Un vaso di terra cotta, senza vasi di ferro
Domenicale ● Agostino Pietrasanta
Sensazione spiacevole. Gli sgarbi, gli schiaffi all’Italia si susseguono a ritmo accelerato da tutte le parti “amiche” del disastrato continente europeo. Macron, il campione del liberismo della recente trascorsa campagna elettorale, nazionalizza i cantieri STX già acquistati per una quota di maggioranza da Fincantieri, come noto, complesso industriale già dell’IRI; e questo in spregio di accordi dell’era del predecessore Hollande. L’Austria si è appena corretta (?) da una battuta sferzante circa la presenza di divisioni militari sul Brennero; la successiva smentita del premier di Vienna, alla provocazione letteralmente offensiva di un suo ministro all’Italia, suona tanto come inevitabile “gioco delle parti”. L’Ungheria che, agli albori dell’idea di una comunità europea con Adenauer. De Gasperi e Schuman (e dunque un’Italia ferita dai trattati di Parigi e tuttavia in prima fila), costituiva una propaggine della prepotenza sovietica, lancia una vergognosa diffida al passaggio dei profughi e dei migranti sul territorio nazionale italiano. E tanto basti dal momento che tre indizi (e che indizi!) costituiscono, a detta del proverbio di buon senso, una prova attendibile; tanto basti dicevo, per accusare la spiacevole sensazione di una Patria ritenuta “vaso di terra cotta”.
Gran parte delle ragioni o dei moventi, però, sono tutte interni al nostro “simpatico Paese”. Ne cito alcuni tanto per capirci. Da poco meno di quarant’anni, andiamo sproloquiando sulla necessità di riforme istituzionali e sull’urgenza di porre mano ad una revisione costituzionale. Prima la bicamerale Bozzi (1983/1985), poi la bicamerale De Mita/Iotti (1993/1994), poi la bicamerale D’Alema (1997): nulla di fatto, agli occhi di un’opinione mondiale sbigottita. Era però solo l’inizio della sceneggiata. Residuava il ricorso all’art. 138 di una Carta che si voleva (si vuole?) riformare e, attraverso altre piacevolezze, offerte al giudizio di una povera storia, siamo arrivati al tentativo Renzi/Boschi. Sarà pure stata una proposta discutibile, talora anche inaccettabile a fronte però di aspetti del tutto positivi, ma mettetevi nei panni di chi ci guarda dal di fuori. Conosciamo il susseguirsi degli eventi: pressoché tutte le parti politiche, con Berlusconi in testa, nel 2013 incapaci di eleggere un successore a Napolitano, ma sempre pronte ad impallinare, nel segreto dell’urna, i candidati scelti alla luce del sole, si erano presentate, cosparse di cenere il capo, al vecchio presidente perché acettasse proroga. Il Presidente accettò ponendo condizione alle Camere di concludere sulle riforme. Bene; anzi malissimo: Napolitano restò altri due anni (2015) e le riforme abortite crollarono sotto il peso del Referendum del 4 dicembre scorso; se l’esito sia stato giusto o sbagliato non sta in agenda, il giudizio del mondo conlcluse per la nostra inaffidabilità su snodi essenziali per la vita della nazione.
Non finisce qui; tutti, sapendo di mentire danno assicurazione su pronte riforme della legge elettorale e la proposta viene impallinata dallo scrutinio segreto. Mi fermerei per carità di Patria, ma una la devo ancora richiamare: il debito pubblico continua a livitare. Ora Padoan, persona degnissima e cicuramente competente, dichiara che, anche grazie alla crescita economica (per la verità in Italia più modesta che altrove), il debito scenderà. Credete che gli spettatori che assistono alla recita dall’estero possano convincersi. Lo si dice da anni che il debito è sotto controllo, che presto la tendenza negativa cambierà vento e da anni si va a Bruxelles a chiedere proroghe e deroghe. E, mi si permetta: nel 2011, quando Berlusconi stava portandoci nel baratro, Monti salvò baracca promettendo riforme; però dopo la discussa, contestata e discutibile riforma Fornero non si è fatto quasi nulla, salvo qualche tentativo nel campo della salute.
Ed allora vi stupite se l’Italia viene trattata a sgarbi a schiaffi ad umiliazioni continue? Un pochetto ce la tiriamo.
C’è però un’osservazione decisiva: se Atene piange Sparta non ride, se l’Italia è “vaso di terracotta” gli altri compagnoni europei non sono in nulla “vasi di ferro”. Certo ci sono state svolte epocali nei rapporti internazionali che hanno tolto all’Europa ogni leadership precedente; tuttavia c’è un fatto che da solo, ma ci sarebbe ben altro, la dice lunga sulla miopia del vecchio continente ed è la vicenda dei profughi e degli immigrati. Sbigottisce alla lettera che si pensi di fermare coi respingimenti e coi muri una migrazione dei popoli che ripete, sia pure in modi diversi e secondo linee di passaggio molto distinte, rispetto ad analoghe condizioni di secoli lontani, la fenomenologia migratoria indotta dagli spazi della fame a quelli dell’opulenza (o ritenuta tale che per il nostro discorso è precisamente lo stesso). Si è ben lontani dal percepire la grande lezione di Machiavelli che riteneva il fenomeno, sia pure (giova ripetere) in condizioni e tempi diversi, incontrollabile perché le masse spinte “da necessità” non si fermano. Certi eventi si possono governare, ma sono inevitabili. Ed allora? Allora i vaneggiamenti o i vagiti di Salvini sono rabbuffi primaverili rispetto alla miopia delle sedicenti grandi nazioni europee. L’Italia resta in questa dinamica e se costituisce sensazione di imbarazzo la fragilità del Paese, anche gli altri non avrebbero certo da sentirsi tranquilli. Senza attardarsi sul proverbiale, “mal comune, mezzo gaudio”.
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