Gensis Khan, Il figlio del cielo, di Franco Forte

Non credo si possa scrivere una buona storia senza avere dei personaggi femminili di spicco, che non siano solo delle comparse ma anzi, come nel mondo reale, siano in grado di determinare il destino di noi uomini ben più di quanto siamo in grado di fare da soli. Anche nel mio romanzo "Gengis Khan - Il figlio del cielo" (Mondadori), introduco personaggi femminili di spessore, primo fra tutti quello di Hülün, la madre di Temugin, che poi sarà ricordato come Gengis Khan, il più grande condottiero della storia. Nell'incipit del romanzo mi occupo proprio di questa donna formidabile, a cui le leggende mongole attribuiscono doti divine, oltre a una bellezza sconvolgente. Per chi non avesse letto il romanzo, ecco l'incipit del libro, che introduce questo bellissimo personaggio:
IL GUERRIERO DELL'ALBA
C’è un istante di prodigio, prima che la notte abbia fine e l’alba compaia all’orizzonte, durante il quale una marea di fuoco striscia sulla terra e allunga dita di sangue.
Una donna, sola nella piatta uniformità della steppa, attendeva di vedere esplodere la magia del nuovo sole. Era nuda, e il bianco corpo slanciato si stagliava sullo sfondo della notte.
Quella mattina Hülün si era svegliata prima degli altri, scossa da una strana sensazione. Il nuovo giorno era importante, avrebbe determinato una svolta decisiva nella sua vita.
Si era alzata languidamente, consapevole di ogni centimetro del suo corpo; un corpo giovane e flessuoso che aveva scatenato lotte furibonde, tra gli uomini che subivano l’incantesimo della sua bellezza. Hülün sapeva di essere desiderabile, sapeva di essere stata plasmata dalle mani di un dio, lo stesso che ogni giorno regalava agli uomini il miracolo dell’alba.
Si era sbarazzata subito dei vestiti, ignara del freddo pungente che aveva indurito la terra. La steppa era un regno sconfinato su cui correvano il vento e i cavalli, e quando gli spiriti dell’aria si erano accorti del suo corpo le erano corsi intorno, l’avevano sfiorata, toccata e baciata come amanti freddi ma appassionati, e lei aveva chiuso gli occhi e si era lasciata inondare dalla consapevolezza della sua bellezza, della perfezione del suo corpo. 
L’alba di un giorno importante. Il giorno in cui sarebbe andata in sposa a un grande guerriero.
Prima di svegliare le ancelle per farsi vestire e acconciare come si richiedeva a una sposa di rango, si mosse sull’erba fradicia di rugiada, con i piedi nudi che bevevano l’acqua della terra e i seni rigogliosi sostenuti dalla forza del vento, che le cingeva i fianchi e le sussurrava parole d’amore.
In silenzio, muovendosi con la stessa leggerezza del suo invisibile amante, Hülün raccolse un otre d’acqua, e con un panno cominciò a pulirsi. Dalle mani del colore del cuoio bagnato, che avevano conosciuto il calore del sole e la tenacia sferzante del vento carico di sabbia della steppa, passò alle braccia candide, alla pelle bianca e trasparente delle spalle e alla tensione energica del seno, che mai mano d’uomo aveva sfiorato. Mentre il panno scendeva sul ventre, sui fianchi rotondi e sulle natiche sode, abituate ad avere dimestichezza con i cavalli, Hülün si chiese se il suo futuro marito, Silgar il Lottatore, avrebbe apprezzato fino in fondo la bellezza del suo corpo. C’erano cose che gli uomini faticavano a comprendere, angoli e sfumature nel portamento e nella figura di una donna che scatenavano reazioni incontrollabili in loro ma che non li facevano soffermare sulla magia della creazione, sul lavoro mistico a cui un dio si era dedicato con cura. Le donne erano i migliori giudici di un’altra donna, e lei era sempre stata invidiata e ammirata.
Quando ebbe terminato di lavarsi, Hülün tornò a guardare l’orizzonte. Il sole stava per sollevare il suo scettro abbagliante oltre la piccola catena di colline che orlava la steppa. Quello era il momento migliore, l’istante in cui avrebbe potuto donare completamente se stessa alla carezza languida dei primi raggi di sole.
Tenne gli occhi chiusi, respingendo il freddo e cercando di svuotare la mente da ogni pensiero.
Quando li riaprì, si rese conto di non essere sola.

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