La “cagata pazzesca” in prima serata Mediaset… Corazzata Potemkin e Ottobre di Ejzenstejn su Iris, Nuccio Lodato
La “cagata pazzesca” in prima serata Mediaset… Corazzata Potemkin e Ottobre di Ejzenstejn su Iris il 26 ottobre
Nuccio Lodato Alessandria
Quest’autunno ’17 vede stampa cartacea, tv e media vari impegnati nella duplice rievocazione centenaria della Rivoluzione d’Ottobre che iniziò la mutazione, nel giro di un quinquennio, della Santa Madre Russia in Unione Sovietica, e della catastrofe di Caporetto che rischiò per l’Italia un ben diverso esito della prima guerra mondiale.
Sono andati a gara nelle ricostruzioni e nelle indagini i quotidiani. Sul primo tema Ezio Mauro per “Repubblica” ha dato vita a infinite puntate, poi raccolte in volume e addirittura portate in giro in tournée teatrale in corso; “il manifesto” non è stato da meno. Si stanno riempiendo le edicole di libri e libretti “allegati” alle testate, come si diceva un tempo, sull’uno e sull’altro argomento, e la stessa editoria “ufficiale”, quella che subisce ancora le librerie ma anela ormai agli acquisti diretti on line e agli e-books diffusi, non si sta certo tirando indietro- Bisogna poi ammettere che i relativi prodotti si rivelano spesso di eccellente qualità e utilità conoscitiva corrispondente, e concorrono comunque ad arricchire ulteriormente storiche bibliografie, pur non certo carenti in materia. E neppure si tirano indietro i canali storico-documentari del digitale e delle pay tv satellitari e instreaming. Diverso il discorso per i molti indirizzi dell’uno e delle altre dediti all’esclusiva programmazione cinema per ventiquattr’ore giornaliere. Quelli attivi sul terrestre sono sostanzialmente quattro, facendo eccezione di Rai4, specializzata monograficamente in serie. Ma le due americane, Paramount Channel (27) e Cine Sony (55), che pure sarebbero, volendo, molto potenti, in quanto detentrici di libraries notevolissime, preferiscono pattinare sul posto con il minimo sforzo.
La prima mescolando prevalentemente ai lungometraggi la propria ricchezza di serie, un po’ ripetitiva e stucchevole, senza compromettersi troppo; la seconda con una ripetitività interruttiva esasperante e facendo molto ricorso anche a un corrispondente repertorio italiano. Iris (22) e RaiMovie (24) fanno un lavoro diverso ma dispongono di un numero relativamente limitato di film, il che li costringe a discretamente frequenti riproposte degli stessi titoli.
Tornando all’argomento Rivoluzione d’Ottobre, con innegabile stupore, il top delle prestazioni rievocative va comunque riconosciuto, senza tema di smentita, a Iris, il canaleall films di Mediaset, che per la serata di giovedì 26 ottobre annuncia addirittura, uno dietro l’altro, La corazzata Potemkin di Sergej M. Ejzenstejn (1925), e a seguire appena dopoOttobre (1927) dello stesso. Presentandolo negli spot anticipatori come “un evento straordinario che vi lascerà senza parole”.
E ben a ragione, al di là dell’allusione al muto: è una programmazione sensazionale per molteplici ragioni. Innanzitutto, naturalmente, perché proviene da un’area politico-culturale di emittenza che ha costantemente fatto della storica e incontrovertibile allergia italica per “i comunisti” il proprio punto di forza, non solo di audience ma anche di ricaduta elettorale (che si appresta probabilmente a riottenere nei prossimi mesi: si badi alla tambureggiante campagna quotidiana di Rete4 sul tema immigrazione). In subordine perché film del passato, in bianco e nero e addirittura muti, non sono certamente il pane quotidiano di quel palinsesto. In terzo, e non è detto che le ragioni di sorpresa finiscano qui, perché tradizionalmente la prima serata è il punto di forza per la ricerca del consenso numerico, e i canali minori sono adusi schierarvi il film che sperano di maggior richiamo, per contendersi le briciole di ascolto residue rispetto al fiction e varietà proposti dalle cosiddette “reti ammiraglie”, a cominciare dal grande duello giornalmente (anzi, seralmente…) opponente Rai1 a Canale5.
L’occasione è comunque di quelle assolutamente da non perdere, anche se desta preventivo raccapriccio immaginare il montaggio inarrivabile e mai più superato di Ejzenstejn reiteratamente interrotto dalle pesanti e ripetitive “pause” pubblicitarie caratteristiche di Iris come di tutti gli altri canali consimili e concorrenti. Ricordate la veltroniana, velleitaria campagna di trent’anni fa al grido “non si interrompe un’emozione”? Oggi anche il “servizio pubblico” interrompe eccome!
E’ un’occasione straordinaria, forse irripetibile, certo imperdibile, per i moltissimi che, non foss’altro per causa dell’anagrafe, non lo conoscessero ancora, di incontrare uno dei massimi vertici dell’arte tutta quanta del Novecento. Ma anche, e soprattutto, per revocare finalmente la sciagurata, insopportabile quanto irresponsabile scomunica comminata al film dalla celeberrima battuta di Villaggio ne Il secondo tragico Fantozzidiretto da Luciano Salce (1976) su sceneggiatura di Benvenuti e De Bernardi con loro due. Nodo troppo nodo e divulgato per tornarci sopra. Bisognerebbe, parlando dei due film, affiancare con raccapriccio un po’ di filologia del sublime con altrettanta dell’orrido: anche se oggi, per la verità, l’una come l’altra attività sono superflue: basta un rapido giro in rete e tutti possiamo sapere tutto di tutto, o almeno illuderci che sia così. Tenendo anche presente che nel film di Ejzenstejn i fatti storici del 1905 sono rigorosamente rispettati anche nei dettagli, mentre la nomea ideologica stratificatasi grazie a Fantozzi sul classico ha oscurato anche questa possibile consapevolezza, vanificandone la stessa utilità informativo-didattica.
Al di là di questa tristo sebbene inevitabile parallelismo, ci sono due ostacoli grossi come una casa, comunque presenti prima di scoprire: il bianco e nero e il muto. Nel mio passato di insegnante, che proponeva visioni agli studenti (sebbene in misura assai più contenuta di quanto si potrebbe sospettare) ho potuto misurare direttamente l’enormità di questi due ostacoli rispetto alle nuove generazioni di spettatori: l’anatema «ma è vecchio!» veniva coralmente alle labbra delle classi dopo pochissimi minuti -per non dire secondi- di un film non a colori. La proposta organica del “silenzioso” l’ho ardita solo all’università, addirittura interi corsi: ma lì andava meglio, perché… le vittime erano consenzienti, avendo optato spontaneamente per la disciplina. Ho addirittura ottenuto alcune conversioni, qualche bella tesi; una ragazza ne è diventata una specialista internazionale rivolta al Giappone, e parecchi ex-studenti sono ormai frequentatori abituali annuali delle Giornate del Muto a Pordenone e del Cinema Ritrovato a Bologna, i due festival di cinema più belli e seri tra quanti se ne svolgono in Italia.
A ben rifletterci, alcuni atteggiamenti di rifiuto pregiudiziale possono apparire, in superficie, singolari e contraddittori. Pensiamo alle arti visive: i pittori a cavallo fra Otto e Novecento, la temperie di nascita del cinema -impressionisti, divisionisti e via dicendo- producono code interminabili alle mostre, con relative ormai incontenibili proliferazioni insistenti su quei temi; le rassegne retrospettive di grandi fotografi in bianco e nero stanno prendendo piede, mentre la contemporaneità delle arti visive, nelle sue molteplici forme, stenta grandemente a penetrare ed è spesso vittima, prima ancora di incomprensioni, di pregiudizi. Al cinema succede invece esattamente il contrario: non solo ragazzi e giovani, ma anche il pubblico adulto evita sistematicamente quanto realizzato solo l’altro ieri, esigendo sempre e soltanto il fresco di giornata. «Però è vecchio!» non lo senti esclamare soltanto dagli studenti medi cui proponi Roma città aperta o Salvatore Giuliano, ma anche dai “grandi” di fronte a cose più recenti e magari già a colori. Un film dei decenni Settanta, Ottanta, Novanta -comprensibilissimo quanto a snodo narrativo, per carità!- può essere snobbato magari solo perché abbigliamenti, ambientazione, linee delle automobili e modi di vivere rappresentati non sono più quelli odierni. Per il cinema (come già per la stessa fotografia, che peraltro è paradossalmente la prima responsabile della tendenza della pittura a farsi “incomprensibile” al pubblico vasto!) l’involontaria e ineliminabile facoltà di fissare l’istantaneità dell’attimo nello scorrere del tempo -attimo destinato a farsi “storico” come il fluire della vita di tutti noi: il “presente” in quanto tale non esiste, o è comunque inafferrabile, come la frazione di secondo in cui ho appena finito di scrivere questa parola e sto passando alla successiva…- è insieme dono divino e dannazione diabolica.
Per tutte queste ragioni, la prima serata ejzejnstejniana di Iris, pur zavorrata del mortifero carico di pubblicità che riuscirà a più che raddoppiare la dibattuta durata in origine del mitico capolavoro (che varia, a seconda delle molteplici copie circolanti, dall’ora all’ora e un quarto), è di un’assoluta ed eccezionale rarità. Anche se, naturalmente, l’emittente berlusconiana né vuole né può perdere la faccia, soprattutto a poco mesi da elezioni divenute insperatamente promettenti. Così il sito dell’emittente, dopo le schedine delPotemkin e di Ottobre rassicura gli spettatori: «Se, dopo la visione, non vi sarete ancora convinti della maestosità della Corazzata e sarete d’accordo con Fantozzi nell’urlare assieme a lui che “è una cagata pazzesca”, potrete farlo senza nemmeno cambiare canale: il 27 ottobre alle 21, sempre su Iris, torna Il secondo tragico Fantozzi. Non sfregatevi troppo i palmi delle mani: vi serviranno per i 92 minuti di applausi». Tranquilli, insomma: obiettività innanzitutto, par condicio politico-culturale e “verità dei fatti” ristabilite.
elvio bombonato, alessandria in 29 ottobre 2017 alle 15:06 ha detto:
Bravissimo Nuccio. La tua capacità argomentativa ad ampio raggio risulta davvero convincente. Anch’io ho sempre odiato la battuta di Fantozzi. Mi spiego: se riferita ai cineforum in cui il dibattito era obbligatorio, Fantozzi (gli sceneggiatori) ha ragione. Sul film no. Avrebbero dovuto scegliere uin altro film, per esempio quello con Manfredi e Sordi “Riusciranno i nostri eroi” firmato ahimè da Ettore Scola. Acuto il paragone, a me non sarebbe venuto in mente, sulle mostre dei pittori tra la fine dell’800 (detesto il sintagma “a cavallo”: stava nascendo l’automobile, i treni ormai affermati in mezza Europa) e l’inizio del ‘900, soprattutto italiani, Modigliani, Segantini, Morbelli, Pelizza , Carrà, Morandi…,frequentatissime, e i coevi, o di poco successivi, film muti. Anche se condivido il giudizio di Contini (“Diligenza e voluttà” intervista concessa a Ludovica Ripa di Meana in quel di Domodossola 1989, Mondadori, p. 67) che i temi del grande Chaplin risultino oggi datati o retorici: “Charlot mira a qualcosa che è al di fuori dello spettacolo: Il suo spettacolo è quasi sempre politico e, spesso, è grossolanamente politico, e questo incide sulla bellezza, sull’oggettività”. Va detto che il giudizio di Contini è riferito agli ultimi film di Chaplin, perseguitato dai “democratici” USA, perché giudicato comunista.
Un terzo della storia del cinema liquidato con “Però è vecchio”, fa male a chi lo ama. Sono i ritmi e i colori della TV a ucciderla. Un es. i dignitosi telefilm in cui Gino Cervi recita Maigret (Il migliore, a detta di Simenon), RAI, 4 cicli, 17 episodi, oggi sono inguardabili per la lentezza della recitazione e del montaggio. Ma la colpa non è dei telefilm, bensì della diseducazione sistematica portata dalle TV. E poi. come sottolinei tu, il paradosso pirandelliano di chi non sopporta la lentezza e sopporta invece le pause pubblicitarie, relativamente poche nel primo tempo, alluvionali nel secondo. Finisco con un’ambiguità semantica che spero ti piacerà. La bambina di V elementare: “Sono andata con la scuola a vedere la mostra, ma non mi sono spaventata”.
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