9. Una coppa di vino

Sarebbe stato facile: facciamo scendere un fuoco dal cielo? Il metodo di Giacomo e Giovanni non coincideva con quello del Cristo. Volevano annientare quei Samaritani che gli avevano negato l’accoglienza, ma Gesù li aveva fissati, voltandosi, con aria di rimprovero. La questione – sembrava ricordare – non può essere posta in questi termini. La chiave è interiore, è necessario credere, perché il mondo cambi. 
Mi aveva sempre impressionato l’episodio del fico maledetto da Gesù, perché vi aveva trovato solo fiori: che poteva voler dire quel gesto, se non era la stagione dei frutti? Lo avrebbe spiegato poco dopo: avendo fede, si potrebbe dire a un monte di gettarsi in mare, e lo farebbe. Ecco il senso della Porta Santa: se l’anima è aperta, può succedere di tutto, perché non c’è potenza più grande dell’amore. 
Eravamo noi i chiamati al cambiamento: il Santuario si sarebbe rinnovato grazie ai cuori finalmente liberi, in cui il sangue cominciava a rifluire, accendendo la speranza. Lo Spirito sarebbe tornato: sì, lo Spirito di cui Gesù diceva – in quella sera ventosa, a Nicodemo – che nessuno sa di dove viene, né dove va, perché è il dono del Dio delle sorprese, capace di mutare segno ai quarant’anni di storia scritta sulle righe storte del materialismo, dell’interesse contingente, dei traffici ambigui, che avevano ridotto la casa di preghiera a una spelonca di ladri. Cuori nuovi per cambiare il mondo, farne un’epifania chiara del Signore, che interviene nella storia e la trasforma da acqua insipida e incolore in coppa di vino raffinato, come alle nozze di Cana, in Galilea.

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