Gino il camionista, by Giannunzio Visconti
Gino il camionista, by Giannunzio Visconti
L’indimenticabile uomo che seppe fare della strada un luogo di magia.
Negli anni 60, il boom economico industriale, ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo del trasporto su gomma, con gli anni divenuto sempre più veloce. Le varie ditte si rivolgevano a questi pionieri del trasporto celere sempre con più frequenza. Professionalità, rapidità e convenienza erano i motivi cui il trasporto su gomma si faceva preferire a quello su rotaia. Da ragazzo ho lavorato per diversi anni, presso una grande officina meccanica, dove si provvedeva alla manutenzione e riparazioni di questi Bisonti della strada, essi facevano sosta da noi in tutte le ore della giornata a volte anche per controlli cautelativi.
I camionisti erano tutti simpatici, allegri, carichi di energia e tanto umor, in varie occasioni venivano a trovarci anche durante i momenti di riposo per scambi d’idee e d’opinioni. Per uno di loro ho un particolare ricordo, “Gino capellone ”, che per me è stato un autentico maestro di vita, ed è a lui che dedico questo capitolo. Notando il mio interesse nel suo lavoro, un giorno capellone mi disse: caro Giorgio, questo è un lavoro molto impegnativo, si vive fianco a fianco alla solitudine e quando si è soli in questi viaggi dove le distanze sembrano non esistere, la mente si riempie di pensieri che aprono a una riflessione gigantesca sul senso della vita e sulla gratificazione che possono scaturire dagli avvenimenti più semplici.
Lo sguardo rivolto a questi percorsi già segnati, a queste aride strade prive di emozioni, potrebbero portare noi protagonisti di questa dimensione nello sconforto e nella malinconia perenne. Il rischio di non farcela si annida proprio su gli accenti psicologici e non sulla fatica materiale, questo voglio raccontarti, desidero dirti a te che hai la forza della giovinezza, poni sempre il pensiero al di sopra di tutto, perché solo attraverso la lungimiranza, una visione di ciò che siamo, di ciò che vorremmo essere, si riesce ad affrontare tutti gli ostacoli che la vita ci pone.
E’ lì la forza, questo ho compreso in questi lunghi anni di solitaria meditazione e senza questa consapevolezza non sarei riuscito a sopportare il dolore, la mestizia, il silenzio. Nel silenzio c’è tutta la capacità dell’uomo di ritrovare se stesso, lo stimolo a trovare la pace interiore. Non si può vivere nel frastuono, i rumori confondono le idee e portano l’uomo nella direzione sbagliata, vivere la solitudine e il silenzio appaga e rende l’uomo coraggioso e più libero.
Ti dico queste cose perché in questo momento l’istinto mi spinge a parlare, mi è sempre risultato difficile esternare i miei pensieri più remoti, ma avere davanti un giovane mi rende disarmato e trasparente. La vera forza dell’uomo è la giovinezza, quello è il momento in cui si è veramente vivi, il momento delle scelte che non puoi più cambiare, mi giova dirti un altro pensiero che sovente mi attraversa la mente, non inseguire mai i beni materiali, cerca di coltivare la dignità, di ricercare la verità nelle piccole cose. L’uomo nella natura, è l’unico elemento che stona perché offende con le proprie azioni la sua perfezione, per questo dovrebbe limitarsi a inseguire il sogno della felicità e lasciare la brama dei beni materiali, perché gli stessi non sono di nessuno, appartengono solo allo scorrere del tempo. Giorgio, questo è un lavoro duro, però se lo ami ne resti affascinato. Se lo odi, lo eviti, oppure vai avanti con i suoi alti e bassi e anche in quei giorni che ti viene da dire: ma chi me lo fa fare, si è costretti purtroppo a continuare, nella speranza di un futuro migliore, e poi ricordati che ogni pagnotta ha la sua crosta da rosicchiare!
Se è il camionista quello che ti senti di fare veramente, fallo, ma non dimenticare che non dovrai mai sentirti come uno che si accontenta, dovrai dare a questa scelta il valore che merita, perché ha un grande valore, quello di essere un’arte che è difficile da apprendere. Nella vita può succedere di fare scelte sbagliate ma se non si prova, non si può sapere!
Molto spesso i genitori riversano le proprie attese sui figli, il più delle volte senza pensare a ciò che i figli desiderano veramente. Mi sento perciò in dovere di dirti che, la prospettiva di salire su di un camion non è delle migliori, almeno che tu non l'abbia proprio nel sangue! Gino, sovente sosteneva che per la maggior parte dei camionisti, l’autotreno e la loro donna sono al primo posto ma per lui fare il camionista non era solo una passione ma anche un modus vivendi, una parte di sé.
Egli asseriva che le madri e le mogli di chi svolge la professione di autotrasportatore sono delle vere “sante” perché li sopportano e incoraggiano ad affrontare quel duro lavoro d’indomito padrone della strada.
Aveva una grande stima di quelle donne che svolgevano un lavoro apparentemente oscuro, ma in realtà molto qualificante, come la gestione della casa e l’educazione dei piccoli. Camionisti, grandi lavoratori!
Le loro mogli e mamme, grandi donne!
Questo era il motto arguto di “Gino capellone”. Amava i motori, prediligeva la strada come rappresentazione che gli era propria, quella che appartiene solo agli uomini coraggiosi, infatti, nonostante la fatica fosse sempre dentro le sue azioni, riusciva a compiere imprese impossibili ai più, giacché nella sua anima albergava qualcosa d’indecifrabile non immediatamente percepibile, chi aveva avuto modo di conoscerlo capiva di cosa si trattava. Quell’uomo bruno fascinoso, di origine contadina portava con sé una passione sfrenata per la vita, per l’amore, per la continua sete di conoscenza. E la storia insegna che le passioni non si possono sconfiggere, non si possono soffocare dietro il qualunquismo del momento storico. Nella vita, anche un sussulto, una parola, può scuotere la coscienza, quando dichiara la verità.
Lui era di questa razza, nella semplicità della sua vita, dal suo mestiere riusciva a trasmettere ideali senza tempo, tutti quelli che sapevano cogliere quei valori che uscivano dai suoi sguardi, dalle sue parole, dalla sua fierezza, restavano affascinati. Incredibilmente umile ma dotato di una grandezza sconfinata per gli uomini che credono al lavoro come momento di altissima dignità. Lui portava avanti questi insegnamenti in modo quasi oscuro perché aveva una profonda discrezione dentro di sé, che lo induceva, a essere poco propenso alla licenziosa libertà che molto spesso, sono le direttrici in cui viaggiano tutte le persone che si muovono alla ricerca disperata dei beni materiali. Sotto questo profilo era l’emblema di un cavaliere solitario, di un intrepido viaggiatore che rispettava le persone, come si rispetta l’amore per le genti di questo mondo, amore spesso dimenticato, ma che sottende una ricchezza morale e un grande spirito di solidarietà. Gino il camionista detto “capellone”, era orgoglioso della sua creatura che sfrecciava come il vento; quando entrava in galleria con giù il finestrino e, l'acceleratore *a tavoletta, era felice d’ascoltare il ruggito del potente motore, equipaggiato di *marmitta artigianale, elaborata.
Per non parlare del suo compiacimento nel ripartire da fermo con il suo autotreno calando tutte le marce, con espressione di comando, nel sentire lo spurgo aria- frizione, con folata di gasolio provenire dall’anima del motore (che appestava l’aria circostante ); questo era il suo mondo di passione. A quell’epoca, molti camionisti avevano un unico miraggio: la voglia di vivere un sogno; che in ogni viaggio ci fosse un’emozione infinita, tra confort, bellezza e affidabilità del loro mezzo, ed era allora che Gino capellone sognava solo di aver bisogno di un nuovo autoarticolato, ancora più potente, con un rimbombo che esaltasse in maniera maggiore il suo prestigio. E’ stato un autotrasportatore preciso e rispettoso della segnaletica.
Diceva spesso che i camionisti hanno dentro di sé l’amore della strada, l’amore per l’asfalto, nessun posto, nessun pezzo di territorio sfugge alla loro cognizione. In essi alberga la storia di un mondo dove tutto é in movimento, tutto gira intorno alla presenza degli uomini. Sembrerà strano, ma qual é, dove si annida una conoscenza così del territorio, di profumi della campagna, di visione delle città, se non nell’anima più remota dei camionisti? Enciclopedici conoscitori dei percorsi infidi e pericolosi, non hanno mai assunto un atteggiamento egoistico, in ogni comportamento, in ogni azione c’era una volontà manifesta di porsi a disposizione in qualsiasi situazione di disagio e di pericolo in cui si potevano trovare tutte le persone in viaggio nelle strade del mondo. Pur essendo magro, era piuttosto impacciato nello scendere dal mezzo, a causa del suo modo di vestire stile country – rock. In effetti era solito portare un enorme cinturone in cuoio sormontato da un’altrettanta sproporzionata fibbia in argento massiccio, modello Mustang, dei blue-jeans fascianti che gli osteggiavano i movimenti, e degli stupendi stivali stile far west, in pelle di serpente, di cui non si separava mai nemmeno di notte.
L’attore – cantante Elvis Presley somigliava a Gino, stessa pettinatura, stesso abbigliamento, stesso stile di vita, considerando che Elvis in gioventù aveva fatto lo stesso lavoro di Gino cioè il camionista, e forse proprio per questo Capellone lo emulava nello stile.
Aveva un aspetto da giovane romantico, un po’ sofferto dalle lunghe ore di guida ma sempre raffinato.
Con il suo modo armonioso di camminare, rappresentava degnamente la categoria degli autotrasportatori, anche se disapprovato e invidiato da alcuni di loro, perché uomo straordinario. Una volta una bellissima donna disse di Lui: sicuramente Gino è il camionista più popolare e su questo non ci piove, però lasciatemelo dire a caratteri cubitali che è il più bello che sia mai esistito!
Quando era in sosta nei parcheggi ed era costretto a lasciare incustodito il mezzo, per evitare che eventuali malfattori s’introducessero in cabina per asportare oggetti, esponeva sempre il seguente cartello “attenzione autotreno difeso da cane da guardia aggressivo e spietato, addestrato a uccidere, non introdursi nella cabina ”, grazie a questo escamotage non aveva mai subito danni o furti. Povero Attila (questo era il nome del cane), non era per niente quello descritto nel cartello, come un terribile, feroce, crudele assassino, ma si trattava di un piccolo ibrido, zoppo e malandato cagnolino, sveglio nell’intelligenza, da lui trovato abbandonato su di un ciglio della strada. A seguito di visita specialistica presso la Commissione Medica Locale, cui i camionisti si devono sottoporre ogni anno, fu dichiarato inidoneo, a guidare autoarticolati. Un grande shock per lui, il vedersi ridimensionare la categoria di guida, proprio adesso che finalmente aveva ultimato di pagare le cambiali, era terminata la “sua epoca”; gli suonava davvero ingiusto adattarsi a condurre una semplice motrice per trasporti locali: una vera disfatta per il ruolo mitico che aveva rivestito e che lo aveva reso noto, regalandogli elogi e soddisfazioni che solo il suo compagno di viaggio, Attila, poteva forse comprendere. Lui che aveva fatto epoca, il suo mito non poteva dissolversi come neve al sole. Quegli incontri che mai programmava, ma che finirono con il tempo per essere quasi consuetudinari, ora avevano fine. Tutti lo conoscevano: dai ristoranti, dove sovente si fermava a pranzo e cena, a tutto il personale delle fabbriche, comprese moltissime donne di cui era stato l’idolo di tanti sogni proibiti. Avrebbe voluto salutare tutti per un’ultima volta, ma ciò non fu possibile, la declassazione della patente aveva effetto immediato. Le vicissitudini esistenziali lo segnarono profondamente, perché era stato un uomo che aveva oltrepassato la soglia delle proprie possibilità, ma deluso e amareggiato dagli irriconoscenti apparati burocratici. Quando dentro l’anima alberga l’odore di motori, il desiderio strisciante di calpestare le strade di ogni luogo si fa più forte. Lui non era solo un camionista.
A mio parere era qualcosa di più, tenace, istintivo, altruista, con la passione sconvolgente per la strada, per gli autoarticolati e per i paesaggi che incontrava nei lunghi viaggi.
Da un lato, questi talenti fecero sì che diventasse saggio, in modo da essere prodigo d’insegnamento per noi giovani, fragili creature prossime agli scontri, agli ostacoli della vita.
Dall’altro una passione così smisurata lo divorava dentro, gli toglieva il respiro della curiosità di cercare. Lui non avrebbe mai potuto immaginarsi senza il suo * “bilico ”, emblema del lavoro e della volontà di conoscere mondi diversi. Un camionista così temerario, così appassionato della corsa solitaria per le strade, a volte sorde, aride e sterminate, che sembrano non finire mai, non può crollare dinanzi a nessuna avversità, tantomeno a un diniego amministrativo, freddo e immeritato. Queste piccole iniquità sono acqua fresca per gentili nobili guerrieri, che ogni giorno sfidano se stessi lungo le strade, per evitare scenari distruttivi, dove la vita umana può essere messa a repentaglio. Una responsabilità che ogni camionista si porta nel cuore, nel cervello, a volte questo tarlo ti toglie il sonno, ma dentro genera le basi per essere degli uomini migliori. Gino era un uomo di questa tempra, uno che non si arrendeva, ed era solito parlare anche dei colleghi. Lui quando esprimeva delle lodi, non lo faceva per sé, ma aveva in cuore le sorti coraggiose dei suoi amici camionisti. Consapevole dei loro disagi e delle privazioni, li ammirava, li considerava come dei fratelli e quando poteva, era pronto a fornire consigli e aiuti di qualsiasi genere. Non era concentrato sulla sua persona, gli piaceva offrirsi agli altri e avrebbe rinunciato a tutto pur di aiutare un qualsiasi collega autotrasportatore. Diceva spesso: “noi siamo uomini buoni, viviamo sulla strada e per la strada, l’odore dell’asfalto ci entra fin dentro i polmoni e ce lo portiamo addosso senza mai lamentarci, questi sacrifici non sono fini a se stessi, lasciano a ciascuno di noi il bagliore della dignità”.
Nessuno osi mai affermare che noi amanti spudorati dei motori, di quel rumore che ci arriva come il vento in inverno dentro la nostra anima, siamo degli sprovveduti o degli irresponsabili, questo sarebbe ingiusto e deleterio, per quello che siamo pronti a fare e a dare per il bene della società, nonché per la soddisfazione di essere artefici di un mondo più bello. Una persona così idealista, così colma di verità non poteva arenarsi e fermarsi dinanzi alla prepotenza di una legge ingiusta che lo privò di quel documento che gli consentiva di viaggiare con la sua * barra pesante per le vie del mondo.
Da quel giorno, sono tante le voci che si rincorrono su quel camionista filosofo, pioniere di un modo di vivere quella professione, come la più alta e la più nobile di tutte le altre.
Mi piace credere a una di queste storie, quella del vento che in un lontano paese accarezza il volto di Gino alla guida di un dominante mezzo autoarticolato, il più potente che sia mai stato progettato e costruito, sto parlando di un * Road Train. Con una meccanica di altissima precisione, idoneo a percorrere strade adatte quanto a larghezza e sconfinate quanto a lunghezza, per questi enormi Bisonti.
Non è difficile riconoscere i caratteri somatici di Gino, che amava l’Australia e i suoi spazi sconfinati. Mi piace pensare, che alla guida di questo possente mezzo, ci fosse quell’uomo che aveva lasciato l’impronta indelebile nelle menti di tutte quelle persone che lo avevano conosciuto in tutta la sua grandezza, e alle donne che lo avevano desiderato per la sua bellezza, il suo fascino, ma cui lui non si era mai lasciato suggestionare da stimoli personali, perché ancorato a valori forti, come l’amore per la sola donna amata. Non si possono dividere i sentimenti, l’amore non é una porzione che si può frantumare tra mille rigoli, può vivere per una sola donna, quella che ti appartiene nei pensieri. Una persona così non può scomparire, non si potrà mai offuscare, farà parte dei ricordi di ognuno di noi, di quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerne le gesta.
Non si può non credere che su quelle strade australiane, su quel mezzo agognato da sempre, non ci sia lui, a percorrere quelle strade infinite che lo faranno vivere per sempre nel nome di Gino Capellone.
Glossario
* marmitta di scarico artigianale elaborata:
Il silenziatore o marmitta, era realizzata artigianalmente con due bombole di gas da cucina di kg 10, svuotate del loro contenuto di Gpl, poi private del fondo - base.
Saldate tra loro nella base formavano un unico elemento a mò di siluro, dando così origine a un silenziatore modificato, mancante al loro interno di anima metallica, atta ad attutire i rumori e i fumi d’accelerazione del motore, rendendo così il veicolo rimbombo. I fumi di scarico, non trovando ostacolo, davano al motore maggiore sfogo e potenza d’accelerazione.
* tavoletta: accelerare al massimo.
* bilico: La motrice è quella parte del camion, dove sta il camionista per guidare, a volte provvista anche di letto per dormire, il bilico è tutta la parte dietro agganciata alla motrice, dove si carica la merce.
* barra pesante: Autotreno.
* I road train: Sono automezzi formati da un trattore stradale che traina tre o più semirimorchi.


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