Balduzzi: Per farci un’idea chiara

Balduzzi: Per farci un’idea chiara
Riportiamo di seguito (e in allegato) il testo di un intervento del prof. Renato Balduzzi sul tema della riforma costituzionale. L’articolo è stato pubblicato su Il popolo, storico settimanale della diocesi di Tortona, il quale ha iniziato, con la ripresa di settembre, ad ospitare opinioni e contributi alla riflessione in vista del referendum d'autunno.
Ufficio stampa del prof. Renato Balduzzi
Per farci un’idea chiara

Sembra, purtroppo, che pochi italiani possano dire di avere le idee chiare o abbastanza chiare sul prossimo referendum costituzionale, sul perché si svolga e su quali siano le ragioni del si e del no.
La colpa di questa situazione va addebitata in parte alla diffidenza e alla sfiducia che da tempo circondano la politica e le stesse istituzioni, in parte all’insufficiente educazione costituzionale e conoscenza della Costituzione, in parte alla scarsa preoccupazione, riscontrabile in troppi attori politici e istituzionali, inclusi molti operatori dei mass media, di fornire un’informazione corretta e non invece addomesticata in una direzione precostituita.
Proviamo dunque a richiamare alcune semplici evidenze.
1. Il referendum si svolgerà nell’ormai prossimo autunno. Questo perché (secondo l’art. 138 della nostra carta costituzionale) quando, per una legge di revisione della Costituzione, non si raggiunge nella seconda votazione la maggioranza dei due terzi in ciascuna Camera, ma soltanto la maggioranza assoluta, viene indetto un referendum popolare se lo chiedono 500.000 elettori, oppure un quinto dei membri di una Camera, oppure 5 Consigli regionali. Tale situazione si è verificata a proposito della revisione costituzionale promossa dalla attuale maggioranza di governo, avente per oggetto tra l’altro il superamento del bicameralismo cosiddetto paritario e la riforma dei rapporti tra Stato ed enti territoriali, approvata in via definitiva dalla Camera dei deputati lo scorso 12 aprile e sulla quale è stato richiesto il referendum, sia da parte del numero prescritto di elettori, sia da parte di numerosi gruppi di parlamentari. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi (dunque non rilevano bianche o nulle). 
A differenza di quanto accade per i referendum abrogativi di leggi ordinarie, non è richiesto che partecipi alla consultazione la maggioranza degli aventi diritto (il cosiddetto quorum). Mentre infatti in quel caso la preoccupazione dei costituenti era di non permettere che una minoranza esigua di elettori potesse travolgere una decisione parlamentare tradottasi in una legge ordinaria vigente, nel caso di una legge di revisione costituzionale – approvata, ma non ancora vigente -  venne reputata prevalente l’esigenza di conservazione della Costituzione e del suo impianto di principi e valori, fatta propria anche da una minoranza di fronte a una maggioranza eventualmente distratta o disinteressata.
2. Le ragioni del no o del si, cioè, rispettivamente, dell’opposizione alla revisione o della conferma della medesima, vanno ricercate nel merito (ed eventualmente anche nel metodo) delle modifiche proposte, non invece nella consonanza politica con gli oppositori o i favorevoli alle stesse, e meno che mai nella simpatia o antipatia verso il governo e la maggioranza parlamentare in carica. Questo è un punto importante, direi decisivo per il nostro discorso, perché tocca il significato stesso della Costituzione e delle sue modifiche, cioè di decisioni che esprimono l’unità profonda di una collettività e pertanto sono destinate a durare nel tempo, ben oltre le contingenti maggioranze che le hanno votate. L’equilibrio complessivo di una Costituzione e la sua adeguatezza con le esigenze di una concreta collettività devono essere valutati per quello che significano in se stessi, e non con riferimento a questo o quel leader politico, questa o quella compagine partitica.
A questa prima precisazione se ne collega una seconda: se vogliamo formarci un giudizio sul merito del referendum, dobbiamo evitare semplificazioni e slogan. Ciò vale certamente a proposito della fuorviante contrapposizione tra i favorevoli ai cambiamenti e i contrari agli stessi, che si risolve in un rifiuto ad affrontare nel merito le questioni che la revisione pone: il problema è infatti quello, da un lato, di valutare motivi e contenuti di ciò che si vuole introdurre (i cambiamenti potendo essere sia utili e positivi, sia inutili e dannosi) e, dall’altro, di verificare se e in quale misura la causa delle disfunzioni sia la Costituzione, e dunque il rimedio possa consistere in un cambiamento delle sue disposizioni, ovvero tale causa stia altrove (comportamenti della politica, legislazione elettorale, regolamenti parlamentari) e dunque il cambiamento delle regole costituzionali possa rivelarsi inutile, se non controproducente. Ma vale anche, su opposto versante, a proposito della contrapposizione tra chi intende stravolgere la Costituzione e chi vuole preservarne principi e valori: l’equilibrio costituzionale è certo un bene irrinunciabile, ma spetta soprattutto a quanti lo abbiano a cuore dimostrare (se necessario anche argomentando a partire dal legame oggettivo con la nuova, e problematica, legge elettorale, il c.d. Italicum) che la ferita al nucleo costituzionale vi sia, e sotto quali profili.
Mi si potrà obiettare che siamo di fronte a una revisione estesa e complessa, che tocca oltre quaranta articoli della Costituzione e spazia dal ridimensionamento del Senato alla riduzione dell’autonomia legislativa regionale (ma al contemporaneo rafforzamento delle regioni a statuto speciale), dall’elezione del presidente della Repubblica a quella di una parte dei membri della Corte costituzionale, dall’individuazione di una pluralità di procedimenti legislativi a nuove regole sui decreti-legge, dalla soppressione del riferimento costituzionale alle province alla copertura costituzionale dei nuovi enti di area vasta. E che pertanto all’elettore bisogna proporre una motivazione di sintesi pro o contro, essendo impossibile per i non addetti ai lavori valutare tutte le singole proposte. Ora, a parte che una tale obiezione conferma l’inopportunità di revisioni complesse contenute in un unico testo normativo e porta argomenti a chi vede nel procedimento disegnato dall’art. 138 della Costituzione la preferenza per leggi di revisione circoscritte e puntuali, quello che va proposto all’elettore è, appunto, un criterio sintetico di valutazione, non uno slogan o un argomento ad effetto.
Una terza precisazione tocca le possibili conseguenze di un no o di un si sulla stabilità politica, sulla situazione economica e, più in generale, sul rapporto tra cittadini e istituzioni: per quanto da una parte e dall’altra in vario modo evocate, si tratta di conseguenze che (ove davvero possibili, e non mero spauracchio in un senso o nell’altro) andrebbero eventualmente prese in considerazione dopo l’esame nel merito della revisione costituzionale, e non prima.
3. Fatte queste precisazioni, e con riserva di sviluppi che in questa sede non posso fare, enuncio alcuni possibili criteri per orientarsi nella direzione del no o del si.
Ai lettori più informati sui meccanismi istituzionali, suggerisco il confronto tra gli obiettivi dichiarati della riforma e le soluzioni volta a volta adottate. Ad esempio, la revisione costituzionale si pone obiettivi di semplificazione del procedimento legislativo: dato per scontato che tale obiettivo sia congruo (si potrebbe infatti sostenere che il problema nostro non sia la complessità procedurale, ma la scarsa qualità del prodotto finale, influenzata dalla quantità dei materiali legislativi prodotti), la pluralità dei procedimenti legislativi, frutto del superamento del cosiddetto bicameralismo paritario, appare in grado di raggiungere quell’obiettivo? Ancora, la revisione si pone l’obiettivo di fare chiarezza nella distribuzione delle competenze legislative tra Stato e regioni e, tra l’altro, individua nel superamento del sistema delle competenze concorrenti lo strumento per raggiungerlo: è davvero stato superato tale sistema e il nuovo assetto delle competenze appare idoneo a fare chiarezza? Infine, terzo esempio: come si concilia l’obiettivo di riconduzione al centro di competenze decisionali affidate a regioni e province con il conferimento, a quegli amministratori regionali e comunali che faranno parte del futuro Senato, dell’immunità parlamentare che finirà per coprire anche le loro funzioni amministrative?
Per la generalità dei lettori, un utile criterio potrebbe essere il seguente: posto che la funzione (dichiarata) di questa revisione costituzionale è quella di semplificare e concentrare un potere considerato troppo diffuso e conseguentemente (si assume) poco efficiente, la valutazione sul no o sul si andrebbe fatta a seconda dell’orientamento generale dell’elettore sull’assetto attuale del potere nelle odierne democrazie. Chi è convinto che le difficoltà italiane siano anzitutto dovute a un’insufficiente dotazione di potere decisionale in capo all’esecutivo statale e ad un eccesso di mediazioni tra detentori del potere politico e corpo sociale, non avrà soverchie difficoltà a votare si al prossimo referendum. Per contro, chi reputa che il problema delle democrazie contemporanee, Italia inclusa, sia soprattutto quello di ampliare spazi e forme di rappresentanza e di partecipazione, responsabilizzando le autonomie territoriali e sociali senza deprimerne la funzione, si orienterà più probabilmente sul no.
Nel caso di prevalenza dei si, si porrà il problema di come evitare una possibile incontrollata deriva verticistica, tanto più ove l’impianto della legge elettorale per l’elezione della Camera dei deputati rimanga quello dell’Italicum.
Nel caso di prevalenza dei no, resterà aperta la questione su come, attraverso modifiche puntuali e affidate a testi distinti (sui quali poter eventualmente meglio esprimersi in un futuro referendum), apportare opportuni cambiamenti per consolidare le nostre istituzioni nel senso di un allargamento della capacità rappresentativa delle medesime.
In ogni caso, sembra ancora oggi valido l’invito formulato oltre vent’anni fa, e rivolto soprattutto ai giovani, da don Giuseppe Dossetti (un personaggio in queste settimane tirato in ballo, talvolta maldestramente, da questo o quel commentatore): “Non lasciatevi turbare da un certo rumore confuso di fondo, che accompagna l’attuale dialogo nazionale. Perché, se mai, è proprio nei momenti di confusione o di transizione indistinta che le Costituzioni adempiono la loro funzione più vera: cioè quella di essere per tutti punto di riferimento e di chiarimento”.

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