I derelitti (2015) Vito Sorrenti

Presentazione  di Susanna Pelizza
"Tra espressionismo e senso aulico, la poesia riacquista il suo intento proposizionalista". 
'I Derelitti', ennesima prova lirica di un autore già presente nel vasto panorama letterario con le sue molteplici raccolte poetiche, procede seguendo due binari: quello della incisiva espressività linguistica e quello del preziosismo letterario che coincide con un voluto effetto sonoro, propriamente aulico. Entrambi questi due binari fanno scorrere l'intenzionalità propria della lirica di significare, più che di destabilizzare il linguaggio, creando la parola come una spada da una parte (quando acquista valore espressivo) o come una gemma dall'altra (quando acquista valore aulico). In entrambi i casi è una parola forte, così come la intende T Landolfi in Opere (Rizzoli) "La parola può tutto, (...) nulla può sottrarsi al suo impero, ha una capacità fondante, ogni volta di una nuova mitologia". Ogni parola, ogni vocabolo dà forma robusta ad un'immagine così come nel "Trittico dei dolenti": "O brama funesta /fin quando edificherai palazzi / sul sangue dei derelitti".  Continua...

Postfazione  di Angelo Manitta
La vita umana si distingue da quella animale per la parola e il pensiero, ma si può anche dire che gli uomini si distinguono dagli altri esseri viventi per la capacità di concepire la poesia. La poesia non è altro che la riflessione dell'uomo sulla propria esistenza, sul proprio essere, sul proprio modo di pensare e di soffrire, di provare gioia ed emozioni. Ma la poesia non è solo astratta concettualità, è anche arte. L'arte sta nel concepire il pensiero attraverso una forma elaborata, un'espressività musicale, una visualità comunicata attraverso la disposizione tattica e paratattica della parola, oltre che attraverso gli spazi lasciati vuoti, quasi momento di pausa e di riflessione per l'autore e per il lettore. Continua...

Recensione di Stefano Valentini
Vito Sorrenti I DERELITTI, Il Convivio, Castiglione di Sicilia (Ct) 2015
Susanna Pelizza, nella prefazione, sottolinea la visionarietà e la polifonicità della poesia di Sorrenti. Definizioni appropriate per inquadrare quella che è una personalissima esplorazione della condizione umana, letta alla luce dello smarrimento e del travaglio. I "derelitti" sono gli individui destinati ad una pena, morale e materiale, causata dai limiti oggettivi dell'esistenza con la sua caducità e precarietà, ma più spesso procurata dall'ingiustizia altrui: gli "ultimi", avrebbe detto Turoldo. II tema civile, in Sorrenti, è sempre presente: il male che schiaccia l'uomo, ben più che metafisico, è immanente, procurato all'interno del consesso sociale.
La poesia d'apertura, non a caso, è in memoria delle vittime dell'Olocausto, strutturata in quel modo peculiare che caratterizza molti dei testi di Sorrenti: un susseguirsi e intrecciarsi di piccole strofe che rimandano ad almeno due modelli, i cori della tragedia antica e le litanie della tradizione cristiana. Ma anche nelle poesie per così dire "lineari" l'argomentazione posa sugli stessi elementi: interrogazioni esplicite e dirette, lamentazioni, sgomenti. "Qui è notte fonda / qui regna l'indifferenza","l'amore per l'altro / l'amore divino e celeste / è morto / travolto da uno squallore senza fine", perché "l'umano più non dialoga col divino / e l'uomo ha smarrito per sempre / la via del bene".Violenze, sevizie, sopraffazioni, supplizi, agguati, predazioni, guerre, sangue, orrore, stragi, deliri, ferocia, disperazione, odio: il poeta è affranto, sgomento, impotente, raggelato di fronte alla "ferina aberrazione" dell'uomo che ha smarrito la ragione. Il discorso è esistenziale, ma anche politico: "gli squali del profitto", "la iena affarista", "la razza imperialista / aguzza nuovi rostri". Città piene di sfruttati, di schiavizzati e schiavizzate, di adulti e bambini costretti a mendicare, ignorati "come ombre / ai margini della vita", "anime divelte" e senza diritti. Soprattutto migranti stranieri, ma non solo: anche vittime del lavoro, talvolta inumano talaltra negato. Questi i protagonisti della poesia di Sorrenti che, reiterando terminologie ed immagini, tramuta il suo discorso in un grido coerente e coeso. Anche i momenti più lirici e distesi, se tali possono definirsi, risentono della mestizia che illanguidisce ogni cosa. Neppure la fede consola, poiché il disegno divino è inesplicabile: l'invocazione è costante, ma spesso senza risposta. Quello di Sorrenti è un grido d'accusa e condanna, d'invettiva e denuncia, un monito contro l'assuefazione ad orrori e drammi, a ogni brama e ingordigia. Si parla di corruzione e declino, ma non in astratto: quella di cui si dice è proprio l'Italia, pur essa derelitta. In tutto questo vi è, di quando in quando, spazio per sentimenti delicati che "lasciano in dote / struggente e infinito / un desiderio di luce / e di ciliegi fioriti", ma sono soltanto brevi pause. Angelo Manitta, nella postfa-zione, osserva come nella raccolta il termine "felicità" non appaia mai, "gioia" una sola volta e "bellezza" appena due, ma evidenzia: "Il suo io si nasconde dietro un noi, che evidenzia il male del mondo e la negatività con il fine ultimo della luce, quindi della positività". In tale prospettiva, le ultime pagine ricapitolano il richiamo alla moralità, ai valori, alla ricerca di "un rapporto umano solidale e sereno / sulla strada che porta al bene comune" e alla pace, esplicitamente invocata nella poesia di chiusura.
Stefano Valentini 





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