Sulla legge elettorale passa la linea Fico, Di Maio perde lo scontro interno

Gli emendamenti M5s, presentati per far contenti gli ortodossi, fanno saltare il patto sulla legge elettorale. La stessa faglia si apre sul voto anticipato
Politics reporter, L'Huffington post
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Activists of the Five Star Movement (m5s) Beppe Grillo (C), Luigi Di Maio (R), Roberto Fico (L) gather to invoke a NO vote to the upcoming constitutional referendum. 26th november 2016, Rome. (Photo by Jacopo Landi/NurPhoto via Getty Images)

La debacle. Quella di Luigi Di Maio, il tessitore, che passa in Transatlantico e sembra di colpo diventato pallido. In privato lo raccontano prima impietrito, poi furioso. Vede il voto anticipato sfumare. E insieme alle urne, si allontana e si complica il percorso della sua incoronazione. "Adesso si deve andare votare e basta, io non perderei altro tempo", sibila a denti stretti, sapendo che non tutti nel Movimento sono d'accordo. E poi aggiunge: "Impensabile riprovare a fare la legge elettorale. Il Pd è inaffidabile, è finita". Gli fa eco Beppe Grillo, che liquida i dem, "ma fatevela da voi", e definisce Giorgio Napolitano un "fantasma dal passato che ancora dà moniti". Tuttavia, fosse stato per Di Maio - raccontano i ben informati - gli emendamenti della discordia, quelli che hanno spaccato l'accordone, sarebbero stati ritirati, ma impossibile farlo davanti ai duri e puri.


E infatti, tre metri più in là, ecco il capogruppo Roberto Fico che è l'icona della felicità. La legge elettorale è saltata sulla mina del Trentino, che guarda caso è stato il teatro principale della Prima guerra mondiale, e i grillini ortodossi gongolano come se avessero vinto il primo congresso interno. A questo proposito si apre un'altra faglia interna, quella delle elezioni sì o elezioni no. Di Maio, come è noto, ed è per questo che si è seduto al tavolo della trattativa, vuole andare al voto il prima possibile per evitare che la sua leadership, che già oggi ha subito un duro colpo, si logori ancora. E non è un caso se Danilo Toninelli, colui che ha tenuto in mano il dossier sulla legge, dice che "la legislatura è finita". Gli ortodossi vorrebbero invece arrivare a febbraio come narrava pochi giorni fa la voce di Paola Taverna: "Non so neanche dire se bisogna andare a votare subito, perché così gli leviamo la patata bollente della legge di stabilità, che è qualcosa della quale si devono prendere la responsabilità".

Con queste premesse, il candidato premier grillino in pectore guarda nervosamente il cellulare. Mano sulla bocca, quasi pietrificato adesso Di Maio è seduto tra i banchi della Camera. Ogni tanto qualcuno si avvicina a lui, ma si capisce che il vicepresidente della Camera parla controvoglia. Non può però non sentire quello che gli ortodossi del Movimento dicono sottovoce: "Abbiamo piazzato una mina sul percorso della legge elettorale e il Pd è scoppiato sopra". E con il Pd tutto l'accordo sulla legge elettorale. Accordo a cui tenevano, e non poco, anche nella sede della Casaleggio associati. A questo punto i vertici grillini studiano la controffensiva mediatica: mandare Di Maio e Toninelli in tv per spiegare che "sono stati i dem a tradire il loro partito" e che per loro "la legge può andare avanti". Come a dire, "noi gli emendamenti li abbiamo depositati ma era una battaglia di facciata". Vengono mandati Di Maio e Toninelli a parlare davanti ai microfoni e non Roberto Fico, che invece la battaglia l'ha fatta davvero. Tra l'altro la conferenza stampa in cui il capogruppo grillino sarebbe dovuto intervenire è stata sconvocata.

Il dato è che alla fine il Movimento non ha retto l'abbraccio con i dem e Forza Italia. E infatti, per sedare il dissenso interno, i pentastellati hanno depositato sei emendamenti, uno sull'estensione della legge elettorale al Trentino, ma altri tre particolarmente rilevanti: voto disgiunto, preferenze e premio di maggioranza. Per Danilo Toninelli, almeno fino al post su Fb del 3 giugno, non erano questioni dirimenti (traduzione: si sarebbe andati avanti comunque anche senza il via libera), ma per gli ortodossi rappresentavano la grande battaglia e l'hanno vinta. I vertici hanno permesso che venissero presentate le proposte di modifica per poter dire alla base: "Guardate che non siamo cambiati". E soprattutto per far contenti Fico e i suoi. Tuttavia i big pensavano che sarebbero state respinte e che quindi l'accordo siglato da Di Maio non avrebbe avuto conseguenze. Ma i franchi tiratori di Pd e Forza Italia questa mattina sono entrati in azione, dando un segnale politico e votando con il Movimento la proposta di modifica sul Trentino. Il Pd ha visto il pericolo dietro l'angolo, cioè che lo stesso schema si potesse ripetere sul voto disgiunto e ha chiesto agli M5s di ritirare gli emendamenti. Nulla di fatto. Il testo è tornato in commissione.

Di nuovo Roberto Fico, il vincitore della partita: "Ritirare gli emendamenti? Impossibile. Quindi ci chiedono di non intervenire in Aula su una legge di interesse nazionale?". Sta tutta qui la presa di posizione dell'ala anti Di Maio. E mentre in Aula i grillini che fanno capo al candidato in pectore si agitano tra i banchi, spaesati e stanchi ("In fondo questa legge ci conveniva", dice un deputato molto vicino al vicepresidente della Camera), Fico li richiama all'ordine. È il suo giorno ed è anche quello dei senatori, alcuni sono a Montecitorio a godersi lo spettacolo ed esultano: "Con il voto del blog volevano mandarci in galera e non permettere a noi del Senato di presentare emendamenti". Era questa infatti la strategia. Presentare emendamenti alla Camera per far contenti gli ortodossi, farli respingere da una maggioranza, che sarebbe dovuta essere compatta, e far votare il blog sul testo approvato dalla Camera. In questo modo i senatori, molti dissidenti, avrebbero avuto le mani legate. Adesso è cambiato lo scenario, anche dentro M5s.


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