Il diario della maestra Albertina in San Giuliano

by Radio BBSI di Piercarlo Fabbio LMCA
L’analfabetismo in Alessandria e la coraggiosa missione degli insegnanti elementari. Il caso di Albertina Prato e il suo prezioso diario arrivato fin nel Missouri…
Come ben sapete, ogni tanto la mia libreria mi restituisce qualche libro che mi ero scordato di detenere. In questo caso non pensavo neppure di averlo mai avuto. Eppure, ritrovatolo improvvisamente, ho individuato di averlo anche catalogato al n. 1239 in data 29 dicembre 1990.
A mia discolpa il tempo trascorso, ormai quasi 27 anni! Così ho accolto con estrema contentezza il lavoro di Mauro Remotti sul diario di Albertina Prato, maestra di San Giuliano Nuovo, che è poi stato pubblicato sul nostro libro: “Ritratti dall’Alba – Viaggiatori!”, che sapete quanto deve a LMCA.
In questo caso, però, visto che il libro propone ritratti di alessandrini viaggianti, non è stata la maestra Albertina a muoversi quanto invece il suo diario, intitolato “La mia scuola” che è diventato un caso di studio in un’Università americana nel Missouri-Columbia a cura di Rita Cavigioli. Un diario relativo all’anno scolastico 1894-1895.
La situazione della popolazione italiana in termini di scolarizzazione all’indomani dell’Unità d’Italia era pessima: nel 1861 si contava il 77% di analfabeti; nel ventennio 1880-1900 la situazione era andata fin troppo lentamente migliorando portando gli analfabeti a rimanere ben al di sopra del 50%. Insomma, coloro che non sapevano né leggere, né scrivere erano la maggioranza degli italiani. Se si pensa che nello stesso periodo, nel resto d’Europa, si toccavano a malapena percentuali di analfabetismo fluttuanti tra l’1 e il 19%, posso affermare che nello stivale da poco unito la situazione poteva tranquillamente definirsi drammatica.

Certo, esistevano immani differenze fra Nord e Sud, laddove le percentuali di analfabetismo erano addirittura irriguardose per un Paese che aveva combattuto per la sua unità, ma anche la Scuola, che doveva correggere tale situazione straordinariamente incancrenita, era largamente inadeguata.
Non a caso bisognerà attendere gli anni Venti per registrare una pur graduale e faticosa riduzione dell’analfabetismo ad un quarto della popolazione residente.
Ma mentre Albertina Prato svolge il suo compito in un’angusta stanza di San Giuliano Nuovo, scarsamente illuminata, con banchi insufficienti ad ospitare i 53 suoi allievi in una sezione mista: si sta fino in quattro su banchi da tre con problemi di scrittura, di disciplina e di igiene. Il legislatore dunque poco si era impegnato per finanziare correttamente un servizio pubblico che potesse considerarsi tale.
“La legge Casati del 13 novembre 1859, che fu il codice scolastico per mezzo secolo, cominciò a dichiarare obbligatoria e gratuita l’istruzione elementare, in quanto addossò ai comuni l’obbligo di istituire almeno una scuola di grado inferiore pei fanciulli e un’altra analoga per le fanciulle, e impose ai genitori il dovere di mandarvi regolarmente i loro figli. (…) più un principio teorico che una norma suffragata da disposizioni che ne garantissero l’efficacia. Mancava la sanzione: sicché la legge, trascurata dai sindaci e dalle autorità scolastiche, rimase lettera morta.”
Poi “si provvide con la legge Coppino del 15 luglio 1877, che estese a tutte le provincie la legge Casati e sancì l’obbligo dell’istruzione elementare inferiore (comprendente tre classi) per tutti i fanciulli dai sei ai nove anni, stabilendo che i genitori inadempienti fossero ammoniti e successivamente puniti con ammenda. Passo inizialmente buono, ma non seguito, per aver valore, da altri più decisi.
Il regolamento stesso che il Coppino annunziava, inteso a disciplinare l’applicazione e la riscossione dell’ammenda, non uscì che trent’anni dopo. E furono anni in cui, nonostante i tentativi di riforme studiate e non mai potute condurre in porto da vari ministri, l’istruzione obbligatoria fu lasciata in balia di sé stessa o meglio dei comuni, che, tranne i maggiori, non se ne diedero pensiero.
In molti, o per indifferenza, o pel disordine dello stato civile e dell’anagrafe, non si ebbe premura di compilare gli elenchi degli obbligati; e quando, in base alla loro compilazione, venivano redatte dai maestri le note degli alunni iscritti ma non frequentanti, non se ne tenne conto.” (da Treccani, Enciclopedia)
In questo clima sociale e legislativo nasce il diario di Albertina Prato, che viene diligentemente compilato e poi consegnato il 30 ottobre 1895 all’Illustrissimo Signor Fortunato avv. Enrico, Sindaco di Alessandria. Ulteriore dimostrazione, ve ne fosse ancora bisogno, che in prima fila per l’istruzione elementare sono i Comuni a combattere la loro battaglia. Alcuni anni dopo – ma ne ho parlato tempo fa – il Comune di Alessandria iscriveva nel suo bilancio crediti vantati verso lo Stato, a rimborso delle spese effettuate per condurre l’attività scolastica di base. Rimborsi che, ovviamente, non vennero mai versati nelle casse comunali.
Enrico Fortunato era diventato sindaco proprio nel giugno 1895 e rimase alla guida di Palazzo Rosso fino al 1899: Liberale di nuova impronta era nato nel 1851, ma essendo figlio di operai difficilmente avrebbe potuto continuare gli studi. Ma furono i buoni uffici del suo maestro elementare a convincere i genitori a finanziare la frequenza alle scuole superiori. Probabilmente questo snodo della propria vita, che lo portò fino alla laurea in giurisprudenza a Torino, favorì l’adesione alle considerazioni svolte dalla maestra di San Giuliano Nuovo.
Del resto il Sindaco Fortunato si era anche occupato da vicino dell’infanzia. Per molti anni fu a capo dell’ente che gestiva gli asili di Alessandria e fondò l’ospedaletto. Per queste opere gli venne più semplice condurre un’azione politica di apertura verso il mondo cattolico, che proprio in quegli anni stava svolgendo importanti iniziative umanitarie con i Salesiani, Casa Sappa, Teresa Grillo Michel.
Torno al “Diario”, perché è assai interessante verificare in quali condizioni si tentava di combattere l’analfabetismo nelle campagne alessandrine, tra necessità familiari legate al ciclo della coltura della terra e scarsa propensione dei genitori di consentire che braccia utili al lavoro rimanessero inoperose tra i banchi di scuola. Fin che il “generale” Inverno si dava da fare, le assenze erano meno strategiche, ma appena la vita dei campi riprendeva, le presenze si registravano “a sbalzi”. Leggo direttamente dal diario:
“9 marzo. Negli anni passati in sui primi di Marzo alcuni fra gli alunni già avevano abbandonata la scuola, ed altri la frequentavano dirò così a sbalzi, dovendo prestare il loro aiuto ai parenti nei lavori di campagna, o avendo da rimanere a casa presso ai fratelli e alle sorelle più piccoli. Quest’anno invece il freddo si fa ancora vivamente sentire; un altro strato di neve copre ancora tutta la campagna, e tutti rimangono come nel mese di Gennaio, chiusi nelle lo stalle, e così anche gli alunni frequentano ancora tutti la scuola.”
Albertina però sa che la tregua è del tutto temporanea. Ringrazia il tempo sfavorevole alla campagna e così potrà dedicarsi alle sillabe composte e alla lettura corrente, prima che le assenze prolungate minino la sua possibilità di insegnamento.
E invidia quei maestri che, magari in città, non debbono maledire l’arrivo della Primavera e perdere così gli alunni più bravi, quelli più volenterosi, quelli che agli esami sarebbero tranquillamente promossi.
Ma c’è un altro aspetto che mi preme considerare. Nonostante lo sforzo che la maestra conduce per insegnare l’italiano, la lingua per potersi intendere meglio è il dialetto. È una scuola bilingue, dunque, quella elementare di San Giuliano Nuovo. Lo rivela la stessa Albertina. Leggiamola:
“22 ottobre 1894. Primo giorno di scuola.(…) Così giungono le nove e mezza, ora in cui cessa l’ingresso, ed allora felice proprio di ritrovarmi tra tanti bimbi quasi tutti a me sconosciuti fino a quel momento, e a me affidati,  sorridente cominciò l’opera mia!
Assegno a ciascuno il posto nel banco, parlo a tutti affabilmente, amorevolmente, usando sempre il dialetto, il dialetto s’intende, parlato da essi, e dico loro mille e mille cose belle. Le parole mi fioriscono sul labbro, e l’animo riprova una soave dolcezza, un gaudio, una festa che altrove mai non sa ritrovare”.
È logico che il metodo didattico della Maestra Prato non è quello della verga e del maestro distaccato ed insensibile ai casi dei propri alunni. Somiglia molto più al “Romanzo di un maestro” di Edmondo De Amicis, che è un po’ il contraltare del più famoso “Cuore” e che ha caratteri di forte impegno pedagogico. Non a caso la maestra si sofferma a spiegare perché, anziché rimanere immobile dietro la cattedra, preferisca girare tra i banchi e tenere con i suoi alunni un clima più da salotto che da conferenza. Non è solo un problema di controllo e di disciplina, ma di avvicinamento anche fisico alle loro esigenze reali.
Ma vi sono episodi, nel diario di Albertina, che a “Cuore” lo fanno avvicinare non poco. Prima o poi ne proporrò qualcuno.
Piercarlo Fabbio
Dalla trasmissione di Radio BBSI: La mia cara Alessandria 204_247 BBSI 21 marzo 2017

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