ENIGMA - SILLOGE by GIUSEPPE GUARAGNA
La
verità, vi prego,
su
questo strano amore.
E’
mistero, illusione,
è
solo male al cuore?
Può
un volto, un nome,
una
voce lontana,
risvegliare
una vita
che
credevi assopita?
La
verità, vi prego.
Si
può davvero amare
chi
non ha labbra calde
su
cui posare baci,
non
ha tenera carne
tiepida
alle carezze,
non
ha mani, né corpo,
che
fremino col tuo?
La
verità, vi prego,
e
quale essa sia,
chiarisca
questo enigma,
sconfigga
la follia.
In queste azzurre sere.
C’è
quell’istante in cui,
(come
fosse un portento),
due
anime s’incontrano
in
un lieve sfiorarsi,
e
come per magia
hanno
di sé contezza.
“T’aspettavo
da sempre”
con
una voce sola,
e
sono al fine, e sanno
di
verità e poesia.
E
poco importa loro,
incorporee
presenze,
se
il ciliegio sfiorisce,
ha
rami forti ancora,
e
frutti a primavera.
In queste azzurre sere,
nel sussurro del vento,
narrano le ginestre
alle lucciole in volo,
Un sussurro lontano
Mi
sei preziosa, donna,
come
la seta antica,
come
gioiello raro
e
di corallo azzurro.
Vecchia
pietra graffita,
aurea
ambra dorata,
tu
sei scettro e corona,
sei
regina e follia.
Alla
vita sorridi,
non
ti spettina il vento,
tu
mi chiami, rispondo,
sei
piacere e tormento.
Poi
mi prendi la mano,
l’accompagni
al tuo seno,
nei
tuoi occhi mi perdo,
sei
dolcezza e veleno.
Siamo
un’unica carne
che
si dondola piano,
ci
accompagna al piacere
un
sussurro lontano.
Viviamola la vita
Hanno
il profumo di te
queste
sere d’autunno,
di
pane caldo
e
di castagne al fuoco.
Profuma
la tua pelle
come
di pesca e mela,
sull’albero
sorride
l’ultima
melagrana.
A tènere carezze,
come
seta fluisce
l’oro
dei tuoi capelli,
che
in fiamma si scompone.
Stiamo
così, vicini,
con
gli occhi persi,
in
cerca di parole
che
dicano di noi.
E
le troviamo, in fine,
erano
lì da sempre
sul
bordo del sentiero,
sopra
un foglio di carta
scritte
con la matita.
“Viviamola
la vita”
Arriva primavera
Ardono
nel camino
i
ciocchi d’una quercia,
il
tepore si spande
e
diventa carezza.
E
come ogni sera
la
tavola è imbandita,
una
tovaglia bianca
di
lino, e ricamata.
Nell’aria
cristallina
la
melodia lontana,
che
al pianoforte a coda
suona
il vecchio maestro.
Un
leggero bussare,
c’è
qualcuno alla porta,
perde
un battito il cuore,
ai
relitti s’aggrappa.
“Sono
qui, amor mio”
parole
come miele
a
lenir le ferite,
sanare
la memoria.
“Arriva
primavera,
non
posso star lontana,
siamo
una sola immagine
noi
siamo un fuoco solo”.
T’aspettavo
Vieni
a me. T’aspettavo.
Nella
quiete incantata
di
quest’ultimo aprile,
sospesi
al sogno
che
ci incatena e tiene,
foglie
senza memoria,
libere
di volare
per
cieli sconosciuti,
ci
definisce il caso
istante
dopo istante.
Vieni,
pallido fiore,
t’arrosserà
il tramonto,
e
nel buio che monta
sarai
lucciola al vento,
primula
e tuberosa,
desiderio
e tormento.
Vieni
a me. T’aspettavo
come
marea che monta,
come
luna che resta
al
sorgere del sole.
E sul lasciarsi andare.
In
un giorno di maggio,
trasparenze
ialine
non
nascondono il seno
che
tu, sfacciata offri,
al
correre irruento
del
tempo, il vecchio saggio,
che
decide e sancisce.
Giudice
senza volto.
E
ti interroga il tempo,
su
amore e desiderio,
tenerezza
e passione,
sui
baci giù al portone,
sulle
prime carezze,
su
quel calore nuovo
che
ti sale dal basso.
E
sul lasciarsi andare.
E
al tempo tu rispondi
“Mio
buono e vecchio saggio,
mi
son lasciata andare,
l’ho
trovato il coraggio”.
E d’improvviso il cielo
Ti
porterò lì,
per
la solita strada,
nel
solito tramonto
che
s’annuncia e ci aspetta.
Soli
nell’infinito
che
si fa rossore,
a
ricercar l’inverso
di
questo nostro andare.
S’allungano
le ombre,
s’aprono
le corolle
della
bella di notte,
volan
le prime lucciole.
Ci
pervade un profumo,
Intenso,
di campagna,
compagna
mia, mio sole,
mia
nuvola nel vento.
E
d’improvviso il cielo
si
fa manto di stelle,
belle
nello splendore
di
questa notte illune.
Poi
ci
sorprenderà l’alba
con
il suo fresco sempre,
di
te vestito io,
tu
vestita di me.
Della mimosa all’ombra
Sembrava
palpitare
il
grano verde,
al
lieve calpestio
dei
nostri passi.
Quasi
s’apriva a noi,
al
nostro andare,
nella
calura dolce
alla
controra
verso
la vecchia fonte.
All’acqua
chiara.
Della
mimosa all’ombra
sedemmo
stanchi,
impazienti
le mani,
calde
le labbra.
Gli
abiti ci strappammo
per
esser nudi,
e
per toccarci prima
e
dopo ancora.
E
poi fu la passione,
ci
prese per la mano,
ci
portò nel suo regno.
E
ancora stiamo.
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