Basta con la colpevolizzazione reciproca Carlo Baviera

Carlo Baviera. Alessandria
Le elezioni amministrative hanno dato i loro verdetti. Anche la Francia (con le eventuali prevedibili ripercussioni italiche nel copiare e prender espunto dagli accadimenti esteri) ha fatto una scelta di profondo cambiamento degli indirizzi politici e di leadership.
Da noi, in Italia, continuano le schermaglie, i progetti, i tentativi per ridisegnare, compatibilmente con la normativa elettorale vigente, contenuti e contenitori che si dovranno misurare fra pochi mesi per contendersi la gestione del potere per almeno un quinquennio.
Come sempre, dalle parti di quello che si definisce centro sinistra o riformismo, i tanti polli hanno difficoltà a trovare momenti di incontro e di normale cooperazione lineari e di lunga gittata. A volte ci si divide sui nomi, altre volte sul passato di qualche personaggio, altre ancora su quelli che vengono ritenuti cedimenti o deviazioni dal percorso coerente della sinistra che difende equità e giustizia sociale.
Perciò c’è chi si chiede se si voglia davvero vincere le prossime elezioni, cercando di recuperare il consenso dei cittadini e delle forze politiche che li rappresentano. Mentre altri si chiedono se la vittoria va cercata solo assommando forze e personalità, prescindendo da qualche autocritica. Anche le recenti “piazze” in cui i diversi volti del riformismo o della sinistra si sono riuniti pare abbiano più allontanato che avvicinato le posizioni e i leaders.

Come sempre, anche in questo caso, servono equilibrio e pazienza. E, se è dannoso comporre solo aggregazioni che si sfaldano il giorno successivo alle urne, come avvenuto già nella storia passata dell’Ulivo e dell’Unione, ritengo che non si debba essere troppo integralisti nel chiedere sempre e a tutti le <analisi cliniche> che garantiscano l’appartenenza a gloriose storie del passato.
Infatti, riassumendo le tante prese di posizione, sono due le linee che di riferimento. La prima è di chi afferma che non si può formare una coalizione di centro sinistra (che intenda proporsi come vincente) solo fra i “puri” che hanno votato No al Referendum del 4 dicembre, ritenendo necessario l’apporto anche di chi  è stato meno deciso nel contrastare il disegno di modificare la Costituzione (o addirittura favorevole)e quello capitalistico-finanziario di imporre altri tagli sociali per assecondare il “ce lo chiede l’Europa”.
“Domando: possiamo organizzare un centrosinistra competitivo reiterando e cristallizzando la divaricazione tra quelli del sì e quelli del No che ha attraversato il nostro Campo? Vogliamo mettere fuori da tale impresa, che so, Prodi e Pisapia? Anche se non abbiamo condiviso il loro sì. Come prescrive la buona politica,a decidere convergenze e divergenze politiche devono essere contenuti e programmi, con un spirito aperto, longanime, inclusivo”. Questa una tesi, che guarda inevitabilmente alla necessità di ragionare anche con il PD (soprattutto con il PD, pur con le attenzioni, i distinguo, i chiarimenti necessari), ma che intende non accettare veti preventivi neanche a chi dal PD se ne è andato o ha fatto della lotta contro il Segretario dem una bandiera.
Un’altra posizione potremmo ricavarla da Matteo Ricci, PD (Corriere della sera – 13/6/2017). “La base di riferimento è il fronte riformista che ha votato sì al Referendum. Dentro ci stanno Pisapia, Tosi e le forze che non hanno una preclusione nei confronti di chi guida democraticamente il PD. Renzi è il Segretario del PD, che è la base del centrosinistra”.
Tradotto il PD è il partito più forte nel campo riformatore; di qui bisogna partire. E coloro che continuano a lavorare per ribaltarne le maggioranze o scalzarne il leader, sono loro che si mettono fuori dal progetto. Inoltre chi ha “tradito” la nostra fiducia su questioni fondamentali è a rischio inaffidabilità.
Se è questa la base di partenza, gli spazi per aggiustamenti, avvicinamenti, è difficile immaginarne come rimettere insieme i cocci. Sappiamo, però, che la politica non è una scienza esatta; e tante volte, come nelle trattative per il mercato dei calciatori, all’ultimo momento si tira fuori il coniglio dal cappello.
L’importante è non dare tutto per scontato, e non disarmare riguardo a tentativi e iniziative che aiutino a parlarsi e ritrovarsi (Chi avrebbe immaginato un moto di risveglio da un Franceschini?). Almeno che gli uni si accontentino di far perdere Renzi e il suo partito, continuando a svolgere un comodo ruolo di opposizione ad ogni tipo di Governo che non sia totalmente statalista e “di estremismo” sinistrorso. E gli altri continuino a bluffare sulla possibilità di ottenere una forte maggioranza anche senza una parte di quella sinistra (che si può ritenere anche estremista o fastidiosa) che ha però il merito di tenere accesi i riflettori sul alcuni temi e alcune soluzioni che rischiano di essere sempre accantonati o messi indietro nella lista delle priorità.
Se è vero che l’Agenda politica non ci deve essere dettata dai mercati e dall’ideologia turbo capitalista, e ci sono svolte decisive da assumere per garantire ambiente, solidarietà, e diritti sociali, è anche vero che serve coraggio e tempestività nell’affrontare alcune riforme per consentire ripresa produttiva e alleggerire le spese statali e pesantezza burocratica e fiscale. E non è di minor importanza la necessità di realizzare maggiore Europa, di assegnargli nuovi compiti, di renderne più efficaci le determinazioni, di condurla ad un assetto di Governo democratico con sensibilità sociale ampia.
Per questo serve l’umiltà e la <visione lunga> da parte delle cosiddette forze riformatrici e progressiste, evitando sgambetti o ritorsioni reciproche. C’è in ballo il futuro del Paese e il contributo, che come nazione, sapremo dare alla Europa Federale.
Sappiamo che esistono, storicamente, differenze profonde e divisioni tra le forze considerate <sinistra di Governo> e le <sinistre sinistre> o estreme. Questa divisione non si può cancellare; può darsi che non riescano né capirsi né parlarsi. Escluse, però, le fasce estreme e alternative di sistema, fra il restante mondo della sinistra e arrivando fino a chi, con culture diverse dal socialismo, si colloca nel solco riformista o cerca di rappresentare fasce sociali del tradizionale lavoro autonomo e artigianale, mondi del volontariato religioso, il ricco sistema dei corpi intermedi, della cooperazione e dell’associazionismo cattolico, delle autonomie economiche, si deve fare di tutto per avvicinarsi, parlarsi, costruire progetti e programmi per il cambiamento e per la ripresa.
Perché, anche se non sono spariti i motivi e i valori che dividono i democratici dai conservatori, i reazionari dai progressisti, sembra giunto il tempo – la Francia, almeno in parte insegna – in cui i vecchi strumenti e i vecchi riferimenti che supportavano le divisioni tra destra e sinistra sono saltati. Ora le divisioni si fondano su altro; e in quest’altro c’è la tutela dei poveri e di chi lavora, il sostegno a chi è <scartato> dalla normale vita sociale e di chi arranca per tenere aperti i cancelli della fabbrica o la serranda del negozio, insieme alla necessità di dare sicurezza, di abbassare l’imposizione fiscale, tagliare la burocrazia, ridare fiato alle imprese.

Dialogare, quindi, lasciando da parte le reciproche colpevolizzazioni e le diffidenze. Salvo regalare ad altri la guida del Paese. Con quali sviluppi e risultati non possiamo sapere, ma intuirlo sì.  E non saranno certo molto positivi per chi ha una visione basata sull’applicazione della Costituzione, di legalità che tuteli i deboli e gli indifesi, di equità, di solidarietà, di europeismo.

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