Incontro di fabrizio centofanti


Certe volte era tentato di dirgliene quattro: si faceva un film con le parole giuste, i gesti adeguati, l'intonazione perfettamente consona al momento. 
Si guardava allo specchio, faceva le facce, era quasi tentato di prendere con forza, per un braccio, la sua immagine riflessa. 
Sì, sarebbe stato il gesto decisivo, quello che scioglie i nodi più intricati, che arriva alla fine di una lunga, infinita incomprensione: tutto sembra perduto quando, a un tratto, ecco che il volto si illumina, il corpo si protende, l'anima si affaccia sulle labbra per spingersi fuori, in un assalto fermo e irresistibile. 
Nessuno l'avrebbe fermato, l'impeto avrebbe sbaragliato le ultime, fioche resistenze, e tutto, all'improvviso, sarebbe apparso diverso: il cielo estivo, il gatto sdraiato sulla panca, il manifesto del concerto di Bach, con il coro del duomo.
Il giorno in cui s'incontrarono, non accadde nulla: ognuno pronunciò le solite parole, disegnò gli stessi gesti nell'aria, riprodusse in modo meccanico le pause, le smorfie, l'andirivieni delle mani.
Ma qualcosa era cambiato: le prove allo specchio non avevano raggiunto il suo interlocutore, ma avevano toccato lui, cambiando per sempre il cielo d'estate, il gatto sulla panca, il concerto di Bach e qualsiasi altro segno di vita sulla Terra.

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