Noi, vittime della rete colabrodo

CARLO PETRINI
In questa estate 2017 l’Italia si scopre assetata. Da Nord a Sud le campagne sono secche, i fiumi asciutti e le colture soffrono insieme ai cittadini che si trovano di fronte al razionamento dell’acqua o alla sua prospettiva (basti pensare al caso di Roma). Colpa di un’annata straordinariamente arida? Solo in parte. Da un lato siamo di fronte a una congiuntura climatica non comune.  
Dall’altro vale la pena di approfondire il discorso per esaminare quelli che sono gli effetti di un cambiamento duraturo e accentuato dei cicli climatici, nel nostro Paese come nel mondo intero. L’innalzamento delle temperature medie, l’anomalo andamento delle precipitazioni e il progressivo e molto rapido scioglimento dei ghiacciai stanno definendo uno scenario che nel futuro non promette nulla di buono, specialmente dal punto di vista delle risorse idriche. Vale anche la pena di ricordare che, se noi in Italia «cadiamo dal pero» dopo un periodo poco piovoso, ci sono aree del pianeta in cui la scarsità di acqua genera già oggi quotidiane tensioni, violenze e migrazioni.


Tornando all’Italia, bisogna dire le cose come stanno: innanzitutto la nostra rete idrica è un colabrodo che ha bisogno di essere rinnovato, ammodernato e sviluppato. Oggi circa il 30% delle forniture si perde durante il trasporto, una percentuale vergognosa e inaccettabile. A seguire i consumi privati: in Italia paghiamo l’acqua meno di tutti gli altri cittadini europei e il consumo per uso civile e domestico è di 250 litri al giorno per abitante. In Nord Europa i litri sono 180. Infine occorre citare anche l’agricoltura, che oggi utilizza circa il 75% dell’acqua complessiva, troppo spesso in maniera non efficiente e poco oculata. Sistemi di irrigazione come quelli a pioggia o ad aspersione (per intenderci quelli che vediamo sui campi di mais della Pianura Padana) fanno sì che, con le alte temperature estive e il vento, una parte consistente dell’acqua evapori prima di toccare terra e giungere alle radici. Senza contare che il modello agroindustriale ha portato a privilegiare specie iperproduttive a coltivazione intensiva che hanno un gran bisogno di acqua e che non sono adatte alle estati sempre più calde e secche che ci attendono. 

L’acqua è necessaria alla nostra vita, non c’è una vita degna senza un accesso adeguato alle risorse idriche per tutti. Il cambiamento climatico e le sue conseguenze non si esauriranno nel breve o nel medio periodo (semmai potranno peggiorare). Occorre quindi intraprendere da subito azioni che possano mitigarne gli effetti. Partendo da una riduzione dei nostri consumi privati, passando per la sistemazione delle enormi falle della rete idrica nazionale per arrivare alla promozione di un modello di agricoltura sostenibile e adatto a un clima che cambia. 

Gli strumenti ci sono: buone pratiche quotidiane di risparmio sono possibili e alla portata se si fa formazione e informazione, anche e soprattutto partendo dai bambini; dal punto di vista agronomico e tecnico, poi, oggi esistono metodi di coltivazione e irrigazione innovativi che consentono un uso limitato di risorse evitando gli sprechi, mentre la biodiversità agricola si è adattata, nei millenni, alle condizioni pedoclimatiche dei nostri territori dandoci specie autoctone perfettamente idonee a crescere bene anche in aree difficili. Basti pensare alla straordinaria ricchezza di varietà di cereali antichi che costellano il nostro Paese e che oggi, tra l’altro, rappresentano una risposta estremamente valida anche allo stallo dei prezzi del grano. 

Come cittadini, agricoltori e amministratori pubblici abbiamo il dovere di agire, ognuno per la sua parte. Solo così potremo costruire comunità resilienti. 



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