dalla sua amica cibo due volte al giorno: una volta nelle prime ore del mattino ed un’altra, nelle prime ore del pomeriggio. Poi, un giorno la gatta non si presentò all’appuntamento mattutino in quanto aveva trovato una casa, più asciutta e meno esposta al freddo, sui tetti di una vecchia fabbrica non lontano dal cortile. Ed aveva incontrato un gatto nero, a dire il vero, niente di speciale, un po’ malfermo sulle zampe perché il mese prima era scivolato su una lastra di ghiaccio e si era fatto male alla zampa anteriore destra. Ad Arlecchina il nuovo arrivato era molto simpatico ed infatti passarono una stupenda notte accoccolati uno accanto all’altra nella sua casa sui tetti della fabbrica. Un giorno di tarda primavera riapparve nel cortile , era visibilmente ingrassata e la cosa buffa era il gonfiore al centro del suo corpicino. La vecchia signora la vide arrivare e sorridendo disse-“ Oh sei ritornata , finalmente!”-. La gatta , da qualche giorno, non si sentiva in piena forma, ma ebbe doppia razione di pappa. Ormai l’appuntamento con La Signora delle Rose come era stata soprannominata da Arlecchina, in quanto vi erano delle stupende rose rosse in boccio sul balcone, era quotidiano. Due settimane dopo , un pomeriggio ventoso di fine giugno la gattina si sentì male. Si era nascosta alla vista di tutti e cominciò a lamentarsi; l’anziana signora si affacciò e non vedendola decise di andare in cortile e la trovò in condizioni pietose: la gattina aveva il respiro affannoso e la testina le ciondolava sul petto. Ad un certo punto si sentì sollevare ed adagiare su una specie di pezza morbida ed odorosa di fiori. Non era comunque tranquilla e con le zampine tentava di sfuggire alla stretta della signora. Poco dopo si ritrovò rinchiusa in una specie di scatola di cartone e si sentì trasportata in una cosa odorosa di metallo, di vernice e plastica, accanto a lei era seduta la Signora che armeggiava con strane leve. Oh al diavolo, stava viaggiando su un’auto con una persona a lei quasi sconosciuta. Ma dove la stavano portando? La testa le girava, le orecchie le rimbombavano ed il pancino era un continuo tormento. Si assopì per qualche minuto o così le sembrò. Si svegliò e si ritrovò distesa su una superficie fredda di metallo con accanto la Signora delle Rose e una altro essere umano con un camice bianco che non riconobbe. Sentiva odori strani ed il suo istinto le diceva che doveva alzare al più presto il codino e svignarsela. Ma stanca, cercò con il musino la calda mano della Signora e con la lingua le diede due leccatine. Pensò che della Signora ci si poteva fidare. Si rilassò anche perché il pancino non le faceva più tanto male e si riaddormentò. Si svegliò e sentì la Signora che diceva: “Povera micina , aspettavi i tuoi piccoli ed invece li hai persi!”- Arlecchina non capiva molto, ma il calore, le carezze ed il buon odore che emanava l’anziana la confortarono. I due giorni successivi passarono velocemente, in casa , e la pappa era abbondante. Il ricordo che più le rimase impresso era la dolcezza e la simpatia della Signora. Il terzo giorno, ormai ripresasi, cominciò a gironzolare per l’appartamento, a zampettare sui morbidi cuscini del divano, a fare le fusa , e poi si avviò sul balcone e rivide dall’alto il cortile. Quanta nostalgia, chissà quando sarebbe potuta ritornare a casa sua , sui tetti della vecchia fabbrica. Ma la Signora , come se le avesse letto nel pensiero, le disse -“Domani ti riporto in cortile, ormai avrai voglia della tua libertà!”- Eh sì, non c’era proprio nulla da dire: la Signora era proprio una tipa in zampa!. Il giorno dopo venne riportata in cortile e corse a casa sua. Era stata via quasi una settimana, arrivata a casa incontrò Nerino, il suo compagno di mille avventure, molto angosciato perché per una  settimana non l’aveva vista né aveva avuto sue notizie. Ma appena la vide, le corse incontro, le mordicchiò la punta delle orecchie e le tirò il codino a strisce. Arrivò agosto e le giornate erano caldissime, l’aria pesante ma profumata, il cielo splendente. La gattina passava parecchio tempo a gironzolare nel cortile e la Signora ammirava, ridendo, l’allegria, la vitalità e il buon umore di Arlecchina.  A settembre la gattina decise di far conoscere Nerino alla Signora ed infatti un pomeriggio , nel cortile apparvero due gatti: uno tutto nero ed un po’ zoppino e l’altra di tutti i colori come l’arcobaleno.-“Toh, adesso siete in due; allora vediamo un po’ se anche il tuo amico è affamato come te.”- Nerino, però, anche se il cortile gli piaceva, era molto titubante nei confronti degli umani; anzi a dire il vero non si fidava per nulla. Quella notte , il cielo sembrava un manto tempestato di diamanti, Nerino teneramente cominciò a coccolare la sua compagna e a sussurrarle frasi dolcissime. Il mattino dopo, però i due ebbero una brutta sorpresa: la finestra della Signora era chiusa. Il balcone vuoto eppure la loro amica non aveva detto nulla il giorno prima. Fu così per diversi giorni e per i due gatti fu un periodo orribile. Rimasero a digiuno ma decisero, comunque, di rimanere nel cortile in attesa che la finestra si aprisse. E tanta pazienza fu alla fine premiata in quanto un giorno , di mattino prestissimo, sentirono aprirsi le imposte e videro la loro amica.-“ Oh poverini! Siete rimasti per tutto questo tempo senza pappa, ma ho dovuto assentarmi per qualche giorno. Ma adesso per premio doppia razione di carne!”-. Passarono due mesi e per Nerino ed Arlecchina , ogni giorno era un giorno felice perché la pappa era abbondante e deliziosa ed il cortile tutto per loro. Poco dopo, Arlecchina sparì, Nerino disperato la cercò in ogni luogo, anche la Signora si mise a cercarla. Nerino, disperato, vagò per diversi giorni e notti, andava nei cortili vicini, sui tetti della fabbrica, nei cassonetti dell’immondizia annusando ogni angolo, ogni buco. Ma nulla. Sembrava che la terra avesse inghiottito la sua compagna. Passarono ancora dieci giorni. E poi una mattina si vide da lontano arrivare un po’ barcollante, Arlecchina che teneva stretto tra i denti un batuffolo variopinto. La Signora la  vide e subito si affacciò; una volta giunta sotto il balcone la gatta depositò sul terreno un piccolo esserino e con orgoglio miagolò:-“Visto! Ce l’ho fatta”-.Il piccolo era un piumino soffice, di pochi giorni, ancora con gli occhioni chiusi. Il suo pelo era un arcobaleno dai colori più tenui: bianco, nero grigio , rosa con qualche spruzzatina di rosso scuro. La signora commossa scese in cortile e le disse:-“ Oh piccolina! Sei diventata mamma! Ed il tuo piccino sembra un fiocco natalizio tutto colorato. E’ bellissimo.!” Arlecchina orgogliosissima del suo piccolo, ne fu contenta e quello che la sua amica aveva appena detto, era vero: il pelo del cucciolo sembrava uno di quei bellissimo fiocchi che a Natale adornano i pacchetti dei bambini.-“Fiocco , ecco come lo chiamerò”- si disse. Così Fiocco fece il suo ingresso nel mondo, con i suoi dolcissimi occhioni ed il suo soffice pelo. 

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